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Apple: chiusa l’indagine in Italia. Ora rischia il rinvio a giudizio per evasione

Apple

Comincia a stringersi il cerchio intorno ad Apple e Google in Italia. Mentre la politica continua a tenere nel cassetto il progetto di rimettere mano alla Web Tax, il fisco agisce.

Nel mirino delle autorità italiane i sistemi utilizzati dalle due multinazionali, e da tante web company, per eludere il fisco e traghettare i profitti verso Paesi con regimi tributari più compiacenti.

Parliamo dei cosiddetti paradisi fiscali contro i quali la Commissione Ue ha annunciato l’ennesimo giro di vite nei giorni scorsi.

Ieri la Procura di Milano ha chiuso l’inchiesta a carico di Apple per una presunta evasione di 879 milioni di euro mentre resta ancora da definire la posizione di Google sulla quale si sta parallelamente indagando.

La notizia per il gruppo guidato da Tim Cook arriva a distanza di alcuni giorni dalla stima degli analisti della banca di investimenti Cantor Fitzgerald che valorizzano la società a 1.000 miliardi di dollari.

In vista adesso la possibile richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei tre manager di Apple coinvolti nella presunta evasione fiscale, a meno che dalla notifica dell’atto ai prossimi quaranta giorni gli indagati non presentino elementi tali da portare all’archiviazione del caso.

I dirigenti coinvolti sono il legale rappresentante e amministratore delegato di Apple Italia Enzo Biagini, il direttore finanziario Mauro Cardaio e il manager della irlandese Apple Sales International, Michael Thomas O’Sullivan.

Pronta la replica dell’azienda di Cupertino che in una nota ha dichiarato: “Apple è uno dei più grandi contribuenti al mondo e paghiamo ogni euro di tasse dovute ovunque operiamo”.
“Queste nuove accuse contro i nostri dipendenti – aggiunge Apple – sono completamente prive di fondamento e siamo fiduciosi che questo procedimento arriverà alla stessa conclusione”.

La compiacenza dell’Irlanda

L’indagine è stata condotta dalla Procura di Milano insieme all’Agenzia delle Dogane e all’Agenzia delle Entrate.

Secondo l’indagine, i profitti realizzati in Italia da Apple sarebbero stati contabilizzati dalla sede irlandese, Paese dove la pressione fiscale è più favorevole.

Non a caso anche la Ue sta indagando sugli accordi esistenti tra Apple e il governo irlandese che dopo una forte pressione ha già deciso dal 1° gennaio di cancellare il famoso Double Irish che permetteva a tante multinazionali, spesso operanti sul web, di pagare tasse irrisorie.

L’ipotesi è il mancato versamento dell’Ires per un totale di circa 879 milioni di euro in 5 anni, dal 2008 al 2013.

In Italia il fascicolo su Apple era stato aperto due anni fa. Allora la Procura di Milano contestava un altro reato e cioè la dichiarazione dei redditi fraudolenta e il periodo di imposta su cui erano partiti gli accertamenti erano il 2010 e il 2011.

Ora invece inquirenti e investigatori hanno raccolto elementi utili per il periodo che va dal 2008 al 2013, riformulando il capo di imputazione nei confronti dei tre manager.

L’azienda due anni fa, in occasione dell’avvio delle indagini, aveva fatto sapere che “Apple è continuamente oggetto di controlli fiscali da parte di governi di tutto il mondo”, precisando che “le autorità fiscali italiane hanno già sottoposto Apple Italia ad audit nel 2007, 2008 e 2009 e hanno confermato la piena conformità dell’azienda ai requisiti di documentazione e trasparenza Ocse”.

Secondo indiscrezioni, è possibile che adesso si cerchi la via dell’accordo, così come si sta facendo con Google.

In Italia solo 8 milioni di euro di tasse nel 2013

 

La miseria di 8 milioni di euro. E’ questa la cifra complessiva versata all’Agenzia delle Entrate nel 2013 dalle due controllate di Apple operative in Italia. Un’inezia rispetto ai ricavi per 38 miliardi realizzati soltanto in Europa dal produttore di iPhone e iPad, che nel nostro paese è attiva con Apple Italia e Apple Retail Italia. I dati sono stati diffusi dall’Ansa, che ha potuto visionare i bilanci delle due aziende.

Apple Retail possiede i 14 Apple Store italiani, i negozi monomarca aperti in 13 Paesi nel mondo. Le due società hanno pagato al Fisco nel 2013 rispettivamente 4,8 e 3,1 milioni di euro di tasse. Qualcosa in più del 2012 (quando Apple Retail era riuscita nell’impresa di chiudere in rosso e maturare un credito fiscale) ma pur sempre un’inezia per una società che, solo con le vendite di una dozzina di Apple Store, nel 2013 ha fatturato nel nostro Paese quasi 300 milioni di euro, il 20% in più dei 249 milioni del 2012.

Nonostante l’impennata dei ricavi l’utile dei negozi si è fermato a poco meno di 2,5 milioni di euro, principalmente per i 220,7 milioni di costi pagati in Irlanda ad Apple Distribution International, fornitore dei prodotti Apple che finiscono in vendita negli scaffali degli store.

Grazie ai diversi regimi fiscali in vigore in Europa, Apple concentra a Dublino i suoi profitti, dove ha strappato un’aliquota inferiore al 2%, sottraendo il grosso dei fatturati dal sistema fiscale dei paesi europei dove vengono generati.

Con Google ‘accordo in alto mare’

In Italia indagini fiscali ancora aperte su Google ma al momento, stando a quanto riporta Il Messaggero, la Procura di Milano avrebbe informato che ‘l’accordo è in alto mare’.

Ci vorrà quindi più tempo rispetto a quello ipotizzato nelle scorse settimane quando la web company ha smentito la notizia dell’accordo da 320 milioni di euro con il fisco italiano.

Il caso resta quindi aperto e Google, come ha fatto sapere, “continua a cooperare con le autorità fiscali”.

Con un’indagine a carico di ignoti, coordinata dal Pm Isidoro Palma e affidata alla Guardia di Finanza, si è accertato che il gruppo avrebbe aggirato il fisco sugli introiti pubblicitari pagati dai clienti italiani ma contabilizzati in Irlanda e alle Bermuda passando per l’Olanda.

Dall’istruttoria è emerso che, malgrado il servizio fosse pensato, contrattato e svolto da Google Italia, fatture e pagamenti venivano invece indirizzati alla controllata irlandese.

Il Messaggero spiega che l’indagine svolta sui clienti italiani della pubblicità su Google, ai quali gli investigatori hanno sequestrato le mail, avrebbe accertato che l’ammontare complessivo degli introiti finiva in Irlanda che poi girava i soldi a Google Olanda sotto forma di royalties per marchi e licenze che tramite un’altra società venivano fatti rientrare di nuovo a Google Irlanda controllata a sua volta da due diramazioni di Google con sede alle Bermuda.

Pm e GdF, continua Il Messaggero, hanno riconosciuto a Google la deducibilità di alcuni costi, ma hanno contestato il meccanismo e alla fine Google si sarebbe orientata a un accertamento per adesione attorno ai 160 milioni l’anno di imponibile dal 208 al 2013.

Tra Ires, Irap, sanzioni e interessi, la somma che Google pareva pronta a versare era pari a circa il 40% degli 800 milioni di imponibile nei 5 anni, vale a dire circa 320 milioni

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