L'indagine

PMI italiane bocciate in digitale. Investimenti ICT scarsi, solo una su quattro può competere

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Secondo un’indagine del Politecnico di Milano soltanto il 26% delle PMI è competitiva sul fronte digitale perché i nostri imprenditori non investono in l’innovazione.

Sempre più in difficoltà sul fronte del digitale le nostre PMI, che rappresentano il tessuto connettivo del nostro paese. E’ quanto emerge da un’indagine condotta su un campione di 1.500 PMI dall’Osservatorio Innovazione Digitale del Politecnico di Milano alla Fiera Internazionale A&T – Automation & Testing di Torino: nel 2019 l’88% degli imprenditori considera le innovazioni digitali come necessarie per lo sviluppo del proprio business, ma solo il 26% dimostra di avere una maturità digitale adeguata a competere sui mercati globali. Troppo timidi gli investimenti in digitale da parte delle nostre aziende, su cui pesa ancora la tendenza ad una visione di breve periodo che penalizza la spesa Ict.

In altre parole, le nostre aziende non sono competitive perché non hanno ancora abbracciato a sufficienza il digitale.

Scarsi investimenti e digital skill

Nel 2020, secondo l’indagine, le previsioni di investimento in digitale sono prevalentemente invariate o ridotte per la maggior parte delle PMI rispetto all’anno 2019, confermando una visione strategica digitale ancora troppo timida. La reticenza nell’allocare investimenti in digitalizzazione da una parte è spiegata da una visione imprenditoriale che guarda più al breve che al medio lungo termine, dall’altra da alcuni fattori di freno: costi di acquisto delle tecnologie digitali percepiti come troppo elevati (27%); mancanza di competenze e di cultura digitale nell’organizzazione (24%); scarso supporto da parte delle istituzioni (11%).

Scarsa conoscenza degli incentivi governativi

Su quest’ultimo punto si riscontra una scarsa conoscenza da parte delle imprese degli incentivi governativi in vigore, in particolare nel Centro e Sud Italia: si è rilevato che ad esempio il 68% degli imprenditori non è aggiornato sugli incentivi relativi ai voucher consulenza in innovazione promossi dal MISE.

Competitività internazionale minata

Partendo dall’assunto che le aziende con un numero di addetti tra i 10 e i 249 rappresentano numericamente solo il 5% del totale delle imprese italiane, ma da sole generano il 41% dell’intero fatturato del nostro Paese, appare evidente che una bassa propensione delle stesse al 4.0 impatti in modo significativo sull’economia locale e sulla competitività internazionale.

Risultati contraddittori

Dall’analisi emergono chiaramente dati preoccupanti: solo il 26% delle piccole e medie imprese italiane è pronta a sfidare i mercati mondiali potendo contare su tecnologie avanzate e processi produttivi digitalizzati. Questo nonostante 9 imprenditori su 10 considerino l’innovazione e la visione 4.0 necessari per lo sviluppo del business aziendale.

Cosa frena lo sviluppo tecnologico delle PMI italiane?

Le previsioni di investimento in processi digitali nel 2020 parlano di stagnazione e in alcuni casi anche di contrazione rispetto all’anno appena trascorso, confermando una visione di sviluppo in ottica 4.0 ancora troppo timida.

  • Per il 44% delle aziende medio piccole italiane il presidio delle aree ICT e Digital è del Responsabile IT il quale, nella maggioranza dei casi, è impiegato a gestire attività non innovative, ma di manutenzione ordinaria dei sistemi informatici.
  • Solo nel 20% dei casi è presente negli stabilimenti un Innovation Manager che porta avanti le attività legate a percorsi di innovazione, di prodotto e/o di interi processi aziendali.
  • Il 18% delle PMI ha invece una figura dedicata a uno specifico ambito del digitale o a un singolo processo, ad esempio un responsabile della sicurezza informatica, un eCommerce Manager oppure un Data Scientist, senza però avere un presidio generale che coordini le progettualità in maniera centralizzata.
  • Infine, il 18% non ha alcuna figura dedicata.

Esiste quindi un eccessivo frazionamento di competenze e di ruoli che operano all’interno dei processi tecnologici delle imprese e in molti casi servizi e opportunità digitali strategici in termini di competitività vengono esternalizzati, come ad esempio l’e-commerce, il CRM, le piattaforme web.

Outsourcing obbligato

La scelta dell’outsourcing deriva dalla difficoltà di acquisire competenze ad hoc in azienda, dalla ciclicità delle progettualità digitali (soprattutto in caso di sviluppo di una nuova piattaforma) e dai costi legati all’aggiornamento e alla formazione delle risorse dedicate. Coerentemente, sono ancora poche le realtà ove sono presenti delle iniziative di formazione strategica su tematiche digitali. La maggior parte opta per attività “informali”, ossia demanda all’iniziativa del singolo la scelta di formarsi sui temi in oggetto, o per semplici campagne di sensibilizzazione: ad esempio, nel 2019 il 41% ha investito sulla formazione di base relativa all’analisi dei dati e il 65% ha svolto attività di sensibilizzazione (dall’invio di newsletter informative alla fruizione di corsi verticali) su tematiche legate alla cybersecurity.

Il 28% delle piccole e medie imprese italiane svolge analisi di dati in maniera strutturata, ma meno del 10% svolge analisi avanzate sfruttando i big data, valore che mostra uno spiccato divario rispetto alle PMI europee.

Cloud computing e Storage non decollano nelle PMI

Per quanto riguarda l’utilizzo dei sistemi in Cloud Computing per lo storage delle informazioni aziendali, i numeri crescono se si parla di grandi imprese, non decollano invece nelle medie e piccole, tra le quali solo il 30% utilizza queste tecnologie. Il principale ostacolo è riferito, in quest’ambito, alle preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e delle applicazioni, una resistenza culturale difficile da superare.

Industrial IoT questo sconosciuto

Infine, un dato veramente preoccupante: il 61% dei piccoli imprenditori non ha mai sentito parlare di soluzioni di Internet of Things per l’Industria 4.0 e coloro che hanno provato a investire su questo asset centrale per efficientare i processi mantengono scetticismo per via di una difficoltà oggettiva nel misurare nel breve periodo gli investimenti compiuti.