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Sterlina digitale, il tema della privacy crea dibattito

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Il lancio di una moneta digitale della Bank of England sostenuta dallo Stato potrebbe essere frenato da preoccupazioni per la sicurezza dei dati personali degli utenti.

La Banca d’Inghilterra sta compiendo significativi passi in avanti nel suo programma di lancio della sterlina digitale (la decisione finale giungerà entro il 2025, mentre il debutto è previsto entro il 2030) emessa dalla Banca centrale (è bene precisare che la valuta digitale non sostituirà ma si affiancherà al pagamento in contanti. Quest’ultimo, nel 2020 ha registrato un calo del 35%).

Nel frattempo, però, il CFA Institute – noto per fornire credenziali di Chartered Financial Analyst – ha condotto un sondaggio da cui emerge che solo il 46% dei professionisti degli investimenti nel Regno Unito è favorevole alla sterlina digitale. Inoltre un’indagine eseguita dal fornitore di portafogli hardware di criptovaluta Trezor rileva che il 51% degli intervistati è preoccupato che, a quel punto, il governo potrà tracciare più facilmente ogni transazione. È evidente, dunque, che la Banca centrale del Regno Unito ha ancora molto lavoro da fare affinché la valuta digitale venga “accolta” con successo.

A più ampio spettro, un nuovo report della Banca dei regolamenti internazionali ha rilevato che il 93% delle banche centrali sta conducendo delle ricerche sulle valute digitali statali (in questo senso, paesi come l’Australia, il Brasile, l’India e il Giappone portano avanti una serie di test, considerando altre opzioni oltre alla blockchain come tecnologia di base); tuttavia, i progetti di monete digitali di banca centrale al vaglio delle autorità monetarie sono assai diversi tra loro, con i programmi e le motivazioni della loro implementazione che variano da un contesto all’altro.

Verso la sterlina digitale

È sterile girarci attorno: l’interesse del governo inglese alle valute digitali e al settore fintech dopo la Brexit risulta molto elevato. Affinché però il Regno Unito possa creare una sua Central Bank Digital Currency entro il 2030 – così come, ritengono la Banca d’Inghilterra e il Dipartimento del Tesoro di Sua Maestà (“sulla base del lavoro svolto fino ad oggi, la Bank of England e HM Treasury ritengono probabile che in futuro sarà necessaria una sterlina digitale”, le parole del governatore Andrew Bailey e del ministro delle finanze, Jeremy Hunt) – è basilare che la Banca centrale sposi appieno l’innovazione e ponga il tema della privacy al centro del dibattito.

Già in tempi non sospetti UK Finance, che rappresenta oltre 300 aziende di servizi finanziari nell’intero Regno Unito, aveva ammonito circa la possibilità che la futura sterlina digitale – praticamente identica ai pagamenti online attuali, non potrà essere usata per acquisire interessi e, quantomeno in principio, prevede delle limitazioni. Una su tutte: per scongiurare possibili speculazioni, sarà previsto un tetto massimo di 20mila crypto sterline a persona – avrebbe suscitato preoccupazione in termini di privacy e interferenza statale. La stessa indagine Trezor conferma: il 73% delle persone intervistate teme che il governo eserciterà un controllo sui loro fondi.

Rassicurazioni su privacy e sicurezza

Il direttore del settore fintech della Bank of England, Tom Mutton, ha condiviso le proprie considerazioni in relazione alla privacy della Central Bank Digital Currency (al di fuori del Regno Unito, la stessa Banca centrale europea sta discutendo della possibilità di introdurre un euro digitale in futuro), dichiarando che sarà focalizzata sull’offerta di riservatezza agli utenti e non verrà prevista la raccolta di dati personali.

Mutton ha inoltre puntualizzato che mentre la banca si dedicherà alla fornitura dell’infrastruttura, gli operatori privati si occuperanno del processo innovativo. “Non ci saranno dati condivisi con la Banca d’Inghilterra, sapremo quali transazioni sono avvenute ma non disporremo di dati sull’individuo che le ha effettuate”. Mentre il provider del wallet – sistema di portafoglio digitale che utilizza un software per trasmettere i dati di pagamento dal conto corrente di un soggetto al rivenditore presso cui viene effettuata la transazione – “avrà i dati dell’utente ma non l’accesso ai dati delle transazioni”, ha concluso Mutton.