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Quali nuove prospettive per le Smart City nell’era post-Covid-19?

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Se dunque la pandemia ha intensificato l’interesse verso l’argomento “smart city”, ha anche però iniziato a modificare modelli e stili di vita. Durante la crisi sanitaria, i centri più colpiti sono stati proprio quelle metropoli che in prospettiva dovrebbero trasformarsi in città intelligenti, metropoli dalle quali i cittadini cominciano gradatamente ad allontanarsi.

L’abbiamo ripetuto molte volte: la città del futuro è smart. Trasporti, sanità pubblica, servizi essenziali: con le Smart City tutto sarà interconnesso, in modo da garantire ai cittadini una migliore qualità della vita.

Sembra essere una prospettiva lontana, ma in realtà, secondo l’Osservatorio Internet of Things della School Management del Politecnico di Milano, è più vicina di quanto si pensi.

Il 42% dei comuni italiani con meno di 15mila abitanti ha già avviato, e in qualche caso realizzato, un progetto di smart city negli ultimi anni. In alcuni casi esperimenti o “assaggi” di digitalizzazione, in altri casi iniziative più strutturate: a Verona scatta automaticamente il verde quando le ambulanze sono a 100 metri di distanza, a Firenze l’irrigazione dei parchi pubblici è affidata ad un’Intelligenza Artificiale e a Livorno l’illuminazione pubblica è controllata da remoto con un’analisi su prestazioni e consumi.

Nell’epoca che viviamo, segnata profondamente e in ogni aspetto dal Covid-19 e dai suoi effetti, alle smart cities si guarda con sempre maggiore attenzione. Ciò che desta interesse è principalmente la loro capacità previsionale, un pregio la cui importanza è emersa prepotentemente negli ultimi mesi.

In una città interconnessa, in cui i dati viaggiano continuamente da un edificio all’altro, sarebbe possibile ad esempio regolare in modo più preciso il flusso dei cittadini: circoscrivendo la questione all’ambito sanitario, questo significherebbe prevenzione degli assembramenti e migliore gestione delle emergenze.

Il processo per rendere “smart” le città italiane è lungo ma i primi passi sono stati mossi, e nel prossimo futuro potrebbe persino esserci un’accelerazione.

Nel corso delle audizioni in Senato sul Recovery Fund, l’ANCI – Associazione Nazionale dei Comuni Italiani ha presentato un documento in cui indica dici punti per il rilancio del paese. Tra questi, l’implementazione delle città intelligenti è al quarto posto: “Potenziare le reti digitali è essenziale per far uscire dall’isolamento interi paesi e comunità. Gli enti pubblici sono importanti collettori di big data, che devono imparare a gestire”. Se si considera che nelle linee guida suggerite dalla Commissione Europea sull’uso del Recovery Fund si insiste sul miglioramento della connettività e della digitalizzazione, non è escluso che la proposta dell’ANCI possa essere accolta, seppur parzialmente.

Se dunque la pandemia ha intensificato l’interesse verso l’argomento “smart city”, ha anche però iniziato a modificare modelli e stili di vita. Durante la crisi sanitaria, i centri più colpiti sono stati proprio quelle metropoli che in prospettiva dovrebbero trasformarsi in città intelligenti, metropoli dalle quali i cittadini cominciano gradatamente ad allontanarsi.

Più che di smart city – sottolinea Aldo Bonomi, fondatore del consorzio AASTER – bisognerebbe iniziare a parlare di smart land”: interi territori interconnessi, aree in cui i centri cittadini sono strettamente collegati al territorio circostante. Perché si possa cambiare paradigma, tuttavia, è necessario attendere che la tendenza ad allontanarsi dalle città si consolidi.