Le Reti della Conoscenza e l¿Europa: necessaria una nuova alfabetizzazione, per superare il digital divide e fare dell¿ICT uno strumento di sviluppo sociale

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Il presente contributo &#232 tratto dal saggio contenuto nel volume a cura di Barca L. e Franzini M., ¿Legittimare l¿Europa¿, Il Mulino, Bologna, disponibile in libreria dal 9 giugno 2005.

di Flavia Barca

e Francesca Medolago Albani

&#091¿&#093 Fin dall¿inizio degli anni Novanta &#232 apparso evidente il ruolo chiave che le reti di comunicazione andavano assumendo per lo sviluppo economico e sociale dell¿Europa. In particolare, si &#232 aperto un ampio dibattito sulle loro potenzialit&#224 come strumenti di diffusione di informazione e conoscenza caratterizzati da un alto grado di flessibilit&#224.

&#091¿&#093 Il timore, per&#242, &#232 che su quella che Liikanen (2001, Intervento alla conferenza ¿Taking the lead with European digital content¿, Helsinki) chiama «acqua nei tubi», cio&#232 sul contenuto veicolato da vecchie e nuove piattaforme ¿ informazioni, nell¿accezione pi&#249 larga del termine ¿ la riflessione sia ancora inadeguata.

Nel dibattito sulla societ&#224 dell¿informazione, prima e dopo Lisbona, il contenuto &#232 considerato solo un servizio, la cui erogazione segue un modello di business che evolve con l¿innovazione tecnologica. Si tratta di un servizio che viene valutato fondamentalmente in termini quantitativi (numero di host, numero e classe socio-economica degli utenti, frequenza e durata delle connessioni), ma di cui non vengono studiate e regolamentate natura, tipologia, accessibilit&#224 culturale e tecnologica.

Se &#232 fuori discussione il legame della conoscenza ¿ e quindi dei mezzi per trasmetterla ¿ con il capitale umano e sociale, non &#232 forse sufficientemente esaminato il ruolo delle istituzioni pubbliche sovranazionali nella costruzione di un sistema che consenta il mantenimento e la crescita di tale capitale.

&#091¿&#093 Questa fase storica dell¿evoluzione delle reti pu&#242 essere paragonata a quella in cui l¿istruzione obbligatoria fu identificata come elemento fondamentale per lo sviluppo dei sistemi sociali. D¿altro canto, il diritto-dovere all¿informazione pu&#242 ormai essere considerato come uno dei diritti civili fondamentali.

Esiste, tuttavia, un passo ancora molto complesso da fare perch&#233 le reti dell¿informazione si trasformino in reti della conoscenza.

&#091¿&#093 Le reti sono percorse, spinte, guidate, da due movimenti, uguali e contrari, uno proveniente dall¿alto e uno dal basso. Dal basso le comunit&#224, i netizen, premono in modo indisciplinato (in riferimento ai locus tradizionali del potere, amministrazioni, governi e Ue), senza riuscire ad affermare compiutamente una nuova agor&#224, un nuovo spazio pubblico (potremmo allora parlare di coesistenza e, in alcuni casi, collisione di «spazi privati»?). Dall¿alto le imprese premono sullo sviluppo delle reti al fine di massimizzare la redditivit&#224 degli accessi e dei prodotti e servizi veicolati. E premono, ovviamente, verso quelle reti in grado di offrire il miglior rapporto costi/ricavi. In questo senso, Internet &#232 stata «la grande delusione» (ma i giochi sono ancora aperti) e le reti broadband e la tv digitale terrestre mercati ancora tutti da esplorare.

All¿interno di questa tensione tra due opposte spinte, le reti della conoscenza devono ancora trovare la loro collocazione e la loro identit&#224 per diventare il motore dello sviluppo economico europeo e (ma le due cose sono strettamente collegate) lo strumento principe di coesione, di dialogo e scambio tra culture e lingue diverse, quindi l¿elemento distintivo dell¿essere europei.

Il diritto-dovere di garantire l¿accesso alle informazioni &#232 uno dei punti chiave intorno a cui ruota l¿asse dello sviluppo dell¿Europa come entit&#224 politica oltre che economica.

Ma la scelta europea &#232 stata di avvicinarsi all¿obiettivo sostenendo e regolando soprattutto lo sviluppo e la liberalizzazione del mercato delle infrastrutture di comunicazione, le reti fisiche, e creando le condizioni perch&#233 gli operatori esistenti e a venire, pubblici e privati, potessero fare la loro parte, alla pari, nella costruzione di questo sistema. &#091¿&#093 Non &#232 stato, invece, affrontato il tema dei contenuti, il «cosa» sia oggetto di tanta attenzione e su quale terreno si confronti tale concorrenza.

La scelta dell¿Unione europea &#232 stata di distinguere la regolamentazione delle reti da quella dei contenuti. La prima &#232 stata varata grazie alle direttive note come il «pacchetto telecom»; sulla seconda, manca una posizione comune e una linea di indirizzo politico, salvo quella di lasciare ai singoli Paesi la possibilit&#224 di determinare autonomamente la regolamentazione nazionale, purch&#233 ci&#242 avvenga nel rispetto delle regole del mercato. La difficolt&#224 di un accordo anche minimo sui contenuti &#232 emersa in tutta la sua evidenza gi&#224 ai tempi della prima emanazione della direttiva «Tv senza frontiere» nel 1989 e delle successive modifiche nel 1997, ed &#232 manifesta nell¿attuale dibattito riguardante la revisione in corso. &#091¿&#093

E¿, dunque, urgente riflettere sul ruolo delle istituzioni europee in questo delicato ambito, tenendo conto del mutato contesto geopolitico ¿ con l¿allargamento attuale e futuro dell¿Unione ¿ e tecnologico. In particolare, occorre trovare un equilibrio tra la libert&#224 delle imprese di operare su questo cruciale mercato e il diritto-dovere dei cittadini all¿accesso ad una conoscenza non circoscritta ai contenuti di interesse delle imprese. Un¿Europa che si vuole politica e non solo economica non pu&#242 abdicare al suo ruolo di garante della libera costruzione di un sistema democratico, in nome del mercato.

&#091¿&#093 Nascendo come entit&#224 sovranazionale sulle fondamenta di nazioni con millenni di storia alle spalle, l¿Europa non pu&#242 ¿ o, meglio, non pu&#242 voler – mirare ad un¿unica cultura, ad un¿unica lingua, ad un insieme omogeneo di cittadini uguali. Pu&#242, invece, e deve, avere come obiettivo un¿agor&#224 nella quale il contributo dei singoli, e delle singole nazioni, sia ricercato, coltivato e ugualmente accessibile a tutti.

Lo sviluppo del mercato dell¿informazione degli ultimi anni ha dimostrato che la concentrazione &#232 stata una delle strategie di successo delle imprese, in termini di competitivit&#224 su scala globale. Se per&#242 il raggiungimento di economie di scala e di scopo, obiettivi delle singole imprese europee e del mercato comune nel suo insieme, &#232 stato in parte ostacolato dalle differenze culturali e linguistiche, &#232 proprio di questo apparente ostacolo che l¿Unione europea deve riuscire a fare la sua forza, il suo motore. Non si diventa grandi appiattendo le diversit&#224 culturali, ma anzi la ricca variet&#224 culturale e linguistica europea, e l¿incontro tra le differenze, devono essere sviluppati come asset, senza sacrificare nessuno degli elementi che la compongono.

Sulla falsariga dell¿interpretazione del concetto di convergenza tecnologica, si pensa quindi all¿integrazione culturale come integrazione tra culture differenti, come capacit&#224 di creare un network di culture/lingue diverse che permetta lo scorrimento, il passaggio di idee all¿interno della rete. Convergenza culturale, quindi, non nel senso di annullamento di diverse culture in una cultura unica, ma come capacit&#224 di culture e sistemi economici e sociali differenti, le varie nazioni europee, di comunicare appieno, di «parlarsi» e «tradursi» gli uni con gli altri &#091¿&#093. Traduzione come terzo passaggio, come accrescimento di senso, quindi un plus che, da fattore di debolezza economica, deve essere trasformato in fattore di forza per l¿Europa, che proprio intorno a questo pu&#242 e deve mettersi a lavorare. E tra le parole d¿ordine di questo plus vogliamo qui accennarne solo due, di particolare forza e significativit&#224.

La prima &#232: «il marketing europeo come stimolo alla distribuzione». Le strategie europee nei confronti di questo settore (distribuzione di prodotti e servizi) sono numerose, ma ancora poco efficienti e soprattutto poco competitive rispetto a quelle statunitensi. Uno dei nodi critici &#232 la mancanza di societ&#224 pan-europee di distribuzione che riescano ad affermare all¿estero i propri prodotti. Gli aspetti del problema sono numerosi. Tra gli altri la mancanza di «promozione incrociata» tra i vari paesi europei: &#232 possibile pensare ad una sorta di «marchi doc» che riguardino i prodotti di informazione, e che siano la leva per spingere il marketing di quei prodotti anche fuori dei confini europei.

La seconda parola d¿ordine &#232 «il ripensamento del concetto di servizio pubblico a livello europeo». Quest¿ultimo infatti, sta attraversando una profonda crisi di identit&#224 (tra i tanti nodi critici, la confusione tra servizio pubblico e customer satisfaction) e richiede, come sottolineano Olivi e Somalvico &#091La nuova Babele elettronica, Il Mulino, Bologna, p. 241&#093, «una rifondazione che lo ritrovi protagonista con un ruolo di apripista e di alfabetizzazione in questo difficile processo di transizione verso una societ&#224 i cui tratti rimangono sinora largamente imprevedibili».

Se per fare un esempio, Internet &#232, da un lato, un formidabile e unico strumento di accesso a news e prodotti di info-tainment e ai pubblici servizi, un link tra mondi geograficamente e culturalmente lontani, nonch&#233 uno spazio di visibilit&#224 per gruppi sociali ed idee isolate e di nicchia, d¿altro lato esso cambia le relazioni sociali, disincentiva i rapporti faccia-faccia, stimola ¿ su una utenza, questo &#232 il punto, non alfabetizzata ¿ una fruizione isolata e passiva di prodotti di informazione e intrattenimento, e scardina tutti i modi di relazione e di consumo delle informazioni tradizionali. Inoltre, Internet pone problemi molto complessi come quello della propriet&#224 intellettuale. I diritti del cittadino e i doveri delle imprese nei confronti di quest¿ultimo come sono tutelati? E i minori? Quanto la ricerca riflette su come stanno cambiando i rapporti familiari e il concetto di lavoro?

&#091¿&#093 Ed &#232 ancora tutto da esplorare il ruolo dell¿ICT e della Societ&#224 dell¿informazione riguardo alla partecipazione politica, perch&#233 a fronte di una «potenza di fuoco informativa», le nuove reti non sono ancora riuscite ad alimentare un circuito di coinvolgimento ed integrazione.

Il punto, quindi, &#232 che le reti dell¿informazione non sono di per s&#233, un vantaggio, un fattore di sviluppo sociale, perch&#233 non c¿&#232, come segnala Mark Warschauer &#091Reconceptualizing the Digital Divide, in First-monday, www.firstmonday.org&#093 un solo tipo di accesso all¿ICT, ma molti, e il significato e il valore dell¿accesso variano nei particolari contesti sociali e sono fortemente legati all¿educazione e quindi alla capacit&#224 di fare il miglior uso di quell¿accesso ai fini della propria inclusione sociale.

Il percorso per superare il digital divide e per fare dell¿ICT uno strumento di sviluppo sociale, &#232 dunque quello di una nuova alfabetizzazione, alla cui base ci sia non soltanto l¿attenzione a stimolare una educazione all¿accesso ma anche un ragionamento sui contenuti a cui si accede ed ancora l¿individuazione del perimetro e delle forme del supporto necessario a livello statale ed europeo.

In questo senso, quindi, occorre fare riferimento ad un concetto rinnovato di servizio pubblico in cui le istituzioni fungano da trait-d¿union tra le comunit&#224 della rete e il cittadino venga finalmente collocato al centro della Societ&#224 dell¿informazione, trasformato in soggetto attivo di un fondamentale processo di conoscenza.

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