Dopo Google, tocca ad Amazon spiegare alla Gran Bretagna perché non paga tasse. Dagli USA, la soluzione di Tim Cook

di Raffaella Natale |

Il Ceo di Apple, a pochi giorni dalla sua audizione al Senato USA, anticipa i contenuti del suo intervento: meno tasse per far rientrare i capitali dall’estero.

Gran Bretagna


Tim Cook

E’ toccato oggi ad Amazon tornare davanti alla Commissione l’inchiesta britannica sull’evasione fiscale, che ieri ha risentito Matt Brittin, vicepresidente di Google, per il quale le accuse sono state pensatissime (Leggi Articolo Key4biz).

La Gran Bretagna, così come Francia, Germania, Italia e altri Stati europei, accusa le due web company di ricorrere a pratiche aggressive di ottimizzazione fiscale per non pagare le tasse e traghettare i profitti nei Paesi che garantiscono trattamenti ‘favorevoli’.

La questione non è nuova e la Ue ha messo in campo una serie di misure più dure contro la pianificazione delle tasse, prevedendo maggiori controlli sui paradisi fiscali (Leggi Articolo Key4biz). Ogni anno nell’Ue si perdono, infatti, mille miliardi di euro a causa dell’evasione e dell’elusione fiscali. Bruxelles ha così cercato di porre un freno a queste ‘subdole’ pratiche.

 

La Commissione britannica accusa le due società di ricorrere ad alcuni escamotage per pagare le tasse al minimo, presentando le divisioni locali come filiali ‘non operative’ ma ‘ausiliarie’, mentre le vendite dei servizi passano tutte ufficialmente dalla sede principale che ovviamente si trova in un Paese con un regime fiscale più agevole:, Dublino per Google e Lussemburgo per Amazon.

 

Nel caso della società di Jeff Bezos, però, secondo diverse testimonianze di clienti e di alcuni ex dipendenti, le filiali britanniche sono in realtà autonome e il personale gestisce direttamente contratti di vendita.

Amazon “è un business britannico, dato che il 99% delle persone responsabili per gli acquisti, il marketing, la gestione delle attività online e le spedizioni sono a Slough“, cittadina inglese dove il gruppo ha la sua sede, ha spiegato Bryan Roberts, direttore della società di consulenza specializzata Kantar Retail..

 

Lo scorso anno Amazon ha pagato 2,4 milioni di sterline di tasse in Gran Bretagna su vendite nel Paese di 4 miliardi di sterline. Negli ultimi sei anni ha pagato al fisco un totale di 5,9 milioni su vendite di oltre 23 miliardi.

 

Google ha pagato 3,4 milioni di tasse in Gran Bretagna, su vendite di 4,9 miliardi di sterline.

Brittin ha comunque insistito che Google è in regola: “Le tasse non sono questione di scelta, si tratta di seguire la legge“, ha detto ieri.

I vertici dell’azienda hanno poi criticato la posizione della Commissione: “Sosteniamo la testimonianza resa da Matt Brittin nel corso delle due udienze di fronte al Parlamento e non concordiamo con la visione della nostra struttura fiscale“.

“Come abbiamo sempre detto – ha aggiunto il portavoce della compagnia americana – rispettiamo completamente tutte le normative fiscali del Regno Unito”.

 

Le leggi sul fisco, in effetti, hanno sicuramente bisogno d’essere profondamente riformate, e non solo quelle della Gran Bretagna, perché non sono più al passo con le evoluzioni determinate dall’avvento dell’economia digitale. Anche i trattati internazionali in materia vanno riguardati. Per l’OCSE in due anni è possibile sradicare l’evasione fiscale (Leggi Articolo Key4biz) e il premier britannico David Cameron ha posto la questione all’attenzione del G8 (Leggi Articolo Key4biz).

 

Anche la catena di caffetterie americane, Starbucks, è stata sentita dalla Commissione parlamentare britannica e, dopo le forti critiche ricevute per la sua condotta ‘tributaria’ (alcuni avevano minacciato di boicottarla), si è impegnata a pagare almeno 10 milioni di sterline l’anno di tasse in Gran Bretagna.

 

Il problema delle web company americane che si sottraggono al fisco riguarda anche gli Stati Uniti. Martedì il CEO di Apple, Tim Cook, sarà in senato per un’audizione sulla riforma del codice fiscale.

Cook, stando all’intervista esclusiva rilasciata al Washington Post, proporrà una “semplificazione sostanziosa” delle leggi che regolano il modo in cui sono tassate le aziende.

Cook ha detto al giornale che presenterà proposte specifiche volte ad incoraggiare la Corporate America a riportare negli Stati Uniti utili generati all’estero e investire quel denaro nella creazione di nuovi posti di lavoro e in ricerca e sviluppo.

Più di mille aziende americane generano 1.700 miliardi di dollari all’estero, stando a un’analisi diffusa da JP Morgan. Ed Apple è una di quelle che maggiormente ha costruito le sue fortune fuori dai confini americani.

Tuttavia molte di queste aziende sostengono che il peso fiscale degli Stati Uniti sia troppo alto rispetto a quello degli altri Paesi occidentali. “In America si versa il 35% di imposte e questo non va bene – ha osservato Cook – non vogliamo arrivare a zero, ma a una cifra ragionevole”.

 

Il sito Politico riporta che “…Il CEO di Apple Tim Cook è chiamato martedì a testimoniare alla Sottocommissione Permanente sulle Investigazioni (…) Apple è stata sotto accusa per le sue pratiche sulle tasse, la compagnia dispone di 100 miliardi di dollari in fondi offshore (…) L’udienza è parte di una continua analisi su come le compagnie trasferiscano i loro profitti offshore e su come questo influenzi la tassazione”.