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Facebook, ex dipendenti scrivono a Zuckerberg. E Snapchat dice stop a Trump

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Snapchat ha deciso di non promuovere gli account del presidente degli Stati Uniti Donald Trump: "incita l'odio e la violenza spiega l'azienda". Nel frattempo ex dipendenti di Facebook scrivono una lettera molto critica a Mark Zuckerberg.

Snapchat, uno dei social network più apprezzati dai giovani, ha dichiarato che non accetterà più la promozione dei messaggi del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Il social network ha accusato ieri il Tycoon d’incitare l’odio e la violenza razziale dichiarando: “non amplificheremo più voci che incitino alla violenza razziale e all’ingiustizia facendo loro promozione gratuita”.

L’azienda fa riferimento ai controversi commenti di Trump sulle proteste antirazziste e contro la violenza della polizia organizzate negli Stati Uniti dopo la morte di George Floyd. Uno di questi commenti minacciava l’uso di “cani feroci” contro i manifestanti che stavano protestando vicino alla Casa Bianca.

I messaggi comunque, fa sapere il social media, resteranno visibili agli utenti che cercheranno specificamente i messaggi di Trump.

E’ il secondo caso di presa di posizione di un social network contro Trump. Il primo era stato Twitter, che aveva provocato la settimana scorsa l’ira del presidente Usa mettendo un avvertimento sui suoi tweet che dice che il tweet può incitare alla violenza.

Twitter e Snapchat si schierano contro Trump. E Facebook?

Gli ex dipendenti di Facebook scrivono una lettera a Mark Zuckerberg

Della rivoluzione interna di Facebook ne abbiamo parlato ieri. La società di Menlo Park sta attraversando uno dei momenti più difficili da quando è nata, nel 2004, a causa delle prese di posizioni ‘molto discutibili’ del suo capo e fondatore Mark Zuckerberg.

Zuckerberg, a differenze di Twitter e Snapchat, ha deciso di non intervenire sui post del presidente americano Donald Trump, in quanto secondo lui “i social network non dovrebbero essere l’arbitro della verità di tutto ciò che gli utenti postano online”.

Ma non la pensano così i suoi dipendenti, che, tra scioperi virtuali e vere e proprie dimissioni, stanno mettendo in discussione il suo operato.

Proprio ieri, si è aggiunta pure una lettera, che alcuni ex dipendenti hanno inviato alla società sollecitando il colosso dei social media a riconsiderare la sua posizione sul modo in cui gestisce i messaggi pubblicati dai politici.

La lettera, secondo quanto riporta il New York Times, firmata da circa trenta ex-dipendenti definiscono la sua decisione di non oscurare il tweet di Trump – quando iniziano i saccheggi iniziano gli spari – un tradimento dei valori dell’azienda.

La lettera

“Facebook deve riconsiderare le sue policy in merito ai discorsi politici, iniziando con l’eseguire il fact checking degli esponenti ed etichettando in modo esplicito i post dannosi“, si legge nella lettera. “Non lavoriamo più su Facebook, ma non lo rinneghiamo. Al tempo stesso però non lo riconosciamo più. Siamo ancora orgogliosi di ciò che abbiamo costruito, grati per l’opportunità e speranzosi per la forza positiva che può diventare. Ciò però non significa dover restare in silenzio. Abbiamo infatti la responsabilità di farci sentire.

Per prima cosa il comportamento di Facebook – continua la lettera – non è in linea con l’obiettivo dichiarato di evitare qualsiasi censura politica. Facebook già agisce, come Mark Zuckerberg ha ribadito venerdì, come arbitro della verità. Monitora le discussioni ogni volta che aggiunge un avviso ai link, quando abbassa il rating dei contenuti per ridurne la diffusione ed esegue il fact checking di quanto pubblicato da chi non è un politico.

Ora Facebook ha capovolto il proprio obiettivo. Dichiara che fornire un avviso in merito al discorso di un politico è inappropriato, ma rimuovere il contenuto di un cittadino è accettabile, anche se entrambi dicono la stessa cosa. Questa non è una posizione nobile per la libertà. È incoerente e, peggio, è da codardi. Facebook dovrebbe sottoporre i politici a standard più rigorosi rispetto a quelli dei loro elettori.

Facebook già agisce come arbitro della verità

Il post di venerdì del Presidente Trump non solo minaccia la violenza dello stato contro i suoi cittadini, ma manda anche un segnale ai milioni che prendono spunto dalle parole del Presidente. La policy di Facebook permette a quel post di rimanere dov’è. In un’epoca di sparatorie in diretta streaming, Facebook dovrebbe conoscere il pericolo che questo comporta meglio di chiunque altro. La retorica di Trump, immersa nella storia del razzismo americano, ha preso di mira le persone alle quali Facebook non avrebbe consentito di rispondere.

È questo è il sentimento che motiva questa lettera. Siamo devastati nel vedere qualcosa che abbiamo costruito e qualcosa in cui abbiamo creduto per rendere il posto un mondo migliore perdere la propria strada in modo così profondo. Capiamo che è difficile rispondere a domande di tale importanza, ma è stato difficile anche costruire la piattaforma che ha portato a questi problemi. C’è la responsabilità di risolverli e risolvere questi problemi è una cosa che Facebook è in grado di fare.

A Mark: sappiamo che valuti approfonditamente questi problemi, ma sappiamo anche che Facebook deve lavorare per riguadagnare la fiducia del pubblico. Facebook non è neutrale, non lo è mai stata. Rendere il mondo più aperto e connesso, rafforzare le comunità, dare voce a tutti, non sono idee neutrali. Il fact checking non è censura. Etichettare un’uscita come violenta non è autoritarismo. Per favore riconsidera la tua posizione.