Più donne ai vertici aziendali in Europa e l’aumento più forte si registra in Italia

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Stando ai dati parziali pubblicati oggi dalla Commissione europea, la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società europee quotate in borsa è aumentata al 15,8%, contro il 13,7% di gennaio 2012: le amministratrici non esecutive sono in media il 17% (contro il 15% di gennaio 2012) e quelle esecutive il 10% (contro l’8,9%). L’aumento interessa tutti gli Stati membri dell’Unione, tranne Bulgaria, Polonia e Irlanda.

 

L’aumento di 2,2 punti percentuali rispetto a ottobre 2011 è il più significativo cambiamento su base annua fin qui rilevato. Il dato fa seguito alla proposta della Commissione, adottata il 14 novembre 2012, sull’equilibrio di genere nei CdA delle società quotate (IP/12/1205 e MEMO/12/860) che fissa come obiettivo una presenza femminile del 40% basata sul merito. Il dato riflette inoltre le discussioni ai vertici dell’Unione sulla necessità di norme che disciplinino la presenza di donne nei CdA.

 

I nuovi dati sono stati annunciati oggi al Forum economico mondiale di Davos dalla Vicepresidente Viviane Reding in una seduta pubblica sulle donne nel processo decisionale economico, in presenza di Christine Lagarde, direttrice generale del Fondo monetario internazionale.

 

La pressione normativa funziona: provare per credere. Le aziende cominciano finalmente a capire che, per rimanere competitive in una società che invecchia, non possono fare a meno dei talenti femminili: il 60% dei laureati sono donne“, ha dichiarato la Vicepresidente Viviane Reding, Commissaria europea per la Giustizia. “L’esempio di paesi come Belgio, Francia e Italia, dove le misure legislative introdotte di recente cominciano a dare i primi frutti, dimostra inequivocabilmente la validità di un intervento normativo limitato nel tempo. La proposta di direttiva che abbiamo presentato spingerà le imprese a sfruttare i talenti esistenti e permetterà di promuovere l’equilibrio di genere in tutti i vertici aziendali al’interno del mercato interno“.

 

I paesi che hanno introdotto le quote rosa continuano a fare da traino. L’aumento più forte si registra infatti in Italia (4,9 punti percentuali e uno score dell’11%) dove, in forza della nuova normativa, entro il 2015 le società quotate e a partecipazione pubblica dovranno assicurare una partecipazione femminile del 33% negli organi di gestione e vigilanza. La Francia, che ha introdotto le quote rosa nel 2011, è diventata il primo paese dell’Unione ad avere più di una donna ai vertici delle principali società quotate; le donne nei consigli di amministrazione delle società CAC 40 sono attualmente il 25%, ovvero un aumento del 2,8% in soli 10 mesi (gennaio-ottobre 2012) e la quota introdotta per gli amministratori esecutivi e per quelli non esecutivi di società quotate e di grandi società non quotate (a partire da 500 dipendenti e con un utile superiore a 50 milioni di euro) è del 40% entro il 2017, con un obiettivo intermedio del 20% entro il 2014.

 

La Bulgaria è l’unico paese a registrare un calo sensibile (-4 punti percentuali), mentre la percentuale di donne nei CdA rimane invariata in Polonia e Irlanda (rispettivamente 12% e 9%).

 

I dati resi noti oggi sono promettenti ma resta molto da fare: non ci sono ancora donne ai vertici di un quarto delle più grandi imprese dell’UE (25%).

 

L’ultima relazione annuale della Commissione europea sulle donne nel processo decisionale economico è di marzo 2012 e la prossima relazione completa sarà pubblicata a aprile 2013. I dati parziali di oggi, raccolti a ottobre 2012 e rapportati a quelli raccolti da gennaio 2012, sono consultabili online.

 

Il 14 novembre 2012 la Commissione ha adottato una proposta di direttiva che fissa come obiettivo minimo una quota del 40% di amministratori non esecutivi del sesso sottorappresentato entro il 2020 per le società europee quotate e entro il 2018 per quelle pubbliche (si veda IP/12/1205 e MEMO/12/860).

 

Principali elementi della proposta:

 

  • la direttiva impone alle società europee quotate in borsa con meno del 40% di donne nei consigli di vigilanza di introdurre una nuova procedura di selezione che dia priorità alle candidate che vantano le qualifiche necessarie;
  • la direttiva mette l’accento sulle qualifiche. Le candidate non ottengono il posto solo perché donne ma allo stesso tempo non possono essere scartate in quanto tali;
  • la direttiva si applica solo ai consigli di vigilanza o agli amministratori non esecutivi di imprese quotate in borsa, in virtù del loro peso economico e della loro alta visibilità, e non si applica alle piccole e medie imprese;
  • gli Stati membri dovranno stabilire sanzioni adeguate e dissuasive per le società che non rispettano la direttiva;
  • la misura è temporanea e scade automaticamente nel 2028;
  • la proposta prevede anche una “quota di flessibilità” come misura complementare: le società quotate in borsa dovranno fissare obiettivi di autoregolamentazione, da realizzare entro il 2020 (2018 per le imprese pubbliche), in modo da assicurare una rappresentanza di genere equilibrata tra gli amministratori esecutivi. Le imprese dovranno rendere conto ogni anno dei progressi compiuti.
  • Prossime tappe: perché diventi legge, il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’Unione dovranno adottare, in sede di Consiglio, la direttiva proposta della Commissione. Il Parlamento europeo ha nominato correlatrici (relatori per parere) della proposta le deputate Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (commissione per i diritti della donna) e Evelyn Regner (commissione giuridica).

 

Al Consiglio la proposta è stata discussa in prima battuta a dicembre (MEMO/12/940) e una seconda discussione sarà organizzata dalla Presidenza irlandese dell’Unione in occasione della riunione dei ministri responsabili per l’occupazione e gli affari sociali (Consiglio EPSCO) del 20 giugno 2013.

 

Intanto il 15 gennaio la proposta di direttiva ha superato il controllo di sussidiarietà (43 sì e 11 no) nell’ambito del quale i parlamenti nazionali (2 voti per ciascun parlamento per un totale di 54 voti) formulano un parere sull’opportunità di regolare la questione a livello dell’UE piuttosto che in ambito nazionale.