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Scorporo rete in salsa UK: crolla il ‘mito’ della separazione funzionale?

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BT continua a promettere nuovi investimenti per scongiurare lo spin-off, ma quale che sia la decisione dell'Ofcom, è chiaro che la 'prova sul campo' della separazione funzionale ha dimostrato molte falle.

Si riaccende, nel Regno Unito, il dibattito sullo scorporo della rete a poche ore, ormai, dalla pubblicazione dei risultati della revisione strategica del mercato lanciata dall’Ofcom, attesa per domani, e che potrebbe includere anche la separazione della divisione Openreach da BT.

A 10 anni dalla decisione di separare la rete di accesso di BT dalla divisione retail, creando però non due società distinte ma due divisioni all’interno della stessa azienda, il modello della cosiddetta ‘separazione funzionale’ tra rete e attività all’ingrosso scelto da Ofcom, per lungo tempo indicato come il migliore modello in Europa di non–discriminazione, è stato messo fortemente in discussione dai concorrenti.

Per il  Ceo di Vodafone, Vittorio Colao, ad esempio, “…è un modello che garantisce parità di accesso ma a un prezzo più alto che nella maggior parte degli altri Paesi europei”.

I concorrenti hanno quindi sottolineato che grazie a Openreach BT ha potuto accumulare profitti extra per circa 6,5 miliardi di sterline in 10 anni. Utili ai quali non sono corrisposti adeguati investimenti nelle infrastrutture, come ha denunciato un gruppo di parlamentari favorevoli allo scorporo nel rapporto battezzato provocatoriamente ‘BroadBad’.

In risposta a queste accuse, BT ha prontamente promesso nuovi investimenti per circa 1 miliardo di sterline nella fibra ottica nei prossimi 5 anni, e in queste ore ha anche alzato la posta, nel tentativo di persuadere Ofcom a non procedere con lo scorporo della divisione attraverso cui l’ex monopolista offre ai rivali accesso all’ingrosso alla rete fissa.

Una direzione che non sembra rientrare nelle possibilità del regolatore e che è stata già scoraggiata dal ministro dell’economia Ed Vaizey, secondo cui “la separazione completa sarebbe un’impresa enorme, incredibilmente lunga e potenzialmente molto controproducente”.

In molti, tuttavia, hanno supposto che il recente via libera all’acquisizione dell’operatore mobile EE poteva essere interpretato come una ‘contropartita preventiva’ allo spin off di Openreach.

Nel tentativo di scongiurare l’eventualità della ‘separazione strutturale’, il Ceo di BT, Gavin Patterson, ha riferito di aver proposto all’Ofcom un ulteriore aumento degli investimenti nella banda ultralarga al 2020, oltre il miliardo di sterline già messo sul piatto. Investimenti, ha precisato Patterson, che punterebbero non più sull’architettura FTTC (la fibra fino all’armadietto in strada) ma sull’FTTH, ossia la fibra fin dentro casa.

Proprio il focus sull’FTTC ha causato non poche polemiche tra i rivali della società. Per il Ceo di Sky, Jeremy Darroch, continuare a potenziare il rame “è come allevare un cavallo veloce invece che costruire un’automobile”.

Naturalmente, ha detto ancora Patterson, l’impegno economico nelle nuove reti andrebbe a cadere se passasse la linea dello scorporo perché la compagnia non potrebbe investire diversi miliardi senza sapere con certezza quale sarà la sua struttura futura.

La possibilità paventata di una separazione societaria della rete “ci mette in difficoltà con gli azionisti, non abbiamo certezze”, ha detto Patterson, sottolineando che un accordo con BT su Openreach “sarebbe nell’interesse di tutti”.

Una decisione che andasse verso la delegittimazione del modello Openreach, infine, potrebbe far sentire i suoi strascichi anche in Italia.

Come ha fatto notare Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze ed ex consigliere Agcom, OpenAccess, la divisione di Telecom Italia non è che la versione un po’ annacquata, del modello britannico.

E “se dovesse crollare Openreach è inevitabile che la sua già più precaria legittimità ne uscirebbe irrimediabilmente scossa”, dice Mannoni.