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L’AI? La tecnologia più triste di sempre: ci rende ricchi ma infelici

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Le statistiche parlano chiaro: mentre negli anni ’90 il 72% degli americani era entusiasta delle nuove tecnologie, oggi solo il 31% si dichiara a proprio agio con l’AI.

Nonostante l’AI venga salutata dai mercati finanziari come una delle innovazioni più redditizie dell’epoca moderna, la sua diffusione genera un senso diffuso di inquietudine tra i cittadini comuni.

Le statistiche parlano chiaro: mentre negli anni ’90 il 72% degli americani era entusiasta delle nuove tecnologie, oggi solo il 31% si dichiara a proprio agio con l’AI. Il confronto con l’epoca del boom dot-com mette in evidenza un cambiamento profondo nel rapporto emotivo tra società e tecnologia.

L’adozione dell’AI da parte delle grandi aziende è spesso percepita come un mezzo per ridurre il personale più che per migliorare la qualità del lavoro. Il valore azionario delle cosiddette “Magnificent Seven”, tra cui Microsoft e Nvidia, è aumentato vertiginosamente dal 2022, ma ciò non ha comportato un aumento del benessere collettivo.

Al contrario, l’insicurezza lavorativa cresce e la percezione di essere sostituibili da algoritmi si estende anche ai ruoli cognitivi e creativi. Economisti di istituzioni prestigiose, come Goldman Sachs e Yale, immaginano scenari futuri in cui il lavoro umano nei settori intellettuali diventa superfluo, con la conseguenza che la quota di reddito generata dal lavoro tende allo zero.

Questa prospettiva è vista con allarme da molti, soprattutto giovani lavoratori, che vedono ridursi le opportunità professionali prima ancora di iniziare la propria carriera.

A livello politico, sebbene oggi l’AI goda di una forte spinta istituzionale, l’opinione pubblica resta scettica: meno del 40% degli intervistati si fida dell’industria dell’AI, percentuale inferiore rispetto a quella riservata ad altri settori come finanza o sanità. L’entusiasmo economico sembra dunque scontrarsi con una profonda crisi di fiducia collettiva.

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