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Processo telematico: le anomalie del decreto e i rischi per gli avvocati

di Andrea Lisi e Sarah Ungaro – Digital & Law Department |

Forti perplessità suscita il nuovo decreto del Ministero della Giustizia che modifica le Specifiche tecniche di conformità su documento informatico separato

Forti perplessità suscita il nuovo decreto 28 dicembre 2015 del Ministero della Giustizia che modifica le Specifiche tecniche sul processo telematico, previste dal decreto n. 44/2011. In particolare, il recente provvedimento introduce nel testo l’art. 19-ter, relativo alle modalità di attestazione di conformità apposta su un documento informatico separato.

A tal proposito, con l’art. 16-bis del D.L. 179/2012 era stato già introdotto il potere di autentica degli atti contenuti nei fascicoli processuali informatici, attribuito ai difensori e agli ausiliari del giudice. Con questo articolo si è stabilito innanzitutto che le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere. In particolare, il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore e il commissario giudiziale possono autonomamente estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di tali atti e provvedimenti, attestando la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico. Pertanto, tali copie – analogiche e informatiche, anche per immagine – estratte dal fascicolo informatico e munite dell’attestazione di conformità da parte degli avvocati e degli altri soggetti autorizzati, equivalgono all’originale.

In seguito, con gli articoli 16-decies e 16-undecies introdotti dall’art. 19 del Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83 – la cui formulazione aveva destato non poche perplessità[1] -, è stato attribuito al difensore (o uno degli altri soggetti autorizzati) il potere di attestare, ai fini del deposito, la conformità della copia informatica (anche per immagine) di un atto formato su supporto analogico e notificato “con modalità non telematiche”[2].

Ora, con il decreto 28 dicembre 2015, la redazione delle nuove norme sulle modalità di attestazione di conformità risulta ancora più maldestra, delineando peraltro una disciplina che non garantisce l’identificazione univoca del documento informatico di cui si attesta la conformità all’originale, compromettendo così la certezza del diritto ed esponendo gli avvocati al rischio di attestare una conformità non verificabile secondo le comuni e riconosciute regole giuridico-informatiche.

Ciò che appare incomprensibile, infatti, è la previsione in base alla quale se la copia informatica del documento di cui si attesta la conformità è destinata al deposito telematico (secondo il DL n. 193/2009), alla notifica (ai sensi dell’art. 3-bis della Legge n. 53/1994[3]) o alla trasmissione tramite PEC, allora “l’attestazione è inserita in un documento informatico in formato PDF e contiene una sintetica descrizione del documento di cui si sta attestando la conformità nonché il relativo nome del file”. Tale modalità risulta senza dubbio non idonea a identificare univocamente il file di cui si attesta la conformità, in quanto risulta inutile a tale scopo sia la sintetica descrizione del documento, sia l’indicazione del nome del file: infatti, ai fini di garantire un’esatta associazione tra l’originale informatico e la sua copia, sarebbe necessario e sufficiente indicare l’impronta[4] del documento informatico di cui si dichiara la conformità all’originale nel documento informatico separato che contiene tale attestazione[5]. Questa è una regola indispensabile e ovvia dal punto di vista giuridico-informatico dalla quale non è possibile prescindere.

Inoltre, nel nuovo decreto, si specifica che “l’impronta del documento può essere omessa in tutte le ipotesi in cui il documento informatico contenente l’attestazione di conformità è inserito, unitamente alla copia informatica del documento, in una struttura informatica idonea a garantire l’immodificabilità del suo contenuto”.

Ma cosa vuol dire in concreto questa previsione?

Cosa intende il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati con questa dicitura?

Ci si riferisce a un sistema di conservazione a norma degli artt. 44 e ss. del Codice dell’Amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005) e delle regole tecniche di cui al DPCM 3 dicembre 2013?

In questa prospettiva, la previsione della sottoscrizione con firma digitale dell’avvocato sul documento separato che contiene l’attestazione non serve a non qualificare come derogatoria questa disciplina rispetto alla normativa del CAD e delle Regole tecniche sulla formazione del documento informatico, di cui al DPCM 13 novembre 2014[6], che al comma 3 dell’art. 4 prevede espressamente: “l’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di uno o più documenti analogici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia per immagine. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

In effetti, come già sottolineato, ciò che risulta del tutto incomprensibile è l’omissione dell’indicazione dell’impronta del documento informatico di cui si attesta la conformità all’originale in atto separato, nelle ipotesi in cui la copia sia destinata al deposito telematico, alla notificazione o alla trasmissione via PEC, quindi proprio nei casi in cui l’attestazione di conformità – di cui l’avvocato, in qualità di pubblico ufficiale, si assume la responsabilità con l’apposizione della propria firma digitale – assume rilievo nell’ambito del procedimento giudiziale.

Le disposizioni appena introdotte, dunque, finiscono per privare di certezza giuridica le attestazioni di conformità e dunque anche gli atti processuali del processo telematico[7], rendendoli facilmente disconoscibili e contestabili in giudizio.

[1] Le perplessità erano relative innanzitutto alle motivazioni per le quali non si sia scelto di richiamare semplicemente le specifiche modalità già chiaramente stabilite nel CAD e nelle Regole tecniche sulla formazione del documento informatico – di cui al DPCM 13 novembre 2014 – che contemplano disposizioni dedicate proprio alla corretta attestazione di conformità delle copie informatiche di documento informatico o analogico e delle copie analogiche di documento informatico.

[2] Dall’ufficiale giudiziario o dallo stesso avvocato a norma della legge 21 gennaio 1994, n. 53.

[3] Recante “Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali”.

[4] Generata tramite l’applicazione di una funzione di hash, il cui procedimento può essere effettuato in maniera automatica.

[5] Come peraltro si prevede, insieme all’apposizione di un riferimento temporale, in tutte le ipotesi diverse da quelle in cui il documento sia destinato al deposito telematico, alla notifica o alla trasmissione via PEC.

[6] Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005.

[7] Processo telematico peraltro non estraneo a forti criticità: si pensi, ad esempio alla mancanza di disposizioni circa la necessaria conservazione – a norma degli art. 44 e ss. del CAD e delle Regole tecniche di cui al DPCM 3 dicembre 2013 – sia degli atti e dei fascicoli processuali, sia degli atti e dei fascicoli di parte (anche il Consiglio Superiore della Magistratura, con la Delibera di Plenum del 13 maggio 2015, ha sottolineato l’assenza di previsioni circa la corretta conservazione a norma degli atti processuali e i rischi relativi alla mancata tutela del valore probatorio di atti, documenti e fascicoli facenti parte di questi archivi pubblici, confermando autorevolmente quanto più volte rilevato in materia dall’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti – www.anorc.it); oppure alla scelta complessiva di impostare il funzionamento di tale sistema sulla PEC, che costituisce uno strumento rigido e poco usabile, piuttosto che su accessi controllati previa autenticazione del soggetto al sistema e sul semplice upload dei file da depositare, a cui seguirebbe il rilascio automatico di una ricevuta di deposito (anche su tale aspetto, con la Delibera citata, il CSM ha posto in rilievo la necessità di superare la PEC come modalità di deposito degli atti processuali, introducendo nuove funzionalità sui portali e il più moderno concetto di upload con responsabilizzazione degli operatori). Per un approfondimento, si vedano la Delibera del CSM del 13 maggio 2015, reperibile al link http://www.csm.it/documenti%20pdf/PCT.pdf, e il commento di ANORC su Agenda Digitale al link http://www.agendadigitale.eu/egov/il-csm-prioritaria-la-conservazione-di-atti-e-fascicoli-processuali_1519.htm.