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Smart data e digital twins spingono l’innovazione urbana, ma tornano al centro le smart communities

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Solo i progetti smart city “people-centric” potranno avere successo: 5G, IoT, simulazioni digitali e intelligenza artificiale, sono tutte tecnologie fondamentali per abilitare il cambiamento, ma sono i cittadini al centro del processo, sono loro a generare dati, il carburante del nuovo sistema.

Energia, risorse idriche, traffico automobilistico, gestione dei rifiuti urbani, edilizia, consumo di suolo, sono questi alcuni dei punti chiave da cui parte l’idea di un modello più efficiente di crescita urbana. Gli uomini e le donne che scelgono di andare a vivere in città sono sempre di più e sappiamo ormai che entro pochi anni il loro numero raggiungerà una cifra enorme, con tutte le conseguenze che questo nuovo processo demografico di corsa alla metropoli porta già oggi con sé.

Il 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane entro il 2050 e i consumi energetici ed idrici saliranno alle stelle, mentre l’aria potrebbe raggiungere livelli di inquinamento mai visti prima, con un impatto drammatico sulla salute dei cittadini.

Nel dettaglio, le Nazioni Unite hanno calcolato che il 70% del PIL mondiale sarà generato dalle città, che consumeranno il 70% delle risorse energetiche ed emetteranno oltre il 50% delle emissioni climalteranti globali. Ecco perché da più parti, negli ultimi dieci anni, si sta facendo appello all’innovazione tecnologica e a una nuova idea di città: più aperta all’uso di soluzioni tecnologiche avanzate, orientate alle persone e alle esigenze di comunità, con cui gestire le criticità urbane ed il cambiamento.

Le smart cities sono un mix eccellente proprio di questa integrazione crescente tra sviluppo tecnologico e partecipazione sociale e culturale delle comunità urbane, le cosiddette smart communities, impegnate nella gestione e nella partecipazione attiva alla trasformazione dei propri quartieri e dell’intero tessuto urbano.

Se da una parte smart city è sinonimo di mercato, occasione di business e guadagni, dall’altra è di fatto il centro, il motore principale di tutti i cambiamenti sociali ed economici in atto.

Per avere un’idea di quanta economia vale una smart city, basta sapere che secondo IDC gli investimenti nel settore potrebbero raggiungere i 168 miliardi di dollari già entro il 2022 (il 42% dei quali destinato a Cina, Giappone e resto dell’Asia, mentre solo negli USA la spesa stimata sarà pari a 23 miliardi di dollari), mentre tra soluzioni tecnologiche diverse (hardware e software), infrastrutture (fisiche e virtuali), servizi e l’intera filiera smart city, il giro di affari complessivo potrebbe anche raggiungere i 1.226 miliardi di dollari entro il 2023.

Per far accadere tutto questo, però, si legge in una riflessione ospitata ieri su weforum.org, servono non solamente risorse finanziarie, ma soprattutto culturali, quindi competenze, conoscenze, abilità, percorsi formativi adeguati alle sfide del contemporaneo, tra cui certamente i cambiamenti climatici.

Come dimostrato nello studio IESE Cities in Motion Index (CIMI) 2018, le migliori esperienze smart city si sono avute lì dove le smart communities, cioè i cittadini, sono cresciute e sono riuscite a lavorare a fianco delle amministrazioni locali, dei centri di ricerca, delle imprese e delle Istituzioni coinvolte.

Un punto di vista confermato anche dal recente ranking realizzato dall’Eden Strategy Institute, secondo cui i progetti smart city centrati sulle persone hanno avuto maggior successo rispetto ad altri, sia nei Paesi più ricchi, sia in quelli emergenti.

In che modo è possibile raggiungere questo obiettivo fondamentale per un’equilibrata trasformazione del tessuto urbano tradizionale in smart city? Abbiamo molti esempi a disposizione, tra cui città europee come Stoccolma, Reykjavik, Amsterdam, Barcellona e Copenhagen, solo per citare le più popolari, con la comunicazione diretta con i cittadini a fattore comune.

Il cuore della smart city sono i dati, da cui estrarre le informazioni più sensibili per sviluppare i servizi ai cittadini (i turisti anche) e le imprese.

Un passaggio fondamentale, quest’ultimo, su cui si basa il futuro dell’intero processo di innovazione urbana.

Ad inizio aprile l’Unione europea ha finanziato con 15 milioni di euro il progetto per la realizzazione di un centro europeo di ricerca e innovazione per le smart cities coordinato dalla Tallinn University of Technology, dalla Aalto University e dal Forum Virium Helsinki, per un totale di 32 milioni di euro di risorse fino al 2026.

Per far questo oggi abbiamo tanti strumenti utili, tra cui la sensoristica, l’internet delle cose, gli oggetti intelligenti interconnessi in rete tra loro e con le infrastrutture di rete, il cloud, l’intelligenza artificiale, l’automazione, le smart home, le smart roads, i satelliti, la fibra e l’ormai prossimo 5G.

Ogni canale e tecnologia disponibili (come telefono, sms, chat, chioschi digitali, siti web, app) possono essere d’aiuto per far partecipare i cittadini alla governance dei processi di innovazione, per farli comunicare direttamente in tempo reale con le Istituzioni e l’amministrazione della città.

Un esempio di questo mix tecnologico orientato alla smart city è la piattaforma “Intelligent Communities Lifecycle” (ICL) sviluppata da IES, che utilizza l’Internet delle cose e gli smart data, generati da tutte le fonti possibili e già classificati come “utili” e pronti all’uso, per esaminare in tempo reale la salute della città, della sua aria, dell’ambiente in cui vivono le persone.

Tale piattaforma si offre di aiutare le amministrazioni locali a prendere decisioni migliori in tempi rapidi, proprio grazie alla grande disponibilità di dati, tale che è possibile raggiungere più facilmente gli obiettivi di efficienza energetica, gestione ottimale dei rifiuti, riduzione dei consumi idrici, gestione intelligente del traffico urbano e introduzione di tutti i progetti alternativi in campo energetico, della mobilità, dell’economia circolare, abitativo.

Altro esempio pratico è la piattaforma sviluppata dalla Nanyang Technological University (NTU) di Singapore, che grazie all’utilizzo del digital twin è riuscita a realizzare un modello virtuale 3D di una piccola città simulando il funzionamento quotidiano di 21 edifici abitativi, con relativi consumi energetici ed idrici, emissioni inquinanti comprese.

Grazie a queste simulazioni, oggi sappiamo ad esempio che tagliando del 31% i consumi energetici si possono risparmiare quasi 5 milioni di dollari l’anno.

Un modo anche questo per procedere verso la smart city e per coinvolgere non solo le imprese e le amministrazioni cittadine, ma anche i cittadini stessi, perché poi alla fine sono loro che devono far funzionare applicazioni e tecnologie smart city, direttamente dalle loro case e dai device che abbiamo sempre vicino ogni giorno.