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Ricerche online, chatbot contro motori di ricerca. Chi vince?

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Nell’aprile 2025 ChatGPT ha registrato un +300% di utenti attivi mensili rispetto all’anno precedente, contro un +6% dell’intero comparto delle ricerche online.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui..

Secondo il report AI’s Everyday Evolution di Sensor Tower, nell’aprile 2025 ChatGPT ha registrato un +300% di utenti attivi mensili rispetto all’anno precedente, contro un +6% dell’intero comparto delle ricerche online. Il 31% degli utenti che usano Google o Bing ha utilizzato anche ChatGPT nello stesso mese, un incrocio che segnala più di una semplice curiosità.

Nel frattempo, le sessioni sono aumentate del 65%, e il tempo medio di utilizzo giornaliero è quasi raddoppiato; chi conversa con l’AI, insomma, tende a restarci. Il motivo è semplice: il chatbot restituisce risposte già elaborate, pronte per essere usate, senza obbligare l’utente a passare da un link all’altro; la ricerca diventa così una conversazione, e nella conversazione il motore di ricerca perde il suo ruolo di passaggio obbligato.

Il fenomeno è più marcato tra gli early adopter: chi ha installato ChatGPT nel 2023, sei mesi dopo utilizzava il 6% in meno le app di Google. Gli utenti più recenti restano più ibridi nelle loro abitudini, ma il trend è delineato. L’esperienza informativa si sta spostando silenziosamente; e quando un gesto quotidiano cambia canale, a mutare non è solo il mezzo, ma la forma stessa della conoscenza accessibile.

Dal codice al portafoglio: come cambiano le domande rivolte all’AI

Nel giro di un anno, le richieste rivolte ai chatbot si sono fatte meno specialistiche e più quotidiane. Sempre secondo il report di Sensor Tower, i prompt legati allo sviluppo software sono scesi dal 44% al 29% tra marzo e aprile, segno che l’uso dell’AI sta uscendo dalla sua nicchia tecnica. Al loro posto, guadagnano terreno le conversazioni su economia, finanza e fisco (+9 punti percentuali), ma anche intrattenimento, storia e istruzione.

Di certo la composizione dell’utenza si sta allargando: se nel 2024 l’utente tipo era uno sviluppatore o un professionista digitale, nel 2025 i chatbot cominciano a intercettare esigenze diverse: comprendere una detrazione fiscale, farsi spiegare l’inflazione, cercare consigli su come investire piccoli risparmi. Aumentano anche le interazioni legate alla cultura generale e ai contenuti formativi, spesso in contesti non scolastici. L’AI diventa, in molti casi, un canale alternativo per chiarirsi le idee prima di prendere decisioni.

Non è detto che questa tendenza porti a una banalizzazione degli strumenti; piuttosto, apre la strada a un uso più ampio e trasversale, e dove prima dominavano righe di codice oggi trovano spazio dubbi fiscali, biografie di personaggi storici, recensioni di film o domande sulla genitorialità.

Dove clicca l’utente dopo l’AI? L’effetto referral comincia a farsi sentire

I chatbot non si limitano a rispondere, ma orientano, e lo fanno con una naturalezza che somiglia più al consiglio di un amico che al suggerimento di un algoritmo. Il report rileva che nel 2025 le prime tre destinazioni web dopo una sessione con ChatGPT sono YouTube, Wikipedia e il portale della National Library of Medicine; al quarto posto c’è Amazon, a conferma che l’interazione con l’AI può attivare percorsi di acquisto, anche quando non si parte da un intento commerciale.

Il dato interessa da vicino chi si occupa di marketing, ma anche chi aiuta gli utenti a orientarsi tra prodotti e servizi: un comparatore come SOSTariffe.it, ad esempio, può rappresentare un punto d’arrivo naturale per chi, dopo aver parlato con un chatbot di tariffe luce o offerte internet, cerca una base comparativa chiara prima di decidere.

Il comportamento d’acquisto non segue più un percorso rigido, tanto che oggi può iniziare con una domanda vaga, passare per un chiarimento semantico o tecnico e arrivare a una scelta concreta in pochi minuti. La sfida è farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, perché i link suggeriti dai chatbot non sono affollati, ma sono selettivi, e questa selettività li rende più preziosi.

App scaricata, app usata. I numeri record dell’adozione

ChatGPT non è solo molto conosciuto, ma è anche molto scaricato e molto usato. Secondo i dati raccolti dal report di Sensor Tower, dal suo lancio ha superato gli 890 milioni di download complessivi, di cui ben 410 milioni nei primi cinque mesi del 2025. Un’impennata che corrisponde a un +350% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In termini di quota, ChatGPT rappresenta ormai oltre la metà (52%) di tutti i download di app AI negli Stati Uniti: nessun’altra applicazione ha registrato un ritmo di adozione comparabile negli ultimi dieci anni.

Il dato più rilevante, però, è forse un altro: il tasso di utilizzo cresce di pari passo con i download. In genere, molte app si installano e poi si dimenticano; qui, invece, si torna regolarmente per interagire ed esplorare. Non si tratta più di un esperimento da fanatici della tecnologia, ma di uno strumento che entra nella routine quotidiana per trovare informazioni, scrivere un’email, semplificare un testo, ottenere una spiegazione veloce.

L’ascesa dell’app mobile coincide anche con una forte crescita delle visite via web: +270% in aprile 2025 rispetto allo stesso mese del 2024. La fruizione si moltiplica, diventa fluida tra dispositivi e contesti, rafforzando l’idea di una presenza costante, più che occasionale.

L’intelligenza artificiale non vende, ma influenza (e non è poco)

L’adozione crescente dei chatbot ha effetti ancora difficili da quantificare sul piano pubblicitario, ma i segnali di spostamento non mancano: secondo il report di Sensor Tower il 31% degli utenti di motori di ricerca ha usato ChatGPT nello stesso mese, un dato che – pur non indicando una sostituzione diretta – suggerisce che una parte dell’attenzione sta migrando verso l’interazione conversazionale.

Per ora, la spesa pubblicitaria resta agganciata ai canali tradizionali, anche perché le interfacce AI non sono pensate per ospitare banner o contenuti pre-roll. Ma il valore che producono è orientare la domanda prima ancora che si manifesti come intento di ricerca. Un chatbot che spiega, confronta, semplifica, forma un’opinione, così che quell’opinione possa trasformarsi in scelta, clic e acquisto in modo meno lineare ma forse più efficace.

Non è detto che il mercato sia pronto a una pubblicità nativa nel dialogo, né che gli utenti la accetterebbero. Ma la capacità dei chatbot di canalizzare l’interesse, di generare fiducia e di costruire contesto li rende interlocutori rilevanti nei percorsi di scoperta, visto che per chi comunica l’obiettivo non è solo “essere visibili”, ma entrare nella risposta giusta al momento giusto.

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