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Trump prova a togliere l’immunità a Twitter. Il social ‘nasconde’ un suo tweet. E l’Europa?

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Oggi il social ha segnalato un tweet di Trump, accusandolo di violazione dei propri standard “sull’esaltazione della violenza”. Ma non ha cancellato il messaggio.

Nuovo ‘colpo di scena’ nello scontro Trump-Twitter. Oggi il social ha segnalato un tweet di Trump, accusandolo di violazione dei propri standard “sull’esaltazione della violenza”. Ma non ha cancellato il messaggio.

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Il presidente, parlando dei disordini per l’uccisione dell’afroamericano George Floyd, ha scritto: “questi teppisti stanno disonorando il ricordo di Goerge Floyd, e io non permetterò che accada. Ho appena parlato con il governatore Tim Walz e gli ho detto che le forze armate sono totalmente con lui. Se ci sono difficoltà, assumeremo il controllo, ma quando parte il saccheggio, si inizia a sparare. Grazie!”

Twitter: “Il messaggio resta visibile”

Twitter ha stabilito che è nell’interesse pubblico il tweet “resti accessibile”. Basta così cliccare su “visualizza” per leggerlo.

Le puntate precedenti dello scontro Trump-Twitter

Se le regole del gioco non ti piacciono provi a cambiarle. Questo è l’obiettivo di Donald Trump nello scontro con Twitter. Ieri il presidente degli Stati Uniti ha firmato l’ordine esecutivo con cui punta, ma non sarà facile, a rimuovere l’immunità legale ai social network sui contenuti veicolati dagli utenti. Concretamente Trump non può fare nulla personalmente. L’ordine esecutivo rende più facile alla Federal Communications Commission ridefinire le “regole del gioco” su Twitter ed anche su Facebook, YouTube, ecc..

L’ordine esecutivo punta a reinterpretare la legge del 1996, la Communications Decency Act, riducendo l’ampia immunità contro eventuali cause garantita dall’articolo 230 ai siti che moderano le loro piattaforme. A farsene carico dovrebbe essere il dipartimento del Commercio e la Federal Trade commission, che tuttavia è un’agenzia federale indipendente. L’ordine argomenta che la protezione si applica alle piattaforme che operano in “buona fede”, sostenendo che i social non ne hanno e attuano invece una “censura selettiva”. “In un Paese che ha a lungo amato la libertà di espressione non possiamo consentire che un limitato numero di piattaforme online selezionino personalmente i discorsi cui gli americani possono avere accesso o mettere online”, si legge nel testo. “Questa pratica è fondamentalmente anti americana e anti democratica. Quando grandi e potenti società social censurano le opinioni che non condividono esercitano un potere pericoloso”, prosegue il testo, che prevede anche limitazioni agli investimenti federali sulle loro piattaforme. Difficile, secondo gli esperti, che Trump possa da solo cambiare la legge. Ma l’effetto deterrente della mossa è chiaro.

La mossa sarà sicuramente sfidata nei tribunali da Twitter, Facebook, Youtube e Google, che da ieri continuano a subire perdite a Wall Street. La posta in gioco è altissima e riguarda gli argini alla disinformazione, la prerogativa di accertare i fatti in un’epoca dove i leader politici usano sempre di più le piattaforme social per comunicare direttamente con l’opinione pubblica. A partire da Trump con i suoi 80 milioni di follower su Twitter, il social ha circa 330 milioni di utenti: circa un quarto del totale sono follower di Trump.

In attesa di vedere come andrà a finire in USA la battaglia di Trump “per difendere la libertà di espressione da uno dei pericoli più gravi che la storia americana ha dovuto affrontare”, ha detto ieri il presidente prima di firmare l’ordine esecutivo, vediamo come l’Unione europea sta affrontando il tema per regolare i giganti del web. In Europa l’“immunità” è garantita a tutti i social network sia dalla norme Ue (la direttiva 2000/31 sul commercio elettronico).

Innocenzo Genna scrive su HuffPost: “Il regime della responsabilità delle piattaforme è pertanto in fase di revisione. In parte lo è già avvenuto, con il video-sharing (per via della recente direttiva Copyright) e con la proposta di direttiva riguardante i contenuti terroristici (tutt’ora pendente a Bruxelles). Ma una importante novella legislativa potrebbe arrivare dal c.d. Digital Service Act, una proposta di revisione delle regole dell’Internet che la Commissione Europea pubblicherà tra qualche settimana”.

Il Digital Services Act, si legge nell’agenda per l’Europa presentata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sarà “una nuova legge sui servizi digitali che aggiornerà”, tra le altre norme, “la responsabilità e le norme di sicurezza per le piattaforme digitali nel mercato unico digitale”.

Staremo a vedere. Nel frattempo, si registra in Italia sulla stampa più vicina al centrodestra una forte critica nei confronti del fack checking di Twitter:

Ieri su Il Giornale di Francesco Maria Del Vigo scrive: “Inevitabilmente dal profilo del presidente Trump, nel corso degli anni, sono uscite anche delle sciocchezze. Ma quanto siano giuste, attendibili o politicamente corrette le dichiarazioni di un Presidente lo devono decidere gli elettori. Non una task force di presunti esperti di fake news e neppure un algoritmo che avverte il lettore, come se fosse un cretino, di verificare i fatti. Delegare a un software il potere di decidere chi ha o non ha la facoltà di esprimere le proprie opinioni, di qualunque tipo esse siano, è una follia, un incubo da romanzo distopico. È il primo passo verso la dittatura del pensiero unico digitale”, ha osservato Del Vigo.

E sul sito di Nicola Porro è ospitato l’articolo di Alessandro Rico dal titolo: “E ora Twitter vuole dirci anche come votare”.