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Smart working, Amazon dice stop ai dipendenti. Il Ceo Andy Jassy “Era finita, se non vi piace trovate un altro impiego”

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Le big tech fanno dietrofront riguardo la modalità di lavoro. Amazon dice stop al lavoro da remoto spingendo i dipendenti al licenziamento. Da Google, Apple e Zoom un vero cambio di passo. In Italia invece il lavoro da remoto continua a esserci: gli esempi di Tim e Intesa Sanpaolo.

“Tutti in presenza, l’era dello smart working è finita. Ora bisogna adempiere ai propri doveri”. Il CEO di Amazon Andy Jassy annuncia un nuovo cambio di passo sulla modalità di lavoro dei propri dipendenti, una linea dura secondo quanto riferito da fonti statunitensi.

Secondo quanto riferisce il Financial Times Amazon ha monitorato le presenze dei lavoratori basati negli Stati Uniti e messo nel mirino quelli che non hanno rispettato la policy aziendale del lavoro “ibrido”, parte in presenza e parte in smart working. A questi dipendenti è stata così recapitata un’email, nella quale è stata sottolineata la necessità di unirsi ai colleghi in ufficio. “Ci aspettiamo che tu inizi a recarti in ufficio per tre o più giorni a settimana”, recita l’email, inviata ai dipendenti che non hanno utilizzato il badge aziendale per meno di tre giorni settimanali negli ultimi due mesi.

La policy dei tre giorni in ufficio era stata avviata da Amazon lo scorso 1° maggio. A maggio Amazon aveva annunciato che presto avrebbe chiesto ai suoi dipendenti di lavorare in presenza, in ufficio, per almeno tre giorni a settimana. I restanti due giorni potranno essere trascorsi in telelavoro, a patto che questo venga comunicato al proprio responsabile. L’annuncio era stato accolto da forti proteste, una petizione firme e costanti minacce di sciopero.

“Se non credi di poter adempiere a queste regole, probabilmente Amazon non è il tuo posto, perché torneremo sicuramente a lavorare in ufficio almeno tre volte a settimana”, aveva spiegato Jassy.

A luglio, Insider aveva rivelato che Amazon starebbe cercando di imporre di presentare le proprie dimissioni a quei dipendenti che non ne vogliono sapere di tornare in ufficio. Mentre The Verge scrive che l’annuncio dell’introduzione di un modello ibrido avrebbe già provocato diverse dimissioni di massa in alcuni dei principali dipartimenti dell’azienda.

Il Covid doveva attuare una rivoluzione, invece anche le grandi aziende tornano al passato

Il telelavoro era diventato improvvisamente popolare tra il 2020 e il 2021. All’epoca si trattava, chiaramente, di una scelta imposta dall’emergenza pandemica. Ad ogni modo, sembrava che la pandemia avesse portato alla creazione di un nuovo paradigma e che il modello del cosiddetto smart working sarebbe rimasto, dove possibile, in vigore anche dopo la fine dell’emergenza. Numerose aziende tech avevano annunciato l’intenzione di introdurre un nuovo modello decentralizzato.

Alla fine le cose sono andate diversamente: Microsoft, Apple e Google hanno da tempo imposto ai loro dipendenti di tornare in ufficio per almeno due o tre giorni a settimana. Perfino Zoom, il colosso delle teleconferenze e di gran lunga l’azienda che aveva beneficiato di più dal modello del telelavoro, ha recentemente comunicato ai suoi dipendenti l’obbligo di spendere in ufficio almeno parte della loro settimana lavorativa.

L’azienda di software con sede a San Francisco ha comunicato ai dipendenti che vivono entro 50 miglia dalla sede che dovranno recarsi in ufficio almeno due giorni alla settimana. Ma i dipendenti non ci stanno. Zoom ha definito il nuovo sistema “un approccio ibrido e strutturato” spiegando che “continuerà a sfruttare l’intera piattaforma Zoom per mantenere i nostri dipendenti e i team diffusi connessi”.

Non si tratta quindi di un dietrofront sul lavoro da remoto ma piuttosto una modulazione per mantenere uniti i team anche dopo il periodo eccezionale della pandemia quando il valore di borsa della società aveva superato i 40 miliardi di dollari.

Il ritorno in ufficio (parziale o integrale) deciso da sempre più aziende ha portato non poco malcontento tra i lavoratori, soprattutto nelle aziende tech e dei media, dove secondo uno studio di Morning Consult, quasi la metà dei lavoratori d a maggio 2022 lavorava completamente da remoto. Con la stretta sul lavoro da casa voluta da Amazon in decine hanno optato per le dimissioni mentre in Starbucks e Walt Disney sono state lanciate petizioni e appelli per difendere lo smart working.

In Google i dipendenti hanno chiesto un ripensamento rispetto alle policy interne per i dipendenti che non hanno ricevuto l’approvazione a lavorare da casa. Per questa categoria si prevedono infatti almeno tre giorni alla settimana in ufficio. Come ricorda il Financial Times siamo di fronte a una “ribellione dei colletti bianchi”. Con qualche battaglia vinta. In Australia, ad esempio, a luglio i sindacati hanno ottenuto un accordo sul lavoro a distanza per migliaia di dipendenti pubblici federali.

In Italia invece lo smart working continua a esserci: gli esempi di Tim e Intesa Sanpaolo

E in Italia? Dopo la stretta sullo smart working per i genitori di figli under 14 il lavoro da remoto resta fino al 30 settembre per i lavoratori fragili nel pubblico e nel privato mentre per tutti gli altri si passa da specifici accordi aziendali.

I grandi gruppi e le realtà più innovative stanno però mantenendo la nuova modalità lavorativa soprattutto nei servizi. Tim, ad esempio, ha da poco lanciato l’esperimento del lavoro da remoto al 100% per mille dipendenti e il lavoro da remoto è utilizzato anche da realtà come illimity e Intesa Sanpaolo.