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Rete TIM, non convince nemmeno l’offerta CDP-Macquarie. Asta? Improbabile

Nemmeno l’offerta CDP-Macquarie per la rete Tim è convincete. L’offerta della Cassa e del fondo australiano, alternativa a quella del fondo americano KKR di inizio febbraio e già bocciata dal Cda della compagnia Tlc perché giudicata insufficiente, non è sostanzialmente migliorativa. E non cambia il quadro.

Entrambe le offerte scadono il 31 marzo, c’è davvero poco tempo per valutare le due manifestazioni d’interesse e trasformare una delle due in vincolante. Oggi il titolo Tim torna in terreno negativo, dopo l’euforia di ieri. A bocce ferme, l’offerta di CDP-Macquarie si rivela troppo simile a quella del fondo KKR. La valutazione della rete intorno ai 20 miliardi del tandem CDP-Macquarie è simile alla prima offerta di KKR, già bocciata.

Distanza siderale dalla valutazione di Vivendi

Ma quello che non convince nemmeno nell’offerta CDP-Macquarie, come i quella KKR, è la distanza siderale dalla valutazione dalla alla rete rispetto a quella del primo azionista di Tim, la francese Vivendi, che fissa il prezzo a 31 miliardi. Il primo azionista di Tim con il 23,75% non è più presente in Cda. Ma può far saltare le offerte, convocando un’assemblea ad hoc. Ed è questo che potrebbe succedere già nel mese di aprile.

Il capitolo Antitrust Ue resta poi centrale in tutta la vicenda, quanto irrisolto. CDP, già primo azionista di Open Fiber con il 60%, con il restante 40% proprio in mano agli australiani di Macquarie, dovrebbero sottostare a rimedi non indifferenti per ottenere il disco verde all’acquisizione della Netco di Tim, in vista di una fusione con la rete di Open Fiber. Quali garanzie ci sono di superare le forche caudine dell’Antitrust Ue?

E il controllo pubblico della rete nazionale?

C’è poi un aspetto che non va sottovalutato, ed è la reazione della politica, tutt’ora silente, ad una eventuale cessione della rete Tim a Cdp-Macquarie con il benestare di KKR, che detiene il 37,5% di Fibercop, la rete secondaria di Tim. In che modo sarà garantito il controllo pubblico della società della rete? CDP potrà davvero raggiungere la maggioranza, in caso di operazione concertata con la partecipazione del fondo americano KKR?

Tutto lascia pensare ad uno scenario in cui le due offerte alternative si fondano, alla fine, per raggiungere l’obiettivo comune dello scorporo della rete per una successiva fusione con quella di Open Fiber. Ma con una CDP che non dispone dei fondi necessari per acquisire la maggioranza, e quindi obbligata a cercare sponde nei fondi esteri infrastrutturati nel quadro di un modello Terna di rete ‘wholesale only’, non sarebbe garantito il controllo pubblico della rete.

Una rete che però, nell’ottica della maggioranza, dovrà per forza essere nazionale e a controllo pubblico. Se la rete finisse invece sotto il controllo dei fondi (australiano e americano) come potrebbe risponderne il Governo Meloni?

Resta poi da capire se i due pretendenti innescheranno un’asta al rialzo, con rilanci, per la Netco.

Resta da vedere se il Cda di Tim darà una risposta all’offerta di CDP-Macquarie al cda fissato il 15 marzo.

Intanto, si terrà venerdì la riunione del comitato parti correlate di Tim chiamato ad esaminare l’offerta presentata da Cdp e Macquarie.

Lo dicono a Reuters due fonti a conoscenza della situazione. Il parere del comitato parti correlate è necessario essendo Cdp azionista di Tim, con una quota del 9,8%.

Tim: la Lex del Financial Times prevede una gara al rialzo

“C’è ancora spazio per ‘addolcire’ la proposta” da parte di Kkr. La Lex Column del Financial Times dedica una riflessione a Tim e alle offerte per la rete prevedendo una gara al rialzo tra il fondo americano e Cdp con Macquarie. “Le acquisizioni italiane sono raramente affari semplici. Non è raro che gli offerenti nazionali ‘patriottici’ avanzino con il sostegno del governo. Gli azionisti di Telecom Italia devono sperare che il primo ministro Giorgia Meloni non sia tentato di aggiungere la società di telecomunicazioni a quella lista” scrive il quotidiano.

“Tim – prevede il Ft – proverà ora ad avviare un’asta competitiva” considerando che altri accordi infrastrutturali nel settore hanno raggiunto multipli più alti. “Meloni – conclude il quotidiano finanziario inglese – dovrebbe lasciare che gli offerenti se la cavino”, far decidere al mercato.

E’ proprio vero che le cose da Londra si vedono troppo da lontano.

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