L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, riunire l’Asia attorno alla Cina?
La geopolitica non si fa solo con i soldi, ma certo più un Paese è ricco, più ha possibilità di divenire egemone di una determinata area geografica. La Cina si vuole confermare polo economico, finanziario e tecnologico del continente asiatico e per farlo ha la necessità di piantare paletti anche nei Paesi più lontani.
In occasione del XXV vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai(Sco) a Tianjin, in Cina, il padrone di casa, il presidente cinese Xi Jinping, ha subito messo in chiaro che la crescita e lo sviluppo si assicurano con le infrastrutture, i grandi investimenti e le alleanze strategiche.

“Dobbiamo allineare meglio le nostre strategie di sviluppo e promuovere l’attuazione della Belt and Road“, ha detto Xi, aggiungendo che gli Stati membri della Sco dovrebbero perseguire risultati reciprocamente vantaggiosi e attuare politiche win-win.
In particolare, riporta l’agenzia Xinhua, il presidente cinese ha invitato gli Stati membri a sfruttare i punti di forza dei loro mercati di grandi dimensioni e la complementarità economica tra loro e a migliorare la facilitazione del commercio e degli investimenti (soprattutto da quando gli USA hanno imposto dazi alle importazioni cinesi mediamente del 30%, anche se le trattative sono ancora in corso).
Gramaglia: “Con l’avvento di Trump sta cambiando tutto”
“Lo sforzo di Cina, India e Russia di costruire un’alternativa alle organizzazioni sovranazionali occidentali e al loro modello di governance mondiale, che si sviluppa sostanzialmente attraverso il G7, in chiave regionale attraverso la NATO e in misura minore attraverso l’Unione europea, sta prendendo forma e sostanza in questa edizione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, come già era accaduto con i BRICS, dove in più ci sono Brasile e Sudafrica”, ha commentato Giampiero Gramaglia, direttore del webzine AffarInternazionali.it dell’Istituto Affari Internazionali.
Un’organizzazione, la SCO, ha spiegato Gramaglia, che “dal punto di vista strutturale e funzionale è embrionale, rispetto agli organismi occidentali, tipo il G7, con molti meno vincoli e meno legami. Non ha in fondo procedure decisionali e soprattutto non ha procedure di attuazione delle indicazioni che fornisce. Se questo può rappresentare un vantaggio, lato occidentale, certo l’avvento di Trump sta cambiando tutto, perché il Presidente americano non attribuisce nessuna importanza a questi organismi sovranazionali, togliendo loro progressivamente ogni rilievo.
Allo stesso tempo, invece, di riflesso, sta rafforzando l’importanza di altre organizzazioni contrapposte, cioè appunto SCO e BRICS. Alcune scelte di Trump, in particolare sui dazi e specialmente nei confronti dell’India, fanno sì che quelli che una volta erano elementi divisivi nel campo del Sud globale, specie tra Cina e India, diventino ora elementi di coesione, perché tutti e due, Cina e India, che tra l’altro sono i due Paesi più popolosi del mondo, si trovano oggi ad affrontare una guerra dei dazi con gli Stati Uniti che non vogliono affrontare in ginocchio, diversamente da quanto sembra abbiano deciso di fare i Paesi europei”.
“La deriva occidentale, dopo l’arrivo di Trump, fa sì che questi organismi come lo SCO, che già esistevano, che già avevano questa funzione, ma che venivano guardati con diffidenza e scarso interesse, adesso invece devono essere presi in serio conto. C’è inoltre da prendere in considerazione nello SCO il ruolo dell’Iran – ha aggiunto Gramaglia – che dal punto di vista regionale è comunque una presenza importante per quello che è il mondo islamico, e non meno rilevante è la presenza della Turchia, fattore di perenne ambiguità, perché da un lato è un paese della NATO, dall’altro però guarda con interesse a questa organizzazione e allo stesso tempo è un paese islamico. Turchia che ha rapporti stretti sia con l’Iran che con la Russia e che in qualche modo indebolisce il fronte occidentale”.
Pasquino: “Stati che non sapranno costruire un nuovo ordine mondiale. Hanno contribuito al disordine“
“Difficile dire quali saranno le conseguenze concrete del vertice dell’Organizzazione per la cooperazione tenutosi a Shangai. Per quel che sappiamo pare opportuno che il giudizio rimanga per metà sospeso e per metà meriti di essere piuttosto negativo. Certamente quegli stati e i loro leader non sapranno costruire un nuovo ordine mondiale. Hanno contribuito per insipienza e per prepotenza al disordine. Non hanno elaborato e diffuso idee sulle loro preferenze (ma qualche riprovevole fattaccio, sì). Non risolveranno il problema, ma continueranno ad essere parte cospicua di quel problema“, ci ha spiegato Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei, Professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna.
“La dichiarazione di Tianjin sul “rispetto del diritto dei popoli a scegliere in modo indipendente e democratico i propri percorsi di sviluppo politico e socio-economico” è CLAMOROSAMENTE contraddetta – ha proseguito Pasquino – da un lato, dalla continuazione dell’aggressione russa all’Ucraina, dall’altro, dalle palesi mire della Cina su Taiwan nonché dalle modalità di “normalizzazione” di Hong Kong (da non dimenticare). Per di più, come opportunamente nota Flavio Fabbri, “Pechino reclama un ruolo chiave e di guida” (sicuramente non basato sul soft power) che, la Russia forse sarà costretta a riconoscere, ma che l’India proprio non può permettersi di accettare“.
“Tutti o quasi guidati in maniera autoritaria, con l’eccezione democratica dell’India che Modi sta erodendo, gli stati firmatari condividono due caratteristiche fondamentali: un notevole livello di repressione e un alto grado di corruzione politica, economica, sociale. Su questi due pilastri non si costruirà nessun nuovo ordine internazionale. Anzi, ben presto emergeranno le contraddizioni nei comportamenti dei firmatari e nelle loro interazioni.
In maniera molto ingenerosa, si critica l’Europa per la sua assenza, quasi rassegnazione. Ma a che cosa? L’Unione Europea è impegnata su una pluralità di fronti in azioni di cooperazione allo sviluppo e di sostegno internazionale. Deve legittimamente astenersi da critiche esplicite a fenomeni incompiuti che non può in nessun modo condividere. La sua stessa esistenza e le sue attività mantengono accesa la torcia dei diritti umani e della democrazia. Lo sanno benissimo tutti i migranti che approdano sulle spiagge europee perché in Europa vogliono venire a vivere, lavorare, fare crescere i figli, persino tornare a fare politica“, ha precisato Pasquino.
“Quando nascerà un nuovo ordine internazionale decente post-liberale, alcuni dei governanti dello SCO avranno perso le loro cariche e, forse, i precedenti degli autoritarismi repressivi insegnano, anche la vita. Quel nuovo ordine non avrà nulla o quasi da spartire con le ambizioni egoiste, gli interessi particolaristici e gli opportunismi dei firmatari della dichiarazione di Tianjin. Saranno i principi e i valori dell’Unione Europea a costituirne le fondamenta“, ha sottolineato Pasquino.

Investimenti, tecnologie e infrastrutture per unire l’Asia
La Cina promette inoltre di aumentare gli investimenti e i prestiti nei confronti dei Paesi dello SCO, proprio per promuovere e sostenere la crescita e rafforzare la sicurezza economica del blocco asiatico. Xi ha anche dato qualche numero a riguardo: subito 280 milioni di dollari e altri 1,3 miliardi di dollari sotto forma di prestiti in un consorzio interbancario per gli anni 2026, 2027, 2028.
Altro punto chiave, a proposito di infrastrutture, è il rilancio della Nuova Via della Seta, la Belt and Road Initiative. Poi c’è la tecnologia di punta e i settori strategici. La Cina ha annunciato la costruzione di un centro di cooperazione sull’intelligenza artificiale per le nazioni SCO, che sono anche invitate a partecipare alla stazione di ricerca lunare cinese.
La nuova banca di sviluppo SCO rappresenterebbe un passo importante verso l’aspirazione di lunga data del blocco di sviluppare un sistema di pagamento alternativo o una valuta comune che aggiri il dollaro statunitense.
Quanto vale l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai?
Un messaggio chiaro, che va oltre i Paesi che fanno ufficialmente parte dell’Organizzazione, che sono Bielorussia, Cina, India, Iran, Kazakistan, Kyrgyzstan, Pakistan, Russia, Tajikistan e Uzbekistan, e che si rivolge anche agli osservatori esterni, Afghanistan e Mongolia, e ai numerosi partner di dialogo, Azerbaijan, Armenia, Bahrain, Egitto, Cambogia, Qatar, Kuwait, Maldive, Myanmar, Nepal, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia e Sri Lanka.
In totale abbiamo di fronte un gran pezzo di mondo, che l’anno passato è arrivato a valere circa 30 trilioni di dollari di prodotto interno lordo, di cui più della metà arriva dalla Cina. È evidente il ruolo chiave e di guida che Pechino reclama.
Nel 2024, il Prodotto Interno Lordo (PIL) combinato dei suoi membri ha rappresentato circa il 23% del PIL mondiale a valori nominali e circa il 36% a parità di potere d’acquisto (PPP).
Il volume degli scambi commerciali tra la Cina e gli altri membri della SCO, oltre agli osservatori e partner di dialogo, ha raggiunto un valore considerevole di $890 miliardi nel 2024.
I membri della SCO controllano circa il 20% delle riserve petrolifere mondiali e il 44% di quelle di gas naturale, a seguito dell’adesione dell’Iran.

La dichiarazione di Tianjin
“Gli Stati membri sostengono il rispetto del diritto dei popoli a scegliere in modo indipendente e democratico i propri percorsi di sviluppo politico e socio-economico, sottolineando che i principi di rispetto reciproco per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale degli Stati, l’uguaglianza, il mutuo vantaggio, la non ingerenza negli affari interni e la non minaccia o uso della forza costituiscono la base per uno sviluppo sostenibile delle relazioni internazionali“.
È quanto si legge nella “Dichiarazione di Tianjin” approvata dal Consiglio dei Capi di Stato dei Paesi membri dello SCO.
Si sottolinea la volontà di proporre e realizzare una politica che esclude approcci basati su blocchi e logiche di confronto nella soluzione dei problemi dello sviluppo internazionale, aggiungendo inoltre che nel mondo – compresa l’area della Sco – stanno aumentando il confronto geopolitico, le sfide e le minacce alla sicurezza e alla stabilità.
Oltre la Cina, ovviamente, gli altri due Paesi di maggior perso sono Russia e India.
I rapporti difficili, ma strategici, tra Cina e India
All’India, che gioca spesso una partita su due tavoli (in uno dei quali ci sono gli Stati Uniti), la Cina chiede un maggior impegno nel blocco asiatico.
Xi ha ricordato che le due potenze “sono partner di cooperazione, non rivali” e che “rappresentano opportunità reciproche di sviluppo, piuttosto che minacce“: “È fondamentale essere amici, buoni vicini, e che il ‘drago’ e l”elefante’ si uniscano“.
In questo, non potrà che dare una mano la decisione del Donald Trump di imporre dazi del 50% all’India per l’acquisto di petrolio russo.

I dazi di Trump hanno avvicinato Pechino e Nuova Delhi
Più in generale, possiamo dire che per il momento le aggressive politiche tariffarie americane hanno di fatto rafforzato la posizione della Cina agli occhi dell’India come interlocutore stabile e affidabile, capace di offrire spazio di manovra e opportunità economiche, includendo accordi su materie prime strategiche come i metalli rari.
Il vertice ha così rappresentato una nuova occasione di cooperazione e dialogo tra India e Cina, contribuendo a un’edizione storica e particolarmente ampia del summit SCO.
Sul piano più ampio, i dazi hanno contribuito a consolidare l’immagine del vertice come un momento di “resistenza e alternativa” all’egemonia commerciale e politica occidentale, con Cina, Russia, India e altri paesi del Sud Globale che cercano di costruire un ordine globale più multipolare e meno dipendente dagli Stati Uniti.
Certo, Nuova Delhi negli ultimi 20 anni ha stretto con Washington forti legami politici e commerciali e non soltanto. L’India fa parte del Quadrilateral Security Dialogue, proprio con USA, Giappone e Australia, strumento finalizzato a contenere l’espansionismo cinese nell’Indo-Pacifico.
Non solo, l’India ha aumentato i suoi acquisti di forniture militari e per la Difesa dagli Stati Uniti, rafforzando sensibilmente la collaborazione nel settore spaziale, dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale, con l’evidente obiettivo di ridimensionare la sua dipendenza da Pechino.
Cina e India, ovvero l’Asia
Se la Cina vuole prendersi l’Asia, centrale diventa il ruolo dell’India, un gigante da 1,4 miliardi di abitanti e un PIL da 3,6 trilioni di dollari. Una risorsa imprescindibile per Pechino, ma anche un competitor su più fronti. Il primo tra tutti la capacità di attrarre investimenti esteri.
Monti Big industriali americani e anche europei guardano ora all’India come base per le loro produzioni, in alcuni casi spostando impianti proprio dalla Cina in nome della strategia “China+1” (strategia aziendale o geopolitica che incoraggia le aziende a diversificare la propria produzione e le proprie catene di fornitura oltre la Cina, stabilendo o espandendo le operazioni in almeno un altro paese).
In questo modo gli occidentali intendono rafforzare la sicurezza delle catene di approvvigionamento da un lato, dall’altro possono sfruttare costi di manodopera e produzione più bassi di quelli oggi in vigore in Cina (e che in prospettiva aumenteranno ulteriormente rispetto al passato).
Infine, Modi ha accolto con favore l’agenda riformista dell’SCO e l’istituzione di centri per combattere crimine organizzato, traffico di droga e cybersicurezza, chiedendo anche riforme nelle istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite, allineandosi con una visione di governance globale più equa e rappresentativa.
La Russia, il multilateralismo e il nuovo sistema di stabilità e sicurezza in Eurasia
Per la Russia il vertice cinese è stato un modo per stringere a sé vecchi e nuovi alleati, soprattutto in un momento molto critico del conflitto in Ucraina.
A conseguenza di questo, infatti, il Paese ha stretto legami economici e di sicurezza ancora più stretti con la Cina. Putin ha affermato che la SCO ha ripristinato un “genuino multilateralismo“, con valute nazionali sempre più utilizzate negli accordi reciproci.

“Ciò, a sua volta, getta le basi politiche e socioeconomiche per la formazione di un nuovo sistema di stabilità e sicurezza in Eurasia“, ha affermato Putin.
“Questo sistema di sicurezza, a differenza dei modelli eurocentrici ed euroatlantici, prenderebbe realmente in considerazione gli interessi di un’ampia gamma di paesi, sarebbe realmente equilibrato e non consentirebbe a un paese di garantire la propria sicurezza a scapito degli altri“, ha dichiarato Putin.
Presidente russo che è rimato in Cina anche per assistere in prima fila (a fianco dei leader di Cina, Iran, Corea del Nord, Myanmar, Mongolia, Indonesia, Zimbabwe e dei paesi dell’Asia centrale) alla parata militare commemorativa (idealmente un controaltare a quella americana del 4 luglio) della Seconda guerra mondiale (con la retorica cinese sulla sconfitta giapponese che minimizza il ruolo degli Stati Uniti), ideata per mettere in mostra la forza militare e la potenza geopolitica di Pechino. Un altro pezzo di mondo che guarda con preoccupante interesse al progetto di egemonia cinese.
La Russia è oggi il primo fornitore di petrolio della Cina, superando l’Arabia Saudita nel 2023, con +8% di export annuo dopo le sanzioni occidentali. Mosca fornisce a Pechino gas naturale, carbone e grano, fondamentali per la sicurezza energetica e alimentare cinese.
In cambio, la Cina fornisce alla Russia tecnologie dual-use, macchinari e semiconduttori difficilmente reperibili a causa delle sanzioni occidentali.
Il martello di Trump, il silenzio dell’Europa
L’asse Mosca-Pechino è oggi una partnership tattica necessaria, per la Russia, vitale per sopravvivere alle sanzioni occidentali e avere un mercato di sbocco, per la Cina, utile per avere energia a basso costo e un alleato politico contro Washington.
Un rapporto, però, anche sbilanciato, che nel lungo periodo rischia di trasformare la Russia da potenza globale a satellite energetico della Cina.
Al vertice SCO 2025, in sostanza, il presidente russo ha avuto un ruolo centrale nel sostenere una visione di un nuovo ordine mondiale basato sulla multipolarità e sulla cooperazione multilaterale, in opposizione all’egemonia degli Stati Uniti e dei modelli eurocentrici ed euro-atlantici.
Russia, Cina e India hanno ritrovato un protagonismo storico per certi versi inedito, almeno agli occhi del resto mondo. E molto del merito se lo dovrebbe prendere il Presidente americano Trump che, con un martello in mano che chiamiamo dazi, da qualche mese ha quasi del tutto scardinato il vecchio sistema di equilibri uscito dalla Seconda guerra mondiale, in favore di una frammentazione globale di potere e influenze, che rende forse il mondo un posto più pericoloso di prima.
A mancare, come spesso accade da qualche anno, è l’Europa. Un gigante che porta (ancora) sulle spalle il prezioso carico di principi e valori che il mondo intero ha ammirato per decenni, oggi muto attore marginale di questo momento storico.
La vicenda bulgara dell’atterraggio d’emergenza dell’aereo con a bordo la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per un presunto attacco jamming di matrice russa ai sistemi di navigazione dell’aeroporto di Plovdiv, ha lasciato perplessi, per la debolezza degli apparati istituzionali europei (una delle massime cariche dell’Unione non dispone di un aereo istituzionale? Costretta a prendere ‘a noleggio’ mezzi del tutto privi di sistemi di difesa adeguati?)
Una rassegnazione e un silenzio a cui non ci si abitua e che in maniera inquietante non lascia presagire nulla di buono per i tempi che verranno.