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Tassare le Big Tech per finanziare fibra e 5G. Bruxelles ci pensa, sarà la volta buona?

Questa volta Bruxelles ci sta pensando seriamente. Far contribuire le Big Tech al finanziamento delle nuove reti Tlc, imponendo a player come TikTok, Netflix, Google, Amazon un pedaggio commisurato all’enorme traffico che generano.Secondo Les Echos, il 2023 potrebbe essere l’anno buono, quello tanto atteso e invocato dalle telco, almeno da un decennio. Entro pochi giorni la Commissione Ue lancerà una consultazione sul futuro delle infrastrutture di connettività da oggi al 2030.

Molto attesa dal settore, la consultazione include una sezione di interrogativi particolarmente esplosiva sul possibile “equo contributo” (fair share) al finanziamento delle reti da parte delle piattaforme, che vengono regolarmente accusate di intasamento indebito dei network. Primo passo prima di una possibile legge europea, questa consultazione rilancia un dibattito avviato lo scorso anno con grande clamore dai commissari Margrethe Vestager (Concorrenza) e Thierry Breton (Mercato Interno).

La proposta del fair share delle Big Tech è sostenuta da Francia, Spagna e Italia, più timida la posizione di Germania, Paesi Bassi e Danimarca.

Nel mirino i colossi “Big Tech”, principalmente americani o cinesi, che generano molto traffico, come Netflix, TikTok, YouTube, Disney+ e altri.

Secondo stime, Facebook, Apple, Amazon, Microsoft e Netflix hanno generato da sole il 55% del traffico online nel 2021. Tutto questo, “senza contribuire finanziariamente, o poco, allo sviluppo delle reti nazionali”, in cui operatori hanno investito più di 500 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. Si stimano tra i 36 ei 40 miliardi il costo annuo del traffico generato da questi principali fornitori di contenuti Internet per gli operatori di telecomunicazioni.

Giusto contributo

Lunedì scorso, in Finlandia, il commissario al Mercato Interno Thierry Breton ha rimesso al centro del dibattito la questione del fair share. “In un’epoca in cui le imprese tecnologiche usano al maggior parte della banda larga e gli operatori vedono i loro ricavi sugli investimenti in caduta, tutto ciò solleva la domanda su chi deve pagare per l’infrastruttura di connettività di nuova generazione”, ha detto Breton senza troppi peli sulla lingua.

La consultazione pubblica mira a trovare una rispsta. Dal modo in cui vengono poste le domande, è possibile intuire che cosa abbia in mente la Commissione, in definitiva trovare un modo per far pagare il giusto alle Big Tech. Le prime indiscrezioni del documento in bozza, quasi finalizzato, mostrano quindi che si sta studiando la possibilità di compensazioni dalle piattaforme alle telecomunicazioni in base al traffico generato. Gli attori negozierebbero direttamente gli accordi commerciali e le autorità di regolamentazione nazionali e/o europee potrebbero intervenire in caso di problemi. Filtra inoltre anche l’ipotesi di un fondo per finanziare la realizzazione delle infrastrutture.

Per prendere di mira i più grandi produttori e trasmettitori di dati che “intasano” le reti, Bruxelles considererebbe la possibilità di fissare soglie di traffico minimo, a più o meno 5%. Un metodo che ricorda quello della normativa europea sui mercati digitali (DMA) volta a limitare l’impatto competitivo dei “gatekeeper”, queste aziende con più di 45 milioni di utenti in Europa.

Neutralità della rete

L’equazione non è semplice. Qualsiasi proposta non deve discriminare alcuna azienda in particolare e rispettare anche la neutralità della rete. Ovvero, garantire che gli Isp, che sono le “telco”, non controllino ciò che gli utenti possono e non possono vedere su Internet. Un argomento sul quale i colossi della tecnologia puntano il dito.

Dal canto loro, le Big Tech ribattono sottolineando che sono gli utenti a generare il traffico, e che anche loro stesse, le Big Tech, investono nelle infrastrutture. Alphabet e Meta, ad esempio, hanno speso miliardi per installare cavi sottomarini. Netflix afferma di aver allestito migliaia di box nelle città europee, per comprimere localmente i video e ridurre la quantità di dati trasmessi.

I giganti della tecnologia sostengono inoltre che sono i loro programmi e video a far scattare gli abbonamenti degli operatori di telecomunicazioni.

I clienti pagheranno

Le loro argomentazioni incontrano una certa eco. Alla fine dello scorso anno, l’Organismo dei Regolatori Europei delle Comunicazioni Elettroniche (BEREC) ha espresso parere sfavorevole sulla contribuzione delle piattaforme ai costi di rete.

Il dibattito non è stato però abbandonato. “C’è questa sensazione a Bruxelles che la Commissione, che negli ultimi anni ha bloccato diverse fusioni nelle telecomunicazioni europee, ostacolandone lo sviluppo, debba loro qualcosa”, dice una fonte vicina all’argomento.

I giganti della tecnologia non hanno detto la loro ultima parola. Matt Brittin, presidente di Google per la regione EMEA, ha minacciato durante un evento a Bruxelles alcune settimane fa, che ” se l’Europa avesse aggiunto tariffe di streaming” i clienti avrebbero pagato il conto a loro spese, “o con il prezzo o con servizi peggiori”.

Un argomento che non può lasciare indifferente la Commissione, sempre molto preoccupata per la tutela dei consumatori, tanto più quando l’inflazione è in crescita costante e le bollette energetiche esplodono.

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