lo studio

Ragazzi italiani in difficoltà, il 42% chiede aiuto all’AI. Terragni (Garante per l’infanzia e l’adolescenza): “Adulti parte del problema”

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I dati del XVI Atlante dell’Infanzia in Italia. Minori lasciati soli e in compagnia della falsa amica AI. Terragni (Autorità garante per l’infanzia): “Quando parliamo degli adolescenti iperconnessi si dovrebbero attenzionare gli adulti”.

I nostri figli sempre più fragili, l’AI “falso” salvagente in mezzo a un mare di solitudine e minacce fisiche e virtuali

In Italia, oltre il 92% dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 19 anni utilizza strumenti di intelligenza artificiale (AI) e il 41,8% li ha usati per cercare aiuto quando si sentiva triste, solo o ansioso. Una percentuale simile, oltre il 42%, li ha consultati per ricevere consigli su scelte importanti da fare.

Sono i dati contenuti nel XVI Atlante dell’Infanzia in Italia di Save the Children, dal titolo “Senza Filtri“, che accende i riflettori sull’adolescenza, tra iperconnessione, isolamento e disuguaglianze sociali.
Un’infanzia sempre più a rischio, che sembra peggiorare per tutto il percorso dell’adolescenza, visto che secondo lo studio: “Meno della metà degli adolescenti intervistati (49,6%) dichiara di avere un buon livello di benessere psicologico, con un divario di genere particolarmente marcato: solo il 34% delle ragazze mostra un buon equilibrio psicologico, contro il 66% dei ragazzi. Quasi uno su dieci si è isolato volontariamente per problemi psicologici e il 12% ha fatto uso di psicofarmaci senza prescrizione”.

Adolescenti a rischio povertà e isolamento

La vita dei cosiddetti nativi digitali si svolge in una dimensione “onlife, in cui non ci sono più barriere tra mondo fisico e virtuale. E i problemi del mondo fisico e quello virtuale si sovrappongono sempre di più, minacciando proprio quel benessere psicologico e fisico dei minori che secondo l’Atlante è sempre più vulnerabile.

Gli adolescenti in Italia sono sempre di meno: poco più di 4 milioni di 13-19enni, pari al 6,86% della popolazione (uno su 15). Nel 1983 erano 6,5 milioni (11,6%). Oltre un adolescente su quattro (26,1%) tra 11 e 15 anni è a rischio povertà o esclusione sociale.

Il 5,2% dei 12-15enni in povertà alimentare; 8,2% sotto i 16 anni in povertà energetica.

I rischi dell’iperconnessione, del cyberbullismo e delle relazioni intime stravolte dall’eccessiva esposizione a internet

Il 13% degli adolescenti mostra un uso problematico di internet (iperconnessione). Il 38% pratica il “phubbing”, controllando spesso il cellulare anche in presenza di amici o familiari. Il 27% si sente nervoso quando non ha il telefono a portata di mano.

Il 47,1% dei 15-19enni è stato/a vittima di cyberbullismo, con un aumento di 16 punti percentuali rispetto al 2018; quasi il 20% dei 14-19enni ha subito episodi offensivi più volte in un mese. Tra gli studenti stranieri, la quota di vittime ripetute di atti intimidatori è più alta (26,8%) rispetto ai coetanei italiani (20,4%).

Le stesse relazioni intime e sessualità passano sempre più per a rete: il 30% ha praticato ghosting; il 37% dei 15-19enni visita siti porno per adulti (54,5% ragazzi, 19,1% ragazze); l’8,2% usa app di incontri.

Terragni (Autorità garante per l’infanzia): “Quando parliamo degli adolescenti iperconnessi si dovrebbero attenzionare gli adulti

Richiamando alla memoria il docufilm “The Social Dilemma” e il saggio di Shoshana Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza”, in cui si rivela il progetto di “ricablare il mondo” e di sostituirsi alla democrazia, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni, ha inserito anche la variabile “adulti” in questo ragionamento sul rapporto estremamente delicato tra minori e tecnologie digitali.

Nel parere trasmesso al Presidente della 8ª Commissione del Senato, Claudio Fazzone, sul disegno di legge n. 1136, contenente disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale, ha dichiarato: “Quando parliamo degli adolescenti iperconnessi si dovrebbero dunque attenzionare gli adulti o “adultescenti” di riferimento: i padroni delle piattaforme, da un lato, che si assicurano enormi profitti coltivando la dipendenza dopaminergica fin dalla più tenera età degli utenti, e gli adulti di riferimento, genitori ed educatori iperconnessi, che offrono il cattivo esempio e che non potendo essere fatti oggetto di normative proibizionistiche vanno coinvolti e responsabilizzati con un ampio lavoro di informazione finalizzato a una crescita di consapevolezza. Diversamente la scena domestica vedrebbe i genitori intenti sui loro smartphone e i figli a cui è “punitivamente” interdetto l’accesso”.

Il messaggio base è che bisogna superare lo scontro tra “proibizionisti” e “antiproibizionisti” tecnologici: “ovvero tra chi ritiene che l’unico rimedio possibile per arginare la pandemia di disturbi neuropsichiatrici, cognitivi e di personalità correlati a un accesso precoce a internet e in particolare ai social network sia imporre un limite d’età e una rigorosa age verification da parte delle piattaforme; e chi invece è dell’opinione che si tratti piuttosto di far crescere il livello di consapevolezza critica tra i giovanissimi utenti”.

La vera “cura” rimane sempre la possibilità di poter contare certamente su una norma “efficace”, come quella in discussione in Italia e su su cui si vigila in Europa, ma che deve essere inserita “in un orizzonte politico che tenga al suo centro le relazioni tra il mondo adulto e quello di bambini e adolescenti, sempre nella logica del superiore interesse del minore”, ha precisato Terragni.

Che ci fanno gli adolescenti con l’AI?

Secondo lo studio pubblicato da Save the Children, praticamente quasi tutti gli adolescenti usano l’AI: il 92,5% (contro il 46,7% degli adulti).

Il 30,9% dei ragazzi – quasi uno/a su tre – tutti i giorni, il 43,3% qualche volta a settimana. Solo il 7,5% non la utilizza mai.

Nonostante si tratti di strumenti con impatti molto diversi, i chatbot (Chat GPT, Claude, Dixit) sono di gran lunga gli strumenti più utilizzati dagli adolescenti (68,3%), seguiti da strumenti di traduzione automatica (42,5%) e assistenti vocali (33,3%). Il 9,3% usa chatbot ‘relazionali’ come Character IA e Anima.

Tra chi utilizza l’AI, i motivi principali sono:

  • la ricerca di informazioni (35,7%);
  • l’aiuto nello studio e nei compiti (35,2%);
  • traduzioni (19,8%), scrittura di testi (18,7%);
  • prevalentemente per scopo ludico (21,4%);
  • per consigli utili per la vita quotidiana (15%);
  • il 7,1% degli utilizzatori di IA lo fa per aumentare il proprio benessere;
  • il 4,2% per trovare compagnia.

La minaccia della “AI amica”

La caratteristica più apprezzata dell’AI tra gli adolescenti è il fatto che ‘è sempre disponibile’ (28,8%), ma anche (14,5%) che ‘mi capisce e mi tratta bene’ e ‘che non mi giudica’ (12,4%).

Il 58,1% degli utilizzatori dell’IA ha chiesto consigli su qualcosa di serio e di importante per la propria vita (il 14,3% spesso, il 43,8% qualche volta), il 63,5% ha trovato più soddisfacente confrontarsi con l’AI che con una persona reale (il 20,8% spesso, il 42,7% qualche volta), il 48,4% ha condiviso informazioni della sua vita reale.

Un’interazione eccessivamente intima, che segnala la confusone psicologica ed emotiva che caratterizza l’utilizzo di questa tecnologia da parte degli utenti minori, troppo esposti in termini relazionali a qualsiasi minaccia psicologica e fisica, proprio per la fragilità che caratterizza la mente di un ragazzino.

Negli Stati Uniti sono numerose, ormai, le cause conto i chabot, in particolare ChatGPT di OpenAI, proprio per gli effetti estremamente negativi sui minori, che purtroppo in alcuni casi si sono trasformati in veri e proprio casi si suicidio.

AI: psicosi, manie e suicidio, un milione gli utenti a rischio nel mondo

Secondo i querelanti, GPT-4o è stato rilasciato con “funzionalità manipolative” progettate per massimizzare il coinvolgimento: memoria persistente, risposte empatiche e comportamento “compiacente”. Tutti elementi che avrebbero portato alcuni utenti a sviluppare rapidamente dipendenza psicologica, isolamento e nei casi estremi suicidio.

Secondo un’analisi interna della stessa OpenAI, circa lo 0,07% degli utenti settimanali mostra segni di psicosi o mania, e 0,15% discute di suicidio — percentuali che, su 800 milioni di utenti, equivalgono a oltre un milione di conversazioni a rischio.

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