Il caso

Roma Capitale, il caso di alcuni immobili pubblici acquistati da Amazon

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Amazon compra per una cifra alquanto ribassata 3 rimesse in disuso dell’azienda dei trasporti pubblici della città di Roma, con buona pace di belle teorie sulla rigenerazione urbana ed i processi partecipati.

Abbiamo dedicato attenzione su queste colonne alle tante malefatte del (mal) governo del patrimonio immobiliare pubblico italiano, sia per quanto riguarda, nella Capitale, il caso delle ex rimesse dell’Atac azienda pubblica di trasporto di Roma (vedi “Key4biz” del 22 novembre 2018, “Spazi pubblici in disuso a Roma: il caso delle ex rimesse Atac”), sia per quanto riguarda, a livello nazionale, la possibile ri-utilizzazione dei 15mila beni confiscati alle mafie (vedi “Key4biz” del 21 novembre 2018, “‘Confiscati Bene 2.0’, il primo portale per il riutilizzo di 15mila beni confiscati alle mafie”).

Perché queste due iniziative hanno un filo rosso?

Perché entrambe si caratterizzano per quella che abbiamo definito – anche su queste colonne – la retorica della “partecipazione digitale”, ovvero per il decantato utilizzo delle tecnologie digitali come possibile strumento di partecipazione della collettività alle decisioni delle istituzioni.

L’ennesimo caso di “retorica del digitale”

Queste dinamiche rientrano veramente nella “retorica del digitale”, come presunta dimensione salvifica nei processi decisionali di Stato centrale, Regioni ed enti locali: a distanza di anni dagli annunci, si osserva quella che abbiamo definito “trasparenza a metà”.

Lo stato di avanzamento delle informazioni realmente accessibili al cittadino continua ad essere deficitario, in taluni gravi casi il deficit informativo-cognitivo è enorme: se la mappatura dei beni immobiliari confiscati alla criminalità continua a versare in condizioni critiche, nonostante gli sforzi della rafforzata (per precisa volontà dell’ex Ministro leghista dell’Interno Matteo Salvini nell’economia del Conte 1°) Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), e le procedure per la assegnazione di questi beni continuano ad essere assolutamente lente e farraginose, la vicenda del patrimonio immobiliare pubblico del Comune di Roma è anch’essa sintomatica del deficit di trasparenza.

A poco servono comitati di quartiere, associazioni di cittadini, gruppi di attivisti… a fronte del continuo muro di gomma di una pubblica amministrazione che teorizza “trasparenza” e “processi partecipati”, naturalmente in salsa “digitale”, ma che, alla fin fine assume decisioni oscure, con modalità tortuose e vischiose, ed ignorando i processi “bottom up”.

È di oggi la notizia, anticipata dal quotidiano “la Repubblica”, secondo la quale sarebbero state vendute ad Amazon le ex rimesse dell’Atac, rispetto alle quali era stato avviato due anni fa dalla Giunta guidata da Virginia Raggi un (sedicente) processo partecipativo per la rigenerazione urbana per i 3 depositi di Piazza Ragusa, Piazza Bainsizza e San Paolo.

Alla fin fine, il tentativo di “rivalorizzazione” (affidato alla Ninetynine srl ed alla controllata Urban Value, presieduta da Simone Mazzarelli) delle 3 rimesse romane si è rivelato un fuoco d’artificio.

Rigenerazioni urbane decise ignorando i comitati di quartiere e le associazioni di cittadini

È vero che questi enormi immobili hanno problemi di vetustà ed al contempo vincoli di varia natura, ma non ci sembra che i tentativi di comitati di quartieri e di associazioni di cittadini siano stati accolti ed apprezzati dalle istituzioni capitoline (o da quelle della Regione Lazio): perché?!

Scrivevamo due anni fa, su queste colonne: la alienazione di questi immobili è stata oggetto di contestazioni da parte di comitati di quartiere ed associazioni di cittadini (tra i più pugnaci, senza dubbio il Comitato di Quartiere Tuscolano-Villa Fiorelli, presieduto da Rossella Palaggi), che temono che si possano incardinare nel tessuto metropolitano – sotto mentite spoglie – operazioni di speculazione immobiliare, in particolare centri commerciali, con buona pace delle possibili funzioni socio-culturali.

A distanza di due anni, cosa si apprende?! Che la rimessa di Piazza Ragusa a San Giovanni, così come le altre due, sarebbero state vendute all’asta al colosso planetario. Quella di Piazza Ragusa, che aveva una valutazione prudenziale di almeno 14 milioni di euro, sarebbe stata acquistata da Amazon per 10,5 milioni di euro, essendo stato Amazon l’unico offerente. La stessa Amazon avrebbe presentato una manifestazione di interesse anche per la struttura di Piazza Bainsizza e San Paolo.

A parole, tutti contro, ma… Si predica bene e si razzola male, a destra come a sinistra

Sulle agenzie stampa e sul web, dopo la notizia lanciata da “la Repubblica”, si sono scatenate prese di posizione e dichiarazioni furenti di esponenti di sinistra, centro, destra, centro-destra e centro-sinistra e centro-centro …e chi più ne ha più ne metta, dato il clima incandescente della campagna elettorale per le elezioni del Sindaco di Roma.

Ne riproduciamo una per tutte, non perché ci sembri più convincente di altre, ma perché anch’essa rientra in quella retorica che richiamavamo supra: si teorizza il meglio e si pratica il peggio, si predica bene e si razzola male. Dichiarano la Presidente di Pop Idee in Movimento e nonché Capo Gruppo della Lista Civica per Nicola Zingaretti al Consiglio Regionale del Lazio Marta Bonafoni e il Coordinatore di Pop del Municipio VII (è quello ove insiste il deposito ex Atac di Piazza Ragusa) Emiliano Cofano: “apprendiamo con sgomento la notizia dell’aggiudicazione dell’ex rimessa Atac di piazza Ragusa alla multinazionale dell’e-commerce Amazon. A nulla sono valsi i tentativi e le proposte di riqualificazione dell’area avanzate in questi anni da associazioni e comitati. L’ex rimessa è stata oggetto di una vera e propria svendita, se si considera che il suo valore era stato stimato dall’azienda per oltre 14 milioni di euro”. Francamente, non ci sembra aver registrato dalla lista civica in questione, o dal Partito Democratico (che pure governa la Regione Lazio) azioni politiche ed interventi istituzionali a sostegno delle iniziative di rigenerazione urbana. E denunciano: “all’evidente e netta perdita economica ai danni delle cittadine e dei cittadini di Roma, si aggiunge, però, l’ancor più preoccupante prassi di cedere ai privati pezzi di città che è diventata modello di gestione del territorio da parte di un’amministrazione disposta a risolvere problemi contabili a colpi di aste al ribasso e incapace di avere uno sguardo lungo sulla città. Un approccio cieco, applicato indistintamente anche a danno di spazi che sono già stati restituiti a un uso sociale, come la Casa delle Donne ‘Lucha y Siesta’, luogo di relazione, accoglienza e cura su cui il 5 agosto saremo costretti in un’altra asta a giocare una partita che non possiamo perdere…”.

Quel che stupisce è che alcune parti politiche (tutte le parti politiche?!), che hanno assistito quasi silenti a pratiche basse di non trasparenza della cosa pubblica, si sveglino “improvvisamente” durante la campagna elettorale.

Il problema riguarda in generale il grande (anzi enorme) patrimonio pubblico immobiliare del nostro Paese, del quale non soltanto non esiste un database accurato ed una mappatura evoluta, ma rispetto al quale si assiste a politiche gestionali frammentate tra i vari livelli dello Stato.

Perché Governo e Parlamento non hanno mai affrontato la questione dei “centri sociali”?

Una delle punte dell’iceberg di questo mal governo della “res publica” è dato dalla (mala) gestione del problema / opportunità dei “centri sociali” (vedi “Key4biz” del 6 maggio 2019, “Spazi per la cultura e Stato italiano, il caso dell’associazione romana Scup”), questione che non è mai stata affrontata in modo serio dal Parlamento e dal Governo.

Nelle scorse settimane, qualcosa di simile è avvenuto con un’altra iniziativa di presunta (annunciata e decantata) “rigenerazione urbana” a Roma: è stato annunciato il progetto vincitore del bando internazionale “C40 – Reinventing Cities” per l’area della Stazione Tuscolana.

Il progetto, denominato “Campo Urbano”, è stato proposto da un’ampia cordata, guidata da Fresia S.p.A., del gruppo di costruttori romani Federici.

I “rendering” che Fs Sistemi Urbani (Ferrovie dello Stato) ha reso noti hanno provocato sconcerto e preoccupazione, per la tipologia di intervento che viene proposta, soprattutto a ridosso della Stazione, per il dettaglio con cui vengono organizzati gli spazi e previste le destinazioni d’uso, e per le spropositate quantità di edificato…

Anche in questo caso, una serie di istanze dal basso (dal centro sociale SCuP – Sport e Cultura Popolare piuttosto che dallo stesso Comitato di Quartiere Tuscolano-Villa Fiorelli) sono state completamente ignorate: trasparenza tendente a zero, processi decisionali che costringono la cittadinanza ad invocare ed utilizzare la strumentazione dell’accesso agli atti.

Il bando “Reinventing Cities” e le rimesse Atac ad Amazon: due facce della stessa medaglia

Si domanda giustamente SCuP: “dove sono i processi partecipativi, con cui coinvolgere la cittadinanza, che il bando internazionale ha enunciato tra i principi discriminanti la scelta del progetto vincitore? In che modo gli studi Orizzontale e Labins, membri della cordata del gruppo vincitore con specifiche competenze e ruolo nei processi partecipativi, si sono interfacciati con gli abitanti del quartiere per raccoglierne bisogni, criticità, esigenze e desideri?”.

Il progetto Reiventing Cities per la Stazione Tuscolana e la vendita all’asta della rimessa ex Atac ad Amazon sono due facce della stessa medaglia: da una parte, la retorica della partecipazione e del digitale; dall’altra, il rinnovarsi di modalità di “fare politica” e di gestione della cosa pubblica che si caratterizzano per deficit di trasparenza e per autocrazia discrezionale.

Quante altre decine e decine, centinaia di situazioni simili si riproducono in altre città d’Italia, in assenza di una politica nazionale di strategia della rigenerazione urbana?

E qualcuno ha pensato a queste esigenze nel tanto decantato “Recovery Plan”?

E semmai anche vi fossero – tra le pagine o tra le pieghe del “Pnrr”, risorse a favore di questa “rigenerazione” necessaria – chi sarà a garantire processi decisionali tecnocratici e trasparenti?!

Forse quel controverso Domenico Arcuri (uomo-simbolo del governo giallo-rosso), già Commissario Straordinario per il Covid, richiamato in servizio dal Governo (dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il democristiano immarscescibile Bruno Tabacci), in veste di Amministratore delegato di Invitalia, per “il monitoraggio dell’avanzamento finanziario e procedurale degli investimenti pubblici”?!

Siamo sicuri che Arcuri sarà garante, anche grazie ai potenti mezzi del digitale (con una qualche “app” come Immuni, magari), della massima trasparenza…