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Schermo&Schermo. La politica ha ucciso il talk show?

di Carlo Macchitella, produttore televisivo |

Sembra tornare il tempo in cui tutto e tutti debbono stare nei propri limiti e nei propri ambiti. E più che di urlare e insultare sembra esserci bisogno di riflessione e dialogo.

Schermo&schermo, curata dal produttore televisivo Carlo Macchitella, si occupa di serie tv e film. Dal piccolo al grande schermo, tutte le novità sull’intrattenimento. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

In principio furono le poltrone (che poi divennero gli sgabelli del teatro Parioli) del salotto di Maurizio Costanzo che creava personaggi, contesti / pretesti, discussioni senza fine. Poi, mentre la prima Repubblica declinava sempre più, arrivò il momento delle affollate aule giacobine di Santoro, degli ovattati salotti di Vespa, dell’algido e tecnocratico vento del nord di Lerner. Più la politica appare latitante se non assente, più il talk show tv si afferma. Non solo in termini di ascolti e di presenza nei palinsesti tv, ma anche in termini di importanza sociale e culturale tanto da divenire di fatto un elemento di surroga istituzionale e politica.

I patti con gli elettori venivano siglati da Vespa, le grandi inchieste giudiziarie e i processi venivano annunciati da Santoro mentre da Lerner si prefiguravano nuovi scenari macroeconomici o di politica fiscale. E davanti alle telecamere nascevano e si affermavano nuove tipologie di politici aggressivi, suadenti, telegenici. Tutte caratteristiche che comunque tendevano a coprire la effettiva competenza. Mani pulite, Berlusconi e l’antiberlusconismo, il trionfo dell’antipolitica, il collasso definitivo della “Costituzione più bella del mondo” vede nel talk show la sua massima identificazione: riempire, con la piazza o il salotto tv, il vuoto lasciato dalla politica, dalle istituzioni sempre più messe ai margini della vita comune, dalla assenza di un dibattito compiuto fra ideologie diverse (o almeno fra idee articolatamente differenziate).

Per arrivare addirittura, è storia di questi ultimissimi anni, ad una intera rete tv le cui prime serate vengono tutte appaltate a talk show diversi nei titoli e nei conduttori, non certo nei contenuti e ad avere due programmi assolutamente fotocopia su due reti concorrenti, la stessa sera con scenografie eguali con la sola variabile di conduttori diversi (parlo ovviamente di Ballaro’ e del suo speculare Di martedì).

Poi all’improvviso è arrivata la crisi.

Negli ascolti, nella credibilità, nell’appeal.

Il talk show sembra oggi se non morente, gravemente malato. Una disaffezione da parte del pubblico che si spiega con un mutamento di clima e di attenzione verso la politica e le istituzioni.

Negli ultimi due anni la politica sembra tornata centrale, le istituzioni sembrano volere essere rivalutate, si discute di Costituzione non più come una morta icona da proteggere dai fantasmi di un passato vecchio di più di 70 anni, ma come di un qualcosa di vivo, da adeguare ai tempi, per fare funzionare meglio lo Stato e quindi la nostra vita sociale. In una parola sembrano volere e potere finire la Seconda Repubblica e gli anni della antipolitica e del giustizialismo debordante, del gridare in piazza o del sussurrare nei salotti.

Sembra tornare il tempo in cui tutto e tutti debbono stare nei propri limiti e nei propri ambiti. E più che di urlare e insultare sembra esserci bisogno di riflessione e dialogo.

Sulle cose e non sulle astrazioni.

Tutti elementi questi che devono spingere la tv a tornare a fare la tv: informare, fare inchieste, intervistare, interrogare. Tornare a fare giornalismo, quello vero e quello sano che sia di supporto e di controllo sulle istituzioni e sui politici, ma non li sostituisca o prenda il loro posto, altrimenti, non solo sarà fuori dalla storia e dal comune sentire, ma come accaduto in questi ultimi venti anni, Il risultato non sarà certo esaltante. Sia per quanto concerne la qualità del prodotto tv che, ed è molto più importante, la qualità della vita del nostro Paese.

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