Lettera ai partiti

Siamo in una guerra ibrida, perché fa più notizia la famiglia nel bosco?

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La politica sembra essere assente di fronte ai profondi cambiamenti tecnologici che stanno ridefinendo potere, sicurezza e partecipazione democratica. Due casi italiani — la riorganizzazione cyber-militare proposta da Crosetto e il nuovo sistema antimissile “Michelangelo Dome” di Leonardo — mostrano decisioni strategiche enormi ignorate dal dibattito pubblico.

Più che l’astensionismo degli elettori, mi pare che quello che si debba temere sia invece l’assenza degli eletti. Ormai sono almeno 25 anni, diciamo esattamente il primo quarto del nuovo secolo che stiamo vivendo, che le istituzioni (più marcatamente partiti e sindacati) si disinteressano dei principali fenomeni di trasformazione della nostra vita, esorcizzandoli prima come manie ossessive di giovani disadattati, poi come paradossi di un’economia in cerca di novità, oggi come mondi extraterrestri irraggiungibili.

Mariana Mazzucato, in un suo saggio intitolato “Il valore di Tutto”, spiegava che se lo Stato non produce senso, come si fa ad avere senso dello Stato?

Allargo questa domanda all’intero sistema politico: se la politica non pretende di dare senso a quanto accade nel mondo, perché si deve dare senso alla politica?

Non mi pare una banale coincidenza quella che ha visto iniziare la caduta, sempre più accentuata, della partecipazione al voto proprio mentre accelerava la digitalizzazione della nostra vita. Già Adriano Olivetti spiegava, negli ormai lontanissimi anni 50, che l’informatica – che allora muoveva i primi passi proprio con la sua Olivetti – era di per sé una forma di politica concentrata perché assicurava ad ogni individuo la possibilità di fare meglio, e più facilmente, di quanto riusciva prima in maniera tradizionale.

Ovviamente questa opportunità non è gratuita: si paga con la cessione di quote di potere ai promotori delle forme tecnologiche.

La tecnica non è mai neutra. Lo sapevano bene i greci che con il decentramento delle prime forme di scrittura, riorganizzarono le proprie società, abilitando le diverse modalità di governo delle città Stato.

Oggi dovremmo chiederci quanto e come il decentramento dei sistemi di intelligenza artificiale siano in grado di riorganizzare il nostro mondo. A riguardo, qualcosa si muove con il trasferimento dell’interesse individuale dalla sfera pubblica della politica, a quella privata delle relazioni tecnologiche.

A partire dalle prime PBS degli anni 60, ai successivi nodi di Internet, fino alla molteplicità di contenuti autoprodotti nei siti e alle forme di società parallela che si sono costituite con il web, e i partiti momentanei che i social hanno creato. Infine, le intelligenze artificiali hanno automatizzato opinioni e decisioni.

Come chiedeva Alice allo Stregatto arrivando nel nuovo mondo: “ma qui chi comanda?”

Ecco la domanda che la politica ignora, inducendo gli elettori ad ignorarla a loro volta.

Mi sembrano clamorosi due episodi locali, accaduti proprio nel nostro Paese, in quell’Italia che ancora dipingiamo come un’area desolata e sprovveduta tecnologicamente, nonostante sia la terza realtà nel mondo per potenza di calcolo, con almeno 40 milioni di persone, compresi donne e bambini, ad operare costantemente in rete. Due fatti del tutto ignorati dall’insieme del sistema politico, sebbene cerchi costantemente di mettersi in vetrina (il Governo) o di criticare la maggioranza (le opposizioni.)

Il primo riguarda un atto solenne. La presentazione al Consiglio Supremo di Difesa, presieduto dal capo dello stato Mattarella, da parte del ministro Crosetto di un corposo documento che trasforma radicalmente assetto e funzione delle nostre forze armate, proiettandole nel nuovo scenario della guerra ibrida. Una scelta che vede gli apparati militari sostituirsi ad altri organismi civili, dall’Agenzia per la Cybersecurity nazionale, agli stessi servizi di sicurezza, in nome di una tutela e garanzia della nostra vita civile assediata da minacce cyber.  Qualcosa di più di quello che rappresentano i carabinieri nel nostro ordinamento, che benché militari, affiancano le forze di polizia come presidio dell’ordine pubblico e del controllo del territorio.

Qui siamo ad una inedita capacità di controllo, ovviamente ai fini di assicurarne la piena indipendenza, dei comportamenti di ogni singolo cittadino, consentita dalle tecnologie di profilazione e di tracciamento. Il ministro Crosetto programma l’integrazione nelle forze armate di circa 5000 hacker, individui di alto profilo professionale, in grado di maneggiare con piena padronanza tecniche digitali dual use, ossia identiche per difesa e attacco, al fine di respingere intrusioni o attivarle.

É una scelta che indiscutibilmente risponde ad una oggettiva necessità: dare piena autonomia e sicurezza al Paese in un gorgo di conflitti digitali che insidiano sia la vita civile degli individui, che quella geopolitica del Sistema Paese.

Ma come è possibile che una tale strategia non sia ruminata dalle Istituzioni? Che non venga discussa e confrontata a tutti i livelli della scala politica, come invece è avvenuto, per esempio, con la casa nel bosco dei tre bambini trovati in Abruzzo? I risvolti costituzionali che dovranno essere adattati e modificati sono di primo livello e riguardano proprio i principi ispiratori della carta scritta. In particolare, la separazione fra pace e guerra, militare e civile, diritti e sicurezza.

Oggi non è più cosi, se uno dei più influenti imprenditori digitali, consigliere e promotore dei nuovi inquilini della Casa Bianca come Peter Thiel scrive in un suo saggio del lontano 2004 – “Il Momento Straussiano” – ma riemerso proprio in questi mesi, che “la tecnologia è combattimento che deve sovrapporsi alla politica”. Dunque chi comanda?

Il secondo evento che richiamo è strettamente connesso al primo. E come il primo risponde ad oggettive necessità del Paese che andrebbero comunque guidate e valutate, politicamente.

Il principale gruppo tecnologico italiano, Leonardo, che produce prevalentemente soluzioni militari sofisticate, ha presentato un nuovo sistema antimissile, chiamato in modo evocativo Michelangelo Dome. I tempi purtroppo rendono questo sistema d’arma indispensabile per la sicurezza del Paese. L’apparato, si è detto, si basa su una straordinaria versatilità che lo rende capace di dialogare e coordinare infiniti dispositivi, anche di struttura, e tecnologie differenti fra loro, grazie ad un modello di intelligenza artificiale autoprodotta.

Questo apparato ha la caratteristica di emanciparci dai due produttori di queste tecnologie dominanti sul mercato: Stati Uniti e Israele. Una scelta di indipedenza che non potrà non appoggiarsi ad una strategia geopolitica più ampia, sia in chiave europea che atlantica, accentuando l’autonomia dagli Stati Uniti.

Quali le considerazioni politiche? Quali le osservazioni e le proiezioni di queste opzioni tecniche? Silenzio totale da parte della maggioranza, che potrebbe chiedersi, ad esempio, gli effetti della scelta di Leonardo nello scenario atlantico ed europeo. Ma anche da parte dell’opposizione: vi sono ragioni di coerenza che dovrebbero portare il Governo a comportamenti diversi dagli attuali sulla scena internazionale?

Ma ancora più disarmante è l’indifferenza politica rispetto alla seconda caratteristica di Michelangelo Dome: la sua estrema capacità di integrare apparati diversi. Come è possibile che nessuno abbia richiamato l’azienda pubblica Leonardo, sia nella fase progettuale che in quella prototipale, ad un’estensione di queste capacità cosiddette “multimodali”? Sono in grado di assemblare anche software e sistemi pensati con linguaggi e logiche diverse, per uso civile? In un ospedale, una scuola, un tribunale, un ufficio pubblico, queste capacità di ottimizzare e coordinare il lavoro di apparati diversi non sarebbe di effetto eccezionale per la qualità e la quantità del lavoro? Tanto più se algoritmi e dati sarebbero di assoluto dominio nazionale.

Come è possibile che nessuno abbia colto questa possibilità? Si è sempre detto che ormai le tecnologie digitali sono appunto dual use, e dunque il secondo corno del dual qual è? Non è compito della politica rendere una scelta militare anche patrimonio civile?

Non sarebbe questo un modo per dare torto a chi non vota?

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