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PIL, investimenti su beni “a elevato contenuto tecnologico e digitale” essenziali per smuovere l’Italia. Lo Studio

Questione di Pil, per tornare a crescere siamo obbligati a continuare a stimolare gli investimenti

L’Italia tornerà a crescere? Il nostro Pil resterà ‘anemico’ ancora a lungo? Tutto dipenderà dalla capacità di “continuare a stimolare gli investimenti”.

Lo scenario globale non è favorevole ad una ripresa dell’economia italiana e se il quadro generale non cambierà nei prossimi mesi, secondo il Centro Studi di Confindustria avremo un calo del Pil dallo 0,7% di crescita debole, registrata nel 2024, ad un debolissimo segno positivo per quest’anno, stimato attorno allo 0,5%, che poi è atteso tornare sui livelli precedenti nel 2026 (sempre +0,7%).

Siamo sempre sullo “zero virgola” però, un pelo sopra la stagnazione, condizione che difficilmente si può considerare favorevole per una vera crescita economica del nostro Paese e per esteso di tutta l’Area Euro, che per la fine del 2025 potrebbe raggiungere un Pil del +1,2%, atteso in calo al +1,1% nel 2026.

Stando al nuovo Rapporto di previsione – Autunno 2025 del Centro Studi Confindustria, dal titolo “Investimenti per muovere l’Italia”, presentato oggi a Roma, l’unica strada percorribile è sostenere sempre di più gli investimenti, che però vanno stimolati in qualche modo.

L’effetto Pnrr c’è stato, ma ora serve altro per favorire nuovi investimenti nei prossimi anni

Fino ad oggi, si legge nel documento, c’è stato il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr, ma gli effetti potrebbero svanire molto rapidamente con la sua conclusione attea per i primi mesi del 2026.

Gli investimenti sono necessari per rilanciare la crescita del Paese e gli incentivi possono funzionare efficacemente per stimolarli, anche nel Mezzogiorno, come si è visto negli ultimi anni”, è sottolineato dal Centro Studi.

Secondo una simulazione proposto dallo Studio, “l’effetto positivo del Pnrr sul PIL è stimato in un +0,8% nel 2025 e un +0,6% nel 2026, rispetto alla variazione nello scenario base (+1,4% cumulato nei due anni)”, questo significa che “la dinamica del PIL italiano in assenza di Pnrr sarebbe di -0,3% nel 2025 e di +0,1% nel 2026 (-0,2% nel biennio): non ci sarebbe crescita, ma una stagnazione”.

Investire in tecnologie e nel digitale rimane “essenziale”

A livello industriale, ma anche di piccole e medie imprese, l’analisi punta dritta in una direzione: “Investimenti in beni materiali e immateriali a elevato contenuto tecnologico e digitale sono essenziali, dato l’ampio gap che ancora il nostro Paese sconta nelle tecnologie avanzate”.

La propensione a investire in questi asset è cresciuta in Italia – è precisato dal Centro Studi – ma rimane inferiore rispetto a quella in altre economie avanzate. Gli incentivi fiscali agli investimenti 4.0 si concluderanno in larga parte alla fine del 2025: è necessario tornare a disegnare incentivi che siano potenzialmente in grado di far fare il salto necessario all’Italia”.

Prendendo in esame gli incentivi previsti dal Piano Transizione 4.0 erogati tra il 2020 e il 2022, il documento stima che abbiano innalzato considerevolmente il tasso di investimento: “più che raddoppiato per le micro-imprese, quasi raddoppiato per le piccole, cresciuto di circa il 35-45% per le medie, del 20-25% per le grandi”.

Fino a ora per il piano Transizione 5.0, si legge su un’agenzia Il Sole 24Ore Radiocor, “sono stati prenotati 2,2 miliardi di euro e prevediamo di arrivare a 2,5 miliardi per la fine dell’anno. Più di quanto stanziato da Industria 4.0“, ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, intervenendo alla presentazione del rapporto di previsione del Centro studi di Confindustria.

Italia nella morsa di dazi, debolezza Ue e costi elevati dell’energia

Le prospettive per l’Italia al momento non sono rosee, anche perché legate a doppio filo alla Germania, che deve dimostrare di poter tornare a fare la parte della locomotiva europea, e all’Area Euro, che non riesce a superare la crisi energetica e quella dei dazi.

Le politiche tariffarie volute dall’amministrazione Trump sono da una parte tese a indebolire le esportazioni europee, dall’altro a rafforzare la produzione interna, anche portando via le migliori imprese europee, tentate dalle offerte di incentivi ed esenzioni della Casa Bianca in caso di “trasloco” dal vecchio al nuovo continente.

Come sottolineato da Confindustria: “Nel lungo periodo, è forte l’incentivo a rilocalizzare alcune produzioni nel mercato USA: il rischio per l’industria europea è quello di perdere parti vitali del tessuto produttivo”.

L’Europa, infine, sconta pesantemente il costo dell’energia, l’Italia più di tutti gli altri Stati dell’Unione. Le quotazioni del gas europeo restano molto alte rispetto ai livelli pre-pandemia (32 euro megawatt ora ad agosto 2025, contro i 14 euro nel 2019), a causa della transizione attuata in Europa dal 2022 e ormai completata verso il gas naturale liquefatto (GNL), più costoso e che ci obbliga a rivolgersi a Pesi fornitori terzi, come gli Stati Uniti, o altri politicamente instabili e quindi inaffidabili.

Il prezzo dell’energia in Europa resta, inoltre, molto più alto di quello negli Stati Uniti, circa tre volte in più, visto che la quotazione sul mercato americano è tenuta bassa dal boom dell’estrazione di shale gas, cosa che rende le imprese e industrie europee, a confronto di quelle americane, meno competitive su scala mondiale.

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