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Raiway-EI Towers, l’ipotesi di fusione sul tavolo del Cda

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Torna di moda l’ipotesi di fusione fra Raiway (controllata da Rai al 65%) ed Ei Towers (di cui F2i ha il 60% e Mediaset il 40%).

Torna di moda l’ipotesi di fusione fra Raiway (controllata da Rai al 65%) ed Ei Towers (di cui F2i ha il 60% e Mediaset il 40%). Voci di un possibile merger si susseguono dal 2015, dopo che Raiway era sbarcata in borsa l’anno precedente. Ma se all’epoca l’ipotesi era di un’Opa di Ei Towers su Raiway, oggi lo schema allo studio sarebbe ribaltato, con Raiway pronta a rilevare le torri di Ei Towers, che si troverebbe così quotata a Piazza Affari. Non sono però ancora stati definiti i termini dell’operazione, a suo tempo bloccata perché le torri Tv sono un asset strategico del paese.

Secondo indiscrezioni, l’operazione sarà carta contro carta e che si tratterà di un’acquisizione di Ei Towers da parte di Raiway. L’assetto azionario vedrebbe F2i (ora ha il 60% di Ei Towers) al 33%, Rai (ha il 65% di Ray Way) al 30% e MFE (MediaForEurope ha il 40% di EI Towers) al 23%, con gestione operativa in capo a F2i per questioni antitrust. Il dividendo straordinario è ipotizzato in 3-400 milioni di euro, in larga parte a favore degli azionisti di Ray Way.

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Advisor in arrivo?

Gli azionisti delle due aziende riceverebbero un conguaglio, sotto forma di dividendo straordinario. EI Towers trarrebbe vantaggio in termini di risparmi nella gestione della rete di antenne, effetto delle sinergie con RaiWay.

Secondo diverse indiscrezioni di stampa, oggi al Cda di Raiway si dovrebbe discutere tra le altre cose della nomina di un advisor responsabile di progettare l’operazione.

La possibile fusione con Ei Towers avverrebbe probabilmente dopo le elezioni politiche, scrive la Repubblica, secondo cui i rispettivi azionisti Rai e F2i “avrebbero già condiviso e starebbero per firmare una lettera d’intenti dopo aver discusso la struttura dell’operazione”.

Torri di trasmissione asset strategico

Le torri di trasmissione rappresentano un asset strategico del paese, ed è per questo che nel 2015 fa il Governo bloccò L’Opa da 1,23 miliardi di euro di Mediaset per rilevare RaiWay.

Il matrimonio tra le due aziende è stato tentato nel 2015, ma l’Opas lanciata da Ei Towers  sul 66,7% del capitale di RaiWay (costata al gruppo 1,6 miliardi di euro, ndr) fallì dopo lo stop di Viale Mazzini e del Ministero dell’Economia al quale si è poi aggiunto quello della Consob e dell’Antitrust. Una situazione spinosa che ha spinto la stessa Ei Towers a ritirare l’offerta sul 66,7% e anche quella successiva che puntava invece al 40%.

Una rinuncia che non ha mai avuto la pretesa di essere irrevocabile e anche i vertici di Rai Way, del resto, non hanno mai celato di avere tutto l’interesse a lavorare a un operatore unico delle torri.

C’è da dire che all’epoca l’Opa ostile di Ei Towers non andò a buon fine perché per legge (decreto Renzi del 2014) il 51% del capitale azionario doveva restare in mano della Rai.

Da allora le cose sono cambiate, dopo che lo scorso 7 marzo Mario Draghi ha firmato un decreto che consente alla Rai di andare sotto il 51%, ma entro la soglia del 30%.

Il lavoro in corso è quello di far nascere il gigante tricolore delle torri televisive. La scelta del Governo Draghi è stata criticata dai sindacati dei lavoratori, che con la Slc Cgil la ritiene “sbagliata nel metodo e nel merito”.

Quale il senso industriale dell’operazione?

Il problema nasce anche dal mancato riassetto del sistema delle telecomunicazioni. Per il sindacato dei giornalisti si è trattato di un “modo per ripianare il buco di bilancio di viale Mazzini”. Le polemiche si sono concentrate sulle ragioni di una scelta che mette in mani private “un patrimonio pubblico di grande portata, senza dire qual è il progetto strategico per il sistema-Paese rispetto al tema delle torri di telecomunicazioni e trasmissioni”.

Tanto più che dal punto di vista tecnologico in futuro i siti mobili saranno sicuramente più densi di come sono ora, per sostenere e veicolare le trasmissioni 5G. A questa densità Raiway potrebbe contribuire con siti che si trovano a grande distanza l’uno con l’altro, per lo più in montagna.