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Pubblicità camuffata sui social, vuoto normativo in Italia. Ecco le regole negli Usa (il caso Warner Bros)

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La Federal Trade Commission ha vietato alla major (e a tutte le aziende) di continuare a realizzare campagne social in cui ‘s’ingannano i consumatori che hanno il diritto di sapere se i video e le foto sui social sono sponsorizzati’.

La nostra inchiesta sulla pubblicità occulta sui social (‘Sembrano selfie, ma è pubblicità camuffata) è stata ripresa dal sito d’informazione ‘Business Insider Italia’, e sta facendo discutere ulteriormente l’opinione pubblica, perché nel nostro Paese, come abbiamo dimostrato, il product placement non dichiarato viaggia indisturbato sui social network. C’è un vuoto normativo che va colmato. Nel 2017 la legislazione italiana ancora non considera i social network editori, nonostante, solo per fare un esempio, l’outing di Mark Zuckerberg parli chiaro: “Siamo una media company, Facebook è un giornale”. Così in Italia impazzano sul web selfie e video di veline e influncer che, letteralmente, posano per una campagna pubblicitaria non dichiarata o non adeguatamente dichiarata ai follower-consumatori social. E mentre il cachet di queste celebrity o fashion blogger aumenta sempre di più, chi prende a cuore la battaglia per difendere i diritti dei consumatori? Al momento in questo vuoto normativo si è mosso solo l’ente privato IAP, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, che ha adottato la ‘Digital Chart’, un corpus di regole per rendere riconoscibile la pubblicità anche in Rete. Ma questo codice di autoregolamentazione vale soltanto per le aziende che aderiscono al sistema dello IAP.

Negli Usa la Warner Bros “ha ingannato i consumatori”

 

Negli Stati Uniti le regole ci sono. La Federal Trade Commission, l’Autorità governativa indipendente che promuove la concorrenza e difende i consumatori, ha richiamato la Warner Bros e le ha vietato in futuro di realizzare di nuovo una campagna social in cui “si inganno i diritti dei consumatori”. Ecco cosa è successo.

L’anno scorso la major, per avere recensioni (solo) positive del videogame in uscita Middle Earth: Shadow of Mord ha pagato con migliaia di dollari diversi influencer statunitensi, tra cui il popolarissimo PewDiePie, il cui canale YouTube ha più di 54 milioni di iscritti e tutti i suoi video sono stati visti (leggete bene) più di 14 miliardi di volte. Dopo un’indagine l’Agenzia ha sancito che la Warner Bros, si legge nel provvedimento, ha “ingannano i consumatori, i quali hanno il diritto di sapere se gli influencer online esprimono liberamente i loro giudizi o sono solo dei piazzisti pagati da terzi”. Nel caso specifico i gameplay del videogioco (la recensione live mentre si gioca) hanno totalizzato, grazie agli youtubers pagati, 5,5 milioni di visualizzazione sui social network.

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Ma l’errore o la “dimenticanza” contestata alla major qual è stata?

Non aver comunicato in modo adeguato agli influencer il modo corretto per annotare la “sponsorizzazione”. Infatti nei video, ha notato l’Autorità, non è stato indicato in modo “facilmente visibile” la dicitura “sponsorizzato”, è stata inserita solo nella parte dedicata alla descrizione dei video su YouTube e neanche nelle prime righe: per leggerlo era necessario cliccare su “mostra altro”. Inoltre nella condivisione del contenuto sugli altri social media l’indicazione della “pubblicità” è scomparsa.

Le 7 regole da rispettare negli Stati Uniti per le campagne social

Nello stesso provvedimento adottato nei confronti della Warners Bros la Federal Trade Commission ha indicato 7 regole che le agenzie pubblicitarie devono rispettare nelle campagne sui social network.

  1. La dicitura “sponsorizzato” deve essere chiara, facilmente visibile e comprensibile dai consumatori, soprattutto quelli “meno” protetti: bambini, anziani, ecc..
  2. L’indicazione del contenuto sponsorizzato deve avvenire in due modi contestuali: jingle ed etichetta.
  3. L’etichetta “sponsorizzato” deve essere ben distinguibile e non inserita vicino a loghi o altri elementi visivi in modo da creare confusione.
  4. Deve essere inserita anche in streaming video e deve essere facilmente visibile e udibile.
  5. Deve essere presente in qualsiasi comunicazione pubblicitaria su Internet e non può essere cancellata.
  6. La dicitura deve essere scritta nella lingua dei consumatori-target e in tutte le altre lingue dei Paesi in cui la campagna social è veicolata.
  7. La comunicazione deve essere conforme ai requisiti in ogni mezzo di fruizione.

E in Italia?

A quando l’intervento di Parlamento, Autorità indipendenti (Agcom e Antitrust) per regolamentare questa nuova forma di pubblicità?

Sarebbe un decalogo con tanti “Like”!

Per approfondire: