l'analisi

Remote working, i tre fattori da prendere in considerazione

di Alessandra Lomonaco, CEO e Founder di Huky srl Società Benefit |

Si ritorna in questi giorni al tema già molto discusso dello smart working, a causa della ripresa della didattica a distanza delle scuole chiuse, dal nido alla secondaria di secondo grado.

Si ritorna in questi giorni al tema già molto discusso dello smart working, a causa della ripresa della didattica a distanza delle scuole chiuse, dal nido alla secondaria di secondo grado.

Lo chiamiamo ormai tutti così, anche se sappiamo non esserlo per la maggioranza dei casi, trattandosi di un telelavoro forzato, molto “tele” e poco “smart”. Tanto più per le famiglie con figli piccoli o adolescenti, che devono gestire una didattica remotizzata, come il lavoro dei genitori, con metodologie quasi immutate rispetto alla didattica tradizionale, in classe.

Il discorso si è riaperto anche riguardo alle misure e agli strumenti che dovrebbero garantire alle famiglie la co-gestione lavorativa e scolastica dei figli: è sempre più evidente che il lavoro da casa e la gestione dei figli in D.a.D sono elementi inconciliabili e spesso generano problemi familiari, calo del rendimento scolastico e diminuzione della produttività e della motivazione.

I problemi del remote working

Parlare di smartworking ad un anno dall’entrata in vigore del DPCM che introduceva il primo lockdown e di conseguenza il lavoro da casa in sostituzione delle routine a cui eravamo abituati fino al 2019, ha ancora meno senso, perchè ora siamo tutti ben consapevoli di cosa significhi.

Così come pensare che possa rappresentare una forma di welfare, come veniva considerato da molte aziende negli anni scorsi, prima della pandemia, quando era “concesso” per lo più a donne, madri lavoratrici, come fosse una sorta di part time, per conciliare lavoro e vita familiare.
Guardandoci alle spalle, sembra il paleolitico.

In questo senso la pandemia ha avuto il merito di portare sul tavolo pubblico di discussione il tema del lavoro agile.

Sono “fioriti” così i dibattiti su cosa significhi lavoro agile, remote working, lavoro per obiettivi.

Certamente per chi ha un figlio di un anno e un progetto da consegnare in remote working, comunque lo si chiami, si traduce giocoforza in lavoro notturno.

Il vero significato di smart working

È necessario ribadire quindi che smart working non significa lavorare da casa, in emergenza, con le modalità, i mezzi, gli orari, del lavoro d’ufficio “9 to 6”.

Il paradigma è cambiato e per la stragrande maggioranza delle aziende con processi lavorativi che possono essere remotizzati, difficilmente si tornerà indietro.

Smart working non significa per forza lavoro da portatile dal soggiorno di casa. È possibile lavorare “smart” anche dall’ufficio, in modalità ibrida, alcuni giorni al mese o alla settimana, a seconda delle esigenze organizzative.

Per passare da una fase emergenziale, che purtroppo dopo dodici mesi stiamo ancora vivendo, ad una fase strutturale di vero lavoro agile, è necessario agire su 3 fattori:

  • La formazione manageriale, per indirizzare una cultura organizzativa ancora basata sul controllo delle persone verso un paradigma basato sugli obiettivi, sull’autonomia e sulla misurazione dei risultati.
  • Gli strumenti, perché la digitalizzazione dei processi e l’uso adeguato della tecnologia è pre-condizione per garantire efficienza ed efficacia del lavoro da remoto
  • Il benessere e il coinvolgimento delle persone, perché ogni cambiamento organizzativo e culturale passa dalle persone, che vanno informate e coinvolte, senza trascurare il loro benessere psico-fisico, messo a dura prova in quest’anno così difficile.

In questi mesi, in Huky, abbiamo lavorato strategicamente per realizzare un modello di riferimento per tutte le aziende che necessitano di passare da una situazione di improvvisazione organizzativa legata all’emergenza  ad una di efficienza e funzionalità. Si chiama SmartNETWork e vede la partecipazione di alcuni partner: Manpower Academy, JustKnock e Ae.net.

Il nostro obiettivo è accompagnare le aziende italiane ad una vera digitalizzazione, che non significa soltanto usare al meglio la tecnologia. Significa ripensare e riprogettare il modello organizzativo e operativo, partendo dalle persone coinvolte, per una nuova cultura aziendale.

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