Stellantis non lancerà la nuova gamma di veicoli Pro One a idrogeno come inizialmente previsto. La holding guidata dall’italiano Antonio Filosa ha, infatti, annunciato la decisione di interrompere lo sviluppo della propria tecnologia a celle a combustibile. Le ragioni? La limitata disponibilità di infrastrutture di rifornimento, gli alti costi d’investimento e l’assenza di incentivi adeguati all’acquisto. Secondo l’azienda, non si prevede una reale diffusione di veicoli commerciali leggeri a idrogeno prima della fine del decennio.
La produzione in serie, che sarebbe dovuta partire in estate negli impianti di Hordain (Francia) per i furgoni di medie dimensioni e di Gliwice (Polonia) per quelli più grandi, verrà dunque sospesa, mentre le attività di ricerca e sviluppo sull’idrogeno saranno riorientate verso altri progetti.
“In un contesto in cui l’azienda è fortemente impegnata nel rispondere alle stringenti normative sulle emissioni di CO₂ in Europa, Stellantis ha scelto di abbandonare lo sviluppo della tecnologia fuel cell a idrogeno,” ha spiegato Jean-Philippe Imparato, Chief Operating Officer per la regione Enlarged Europe. “Il mercato dell’idrogeno resta una nicchia, senza prospettive di sostenibilità economica nel medio periodo. Dobbiamo compiere scelte nette e responsabili per restare competitivi e soddisfare le aspettative dei clienti con una gamma robusta di veicoli elettrici e ibridi, sia passeggeri che commerciali.”
Idrogeno in Europa, tra slanci e battute d’arresto
L’attuale situazione del mercato dell’idrogeno in Europa presenta sfide complesse, sia sul piano finanziario che burocratico, per molti attori del settore. La decisione di Stellantis si inserisce in un contesto segnato da ritardi, rinvii e cancellazioni che stanno rallentando l’intero comparto nel Vecchio Continente. A testimoniarlo è anche l’ultimo report Hydrogen Compass, che evidenzia lo stallo di numerosi progetti in Germania e Regno Unito, aggravato dalla frammentazione normativa che ostacola l’attuazione degli obiettivi RED III per il trasporto.
Grandi progetti in stand-by
Giugno ha segnato una serie di stop importanti nello sviluppo dei progetti a idrogeno in Europa. Tre iniziative di rilievo sono state sospese a causa di ostacoli noti: economia sfavorevole, instabilità normativa e scarso sostegno pubblico.
In Germania
In Germania, EWE ha cancellato il progetto da 50 MW a Brema dopo il ritiro di ArcelorMittal dall’iniziativa per l’acciaio verde, nonostante fossero stati promessi 1,3 miliardi di euro di sussidi. Il disimpegno di un attore industriale strategico rivela quanto sia complessa la decarbonizzazione industriale in Europa, ostacolata anche dalla rigidità delle regole UE e nazionali, come quelle sui carburanti RFNBO. Il Gruppo porterà avanti altri progetti nell’ambito dell’iniziativa Clean Hydrogen Coastline, ma ha lanciato un appello per riforme immediate su energia, burocrazia, fondi e infrastrutture, fondamentali per ristabilire la fiducia degli investitori.
Sempre in Germania, anche LEAG ha deciso di rinviare il progetto H2UB Boxberg da 100 MW. La scelta è legata soprattutto all’abbandono da parte del governo tedesco della Power Plant Safety Act, una legge che prevedeva finanziamenti per 500 MW di capacità a idrogeno.
In UK
Nel Regno Unito, Air Products ha sospeso il progetto da 2 miliardi di sterline per un terminale di importazione di ammoniaca verde e idrogeno nel porto di Immingham. L’autorizzazione per produrre fino a 76.000 tonnellate di idrogeno l’anno era già stata ottenuta, ma mancava un supporto politico concreto: né sussidi, né investimenti diretti da parte del governo. L’azienda non ha escluso la ripresa futura del progetto, ma ha ribadito che servono impegni vincolanti di acquisto (offtake) sostenuti da politiche mirate.
Pressioni e consolidamenti tra i produttori di elettrolizzatori
Il mese di giugno ha confermato le difficoltà che attraversano anche il comparto tecnologico dell’idrogeno, spingendo le aziende verso fusioni e acquisizioni.
Thyssenkrupp Nucera ha acquisito asset strategici di Green Hydrogen Systems, azienda danese fallita da poco. L’operazione include proprietà intellettuali e un impianto pilota in Danimarca, e rafforza le capacità di Nucera negli elettrolizzatori alcalini ad alta pressione, affiancando le sue soluzioni alcaline e a ossido solido. La chiusura dell’accordo è attesa entro l’estate, dopo l’approvazione giudiziaria.
Nel frattempo, il produttore francese McPhy, attualmente insolvente, ha ricevuto tre offerte da John Cockerill, Hynamics e Atawey. John Cockerill è in pole position, forte di un piano che punta a salvaguardare l’occupazione e integrare lo stabilimento da 1 GW nella propria rete produttiva. Anche Hynamics, già partner di McPhy, potrebbe beneficiare dell’integrazione verticale.
Ma c’è chi avanza
In mezzo a tante difficoltà, però, c’è anche chi avanza. L’inglese ITM Power, per esempio, ha registrato progressi significativi lo scorso mese.
Ha firmato un contratto FEED con Uniper per il progetto Humber H2ub da 120 MW a Killingholme, con sei moduli POSDEIDON da 20 MW destinati a fornire idrogeno alla raffineria di Philips 66. Il progetto è stato selezionato nell’ambito del programma britannico Hydrogen Allocation Round 2 (HAR 2) e punta a entrare in funzione entro il 2029, previa decisione finale d’investimento.
In parallelo, ITM ha lanciato Hydrogenpulse, una nuova controllata con sede a Berlino, che propone un servizio di idrogeno “as-a-service” per piccoli impianti in Germania, Regno Unito e Paesi nordici, utilizzando moduli Neptune II. Il modello permette ai clienti di ricevere idrogeno a basso costo senza anticipi, superando la necessità di intermediari o sviluppatori terzi.
Nonostante il quadro incerto, due progetti sono entrati ufficialmente in fase operativa. A Francoforte, Ineratec ha avviato la produzione commerciale dell’impianto Era One, capace di generare fino a 2.500 tonnellate annue di greggio sintetico, utilizzando idrogeno locale e CO₂ biogenica. Gli acquirenti finali non sono ancora noti, ma l’evento rappresenta un passo avanti concreto per i carburanti sintetici.
In Assia, ABO Energy ha inaugurato un impianto da 5 MW per la produzione di idrogeno elettrolitico. Il sito è dotato di turbina eolica e stazione di rifornimento, e con un supporto pubblico di 12 milioni di euro produrrà fino a 450 tonnellate annue di idrogeno rinnovabile certificato.
A che punto è l’Italia
Il progetto “SouthH2 Corridor“, riconosciuto dall’Unione Europea come Progetto di Interesse Comune (PCI), è sicuramente tra i più importanti in cui è coinvolta direttamente l’Italia. Il corridoio energetico per il trasporto di idrogeno rinnovabile dal Nord Africa all’Europa, passando per Algeria, Tunisia e Bel Paese, fino a raggiungere Germania e Austria, mira a integrare il mercato europeo dell’idrogeno favorendo decarbonizzazione e indipendenza energetica del continente.
Tuttavia, si tratta di un’infastruttura strategica ancora in fase di sviluppo, che richiederà molti anni prima di entrare in funzione. Nel quadro delle politiche europee condivise, è la Strategia Nazionale sull’idogeno presentata lo scorso novembre, a definire lo sviluppo e la direzione intrapresa dal mercato italiano. In coerenza con gli impegni assunti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) al 2030 e nel Net Zero al 2050, il disegno che l’Italia intende adottare per la decarbonizzazione dei consumi prevede un mix di strumenti.
Tramite il Pnrr sono stati assegnati 2 miliardi di euro (su 2,9 miliardi in totale) all’idrogeno, ma ad oggi, a parte piccoli traguardi, come una stazione di rifornimento inaugurata in Lombardia, non vi sono segnali concreti di avanzamento.
Pressioni sulle regole RFNBO e divergenze sul RED III
Intanto, le regole europee sulla produzione di idrogeno rinnovabile continuano a sollevare critiche. A giugno, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che invita la Commissione a rivedere l’Atto Delegato sugli RFNBO, giudicato troppo rigido e penalizzante per i progetti. Sebbene Bruxelles non sia obbligata ad agire, la risoluzione fa seguito a una petizione firmata da dodici Stati membri.
La Commissione ha incaricato la società ICF di condurre uno studio indipendente sulle regole. Ufficialmente, i risultati serviranno per la revisione del 2028, ma è possibile che analisi preliminari vengano usate per modifiche più rapide, purché non si comprometta la stabilità normativa.
Infine, resta aperta la questione RED III: i Paesi UE stanno seguendo approcci diversi nell’applicazione degli obiettivi per il settore trasporti, che prevedono almeno l’1% di utilizzo di idrogeno RFNBO entro il 2030. Alcuni Stati mirano a obiettivi più ambiziosi, ma a luglio nessuno ha ancora recepito formalmente i target nelle rispettive leggi nazionali.