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Rai, 5 progetti per RaiPlay (e per il Governo)

Il rilancio di RaiPlay, al netto delle indeterminatezze e delle ingenuità sottolineate da Angelo Zaccone Teodosi in questo articolo su Key4biz, può essere un tassello importante per cinque grandi progetti-Paese.

L’obiettivo di RaiPlay non è quello di essere concorrenti degli OTT, ma contribuire alla produzione di opere e allo sviluppo di imprese nazionali in grado poi di sopravvivere nelle piattaforme mondiali..

1. RaiPlay e connessione

Ogni giorno, dal 4 al 10 novembre, 6 milioni di italiani vedranno su RAI 1 uno show di Fiorello, che poi continuerà solo via internet. La metà del pubblico di Rai 1 non usa internet e un quarto non lo ha mai usato in vita sua, classifica nella quale l’Italia occupa uno dei posti peggiori tra i paesi sviluppati.

Non che gli altri editori vadano molto meglio. Nel 2019 solo un italiano su 4 ha sbirciato, almeno per un minuto, una Smart tv. Eppure la maggior parte delle famiglie ha già un televisore in grado di connettersi ad internet e gli altri potranno acquistarlo l’anno prossimo quando dovranno rottamare il loro vecchio televisore causa abbandono della banda 700. 

Quante nuove connessioni vale l’operazione Fiorello e quale incremento di tempi di visione? Questo obiettivo non interessa solo la Rai, ma anche Mediaset e Sky e soprattutto le imprese di telecomunicazione. Se ci poniamo un obiettivo (realistico) di 20 milioni di televisori connessi per mezz’ora, la rete dovrà sostenere qualche decina di petabyte al giorno aggiuntivi, con picchi concentrati.

In cambio le telco italiane possono attendersi un deciso incremento delle connessioni a banda ultralarga e in fibra e anche i servizi on line della PA potrebbero finalmente cominciare a decollare.

Se Infinity Mediaset e Now Sky fossero coinvolte in una strategia coordinata, promuovendo la propria offerta, l’impatto sarebbe moltiplicato. E’ più importante ed è più facile perché non necessita di uno switch off quello che si fece nel 2008 con il digitale terrestre.

2. Coesione generazionale

L’anno scorso la Rai ha stipulato un contratto con lo stato italiano impegnandosi a misurare e migliorare il suo contributo alla coesione sociale, cioè alla formazione di pubblici non segregati per livello di reddito, istruzione, età, regione, provenienza etnica. Di questi indicatori, come indica lo Studio Frasi, il più critico è quello generazionale. Giovani e anziani non vedono gli stessi programmi, non si conoscono, non hanno una narrativa comune di cui parlare.

Per ricostruire una koiné l’offerta lineare della Rai sembra il peggior punto di partenza, un ampio recinto che trattiene gli anziani e nel quale i giovani non intendono entrare.

RaiPlay è posizionata meglio. Fiorello garantisce un indice di coesione generazionale un poco migliore di altre star. Interessante anche la presenza al suo fianco di star affermate su piattaforme per adolescenti quali TikTok.

Perché lavorare sulla coesione generazionale è un difficile lavoro a due versanti: da un alto è consentire ai nipoti di vedere on demand i programmi che piacciono tanto ai nonni; dall’altra incuriosire i nonni sulle clip di cui si cibano i nipoti.

3. Internazionalizzazione

Competere con le grandi piattaforme è uno slogan illusorio e pericoloso.  Le economie di scala dell’industria audiovisiva mondiale sono fuori della portata della Rai e di qualsiasi azienda nazionale. Solo Netflix, Banijay, HBO, Disney e pochi altri possono permettersi di trainare la loro offerta rivolta al mondo con alcune serie che costano 15 milioni all’ora.

Ma il grosso del catalogo è composto da opere a costo intermedio e persino da opere prime sperimentali e dalla library. Qui le industrie nazionali si fanno le ossa e si guadagnano la pagnotta.

Anche qui però l’industria nazionale sta perdendo terreno, perché è rimasta impantanata nel modello di vendita dei diritti di antenna a un broadcaster nazionale e poi dei diritti secondari a una piattaforma internazionale, quando ci riesce.

Neanche a livello intermedio però la Rai ce la farà da sola, ma può facela solo in due modi. Può condividere un piano massiccio di coproduzioni con altri servizi pubblici europei, ma è una strada lunga che passa per nazionalismi e procedure burocratiche ossificate. Può fare accordi di tipo nuovo con piattaforme di distribuzione nazionali. Ad esempio può coprodurre insieme a TimVision, dove da poco è arrivato l’ottimo Andrea Fabiano, Sperimentando forme di distribuzione complementari o anche simultanee. Lo sviluppo degli algoritmi di recommendation può essere un altro campo di collaborazione.

In alcuni settori, quale ad esempio quello dei documentari, accordi di questo genere potrebbero generare da subito una linea produttiva a livello BBC o Discovery channel, cioè a livello dell’eccellenza mondiale.

In questo caso l’obiettivo non è quello di essere concorrenti degli OTT, ma contribuire alla produzione di opere e allo sviluppo di imprese nazionali in grado poi di sopravvivere nelle piattaforme mondiali.

4. Sovranità sui dati

La massa, varietà e qualità dei dati in possesso di Netflix e YouTube è ormai irraggiungibile. Amazon ha meno dati sui tempi di visione, ma conosce meglio la preziosa correlazione tra ore viste di opere italiane e acquisto di prodotti italiani.

Con la connessione dei televisori Samsung si appresta a misurare, almeno a livello superficiale, ogni passaggio da un canale all’altro e da una piattaforma all’altra. Sono dati preziosi su cui si misura il soft power di ogni paese.

L’idea che la Rai si tenga per sé i dati generati su RaiPlay non ha alcun impatto sul mondo reale.

Il punto è come avere accesso (come potere interrogare) anche i dati riguardanti l’Italia e generati sulle piattaforme mondiali. Come nel progetto 1 anche in questo caso il rapporto con Mediaset e Sky è utile. I costruttori di ricevitori possono essere disposti a concedere la interrogabilità dei dati nazione di interesse pubblico in loro possesso, piuttosto che imbarcarsi in lunghi negoziati con i broadcaster di un singolo paese coalizzati. 

Con Netflix, Google e Amazon sarà più difficile, ma la minaccia di normative europee può aiutare un negoziato di reciproco vantaggio.

5. Misura dell’impatto dell’uso del denaro pubblico

I quattro i progetti sopra indicati sono misurabili. Se ne possono definire quantitativamente gli obiettivi, gli indicatori, le metriche. Si può misurare il rendimento medio del capitale applicato e il rendimento marginale (efficacia dell’unità di investimento aggiuntivo). In assenza di misure i progetti sono chiacchiere.

Non spetta però alla Rai indicare gli obiettivi di interesse pubblico e gestirne il monitoraggio. Lasciata a se stessa la Rai può dichiarare che in 9 mesi sono stati scaricati 488 milioni di video, con un incremento del 75%. 

Che significa? Un minuto medio al giorno per abbonato Rai? Fra 9 mesi la brava Elena Capparelli potrà dichiarare l’incremento realizzato e pensiamo che sarà molto superiore al 75%. Ma con quale rapporto atteso costi/benefici?

In conferenza stampa Fiorello ha detto che il suo “costo è relativo rispetto a quello che il progetto genera”. Se voleva dire che ha firmato uno Smart contract, variabile in relazione agli obiettivi, non ci troveremo niente di male in questa fase. Anzi pensiamo che anche il canone dovrebbe essere variabile in funzione di obiettivi di interesse pubblico stabiliti dall’azionista e non, come è avvenuto sinora, in funzione dell’umore del Governo di turno.

Per definire obiettivi di pubblico interesse misurabili nel mondo internet, incentivi e penalità, il percorso istituzionale è compatibile con la preparazione del Piano industriale Rai 2022-2024 e può essere anticipato grazie al Contratto di servizio in vigore, in particolare agli articoli sulla coesione sociale, innovazione tecnologica e industria dell’audiovisivo e la modernizzazione del Paese.

Oltre alla Rai ed eventuali altri partner nazionali, i progetti-Paese indicati coinvolgono almeno tre ministeri. 

Se è necessario il supporto di un consulente esterno è preferibile non affidarsi in questo caso a una soluzione tipo BCG, come in occasione dell’ultimo piano triennale Rai, ma a un pool di istituti di ricerca nazionali, come si fece con successo ai tempi dello switch off analogico digitale.

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