l'audizione

Web tax, dopo Apple la Procura di Milano ‘marca’ Google, Amazon e Facebook

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Francesco Greco (Procuratore capo di Milano) in audizione in Senato su ddl per le misure fiscali per la concorrenza nell'economia digitale: ‘Abbiamo concluso procedimento su Apple che ha pagato 310 milioni, mentre stiamo indagando su Google, Amazon e Facebook’.

Procedono le audizioni in Commissione Industria e Finanze del Senato sul disegno di legge che punta a introdurre una regolamentazione fiscale alle attività delle multinazionali del digitale. Oggi è stato audito Francesco Greco, Procuratore capo di Milano: “Abbiamo concluso un procedimento nei confronti di Apple e l’azienda Usa ha pagato 310 milioni di euro“, ha dichiarato Greco, che poi ha aggiunto: “al momento ci sono “procedimenti aperti nei confronti di Google, Amazon e Facebook“.

Le proposte: tracciabilità dei bit e moneta elettronica

Francesco Greco ai membri della Commissione ha anche avanzato le sue proposte per combattere l’elusione fiscale delle multinazionali: “attraverso la tracciabilità dei flussi finanziari, delle merci, dei bit e al tempo stesso varare una normativa seria che incentivi l’uso della moneta elettronica e che ponga fine all’uso del contante in Italia”. Secondo il magistrato: “La tracciabilità delle merci ha due punti di controllo che sono le dogane e i magazzini di stoccaggio che sono verificabili mentre la tracciabilità dei bit implica la collaborazione dei gestori”.

 

Come si è indagato su Apple

“Gli accertamenti della Procura di Milano, nel procedimento nei confronti di Apple”, ha raccontato Greco, “hanno riguardato solo la grande distribuzione e non le transazioni retail online che sono il 50% del ricavato di questi colossi del web perché ci sono grandi problemi in termini di accertamento”. Per questo motivo il Procuratore capo di Milano nell’affrontare la tassazione sul web, ha spiegato che il problema va affrontato “sotto il profilo dell’antitrust, della fiscalità e della tutela dei dati che vengono raccolti”.

Per capire quanto vale il (mancato) rapporto tra autorità fiscali nazionali e giganti del web è utile riprendere i dati presentati dal Consigliere dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, sul tema in una recente audizione informale. Ha puntato la sua attenzione sul mercato della pubblicità digitale, una prateria da 36,4 miliardi di valore in Europa (un terzo della spesa pubblicitaria complessiva, dato 2015). E in Italia, nello stesso anno, ha rappresentato il secondo canale in termini di rilevanza, raggiungendo 1,66 miliardi (22,5 per cento del totale). L’Authority dei conti pubblici ha riconosciuto che il settore è fortemente concentrato: ai soli Google e Facebook fa capo la metà del mercato. E qui emergono i problemi: nel 2015, “i ricavi generati da Google nel nostro Paese sono stimati in 637 milioni a fonte di 67 milioni risultati dal bilancio di Google Italia. Per Facebook la differenza è ancora maggiore: rispettivamente 233 milioni contro 8 milioni”, ha rilevato Zanardi. E ancora, nel caso di Mountain View “i ricavi che si stima originino in Italia rappresentano il 2,4 per cento del mercato europeo, quelli riportati nel bilancio di Google Italia sono lo 0,3 per cento. Per Facebook la divergenza è anche più importante con il 2,8 per cento di ricavo geografico contro lo 0,1 per cento di ricavo di gruppo”. Insomma, per i libri contabili i ricavi si spostano laddove vengono meno tassati. E l’esito (con relativo sconto) è presto detto: sempre in base alle “informazioni disponibili relative al 2015 è possibile valutare per i due” colossi del web “qual è il peso fiscale effettivo gravante sugli utili che, si stima, originino in Italia: l’aliquota effettiva è del 23,9 per cento per Google e del 18 per cento per Facebook, contro un’aliquota (IRES più IRAP) che in Italia era del 31,4 per cento”.

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