Dichiarazioni

Pichetto Fratin: “Più flessibilità per l’elettrificazione dell’auto”. Ma così perdiamo solo posti di lavoro e competitività

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Il Governo si gira dall’altra parte, ma il processo di elettrificazione dell’auto non avviene solo in Italia, ma in tutta Europa (e nel mondo), chi si ferma è perduto, ma il nostro ministro dell’Ambiente sembra non curarsene. Nuovo studio sulla transizione all’emobility, potrebbe far aumentare del 6% i posti di lavoro se ben governata.

Flessibilità o immobilismo? La posizione del Governo sull’auto elettrica

Quando si deve affrontare una grande sfida storica, come quella dell’elettrificazione dell’auto e dei trasporti, o si è in grado di gestire il cambiamento, o ci si arrende all’inevitabile, cioè al lento ma inesorabile declino economico, sia a livello nazionale, sia internazionale.

Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervistato da Radio Rai Uno, ha dichiarato sull’argomento: “Serve più flessibilità nel processo di elettrificazione del settore auto, che va accompagnato nella sua trasformazione”.

In relazione al phase out del 2035, quando saranno messe al bando le auto a benzina e diesel, Pichetto Fratin ha precisato che “certamente ci sarà”, ma che “nel breve termine è anche necessaria una certa flessibilità, sia normativa, sia produttiva”.

Flessibilità che potrebbe essere favorita dai carburanti alternativi a basso impatto ambientale, che il nostro Paese è in grado di fornire all’industria, ha proseguito il ministro: “Il settore automotive in Italia da lavoro a 1 milione di persone in tutto l’indotto, per questo è necessario accompagnare il cambiamento”.

Fermo restando che gli obiettivi di abbattere le emissioni inquinanti e di raggiungere la neutralità climatica per la metà del secolo rimangono”, ha aggiunto Pichetto Fratin.

I problemi del settore auto in Italia

Oltre alle risorse finanziarie messe sul tavolo dagli ultimi Governi e considerate insufficienti e la mancanza di una rete di ricarica adeguata alla sfida, emergono due altri problemi dalle dichiarazioni del ministro: serve più tempo e bisogna garantire i posti di lavoro a tutti.

Sul primo punto, è la politica ad aver perso tempo. I Governi si sono succeduti e pur sapendo che la transizione era inevitabile non hanno fatto altro che cercare di rimandarla, se non evitarla deliberatamente. Abbiamo di fronte a noi più di 12 anni, di quanta e quale flessibilità parla il ministro? Non sono pochi 12 anni, a mancare semmai è la volontà politica e forse la capacità di governare il cambiamento.

Riguardo ai posti di lavoro, invece, è proprio la mancanza di governance della transizione a mettere in pericolo le professionalità del settore.

Due i punti di riflessioni che si possono offrire su questo aspetto così delicato dell’industria automobilistica. Il primo, cercare di capire concretamente quanti siano gli occupati nel settore. Sembrerebbe intorno alle 200 mila unità, forse un milione compreso tutto l’indotto.

L’indebolimento dell’industria automobilistica italiana ha radici nel passato

Il secondo è chiedersi, perché sono a rischio? Tutti guardano il dito, ma non la luna, come si suole dire. La perdita di posti di lavoro è iniziata con le delocalizzazioni, le fusioni e le acquisizioni, frutto di quella che in gergo si definisce “concentrazione del capitale”.

Parliamo anche del fenomeno del social dumping, cioè la delocalizzazione della produzione da un Paese ad un altro dove i costi sono inferiori (o con lo spacchettamento degli asset societari sul mercato). Nel 2021 il ministero dello Sviluppo economico ha aperto ben 69 tavoli di crisi.

Agli inizi degli anni 2000 in Italia i lavoratori dell’indotto erano 1,5 milioni circa in Italia e solo la Fiat ne occupava quasi 120 mila (il Gruppo comprendeva Lancia e Alfa Romeo e il controllo di Ferrari e Maserati). Nel 2018 Fca (Fiat Chrysler Automobiles dal 2014) non arrivava a 80 mila. Ecco come si perdono posti di lavoro.

E il dato potrebbe tranquillamente peggiorare, se non fosse che proprio grazie all’elettrificazione dell’auto non solo si possono mantenere quelli attuali, ma in futuro se ne creeranno di nuovi. Sempre parlando di Fca, a questo servirà la linea di credito di 6,3 miliardi di euro sottoscritta nel 2020 per l’avvio del piano che è alla base della trasformazione del settore automotive italiano verso un futuro a basse emissioni, alimentato da veicoli ibridi ed elettrici e sempre più connessi.

L’elettrificazione è di fatto l’unica possibilità per l’industria automobilistica italiana di mantenere il più possibile occupazione e di rimanere competitiva con il resto dell’Europa e del mondo.

Il cambiamento, se governato e sostenuto, porta nuovi posti di lavoro

Secondo uno nuovo studio condotto da Motus-E e CAMI (il Center for Automotive and Mobility Innovation del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia) su 2.400 aziende italiane fornitrici di componenti a livello nazionale e internazionale, con oltre 280.000 addetti, considerando le nuove sotto filiere della mobilità elettrica, i posti di lavoro del settore auto possono aumentare del 6% entro il 2030 (parliamo di circa 18 mila nuovi posti di lavoro).

Le evidenze sono frutto di un’analisi basata su una metodologia in grado di catalogare anche tutte le attività connesse alla produzione di veicoli elettrici che vanno a comporre la filiera dell’elettrificazione.

Un incremento, però, badate bene, “subordinato alla lungimiranza della politica industriale dell’immediato futuro”, a cui sommare altri 7.000 nuovi occupati solo nel segmento infrastrutture ed energia al servizio della eMobility.

Lo studio mette in luce l’urgenza di politiche attive per la formazione e la riconversione del comparto, in assenza delle quali, alla luce dei megatrend globali, la filiera italiana finirebbe inevitabilmente per continuare a comprimersi.

Non si può rimanere indifferenti davanti a questi numeri, è evidente che per rilanciare l’industria italiana dell’auto occorra puntare subito sulle tecnologie in espansione, perdere tempo vorrebbe dire indebolire ulteriormente il settore e cedere ad altri Paesi la nostra leadership nella componentistica”, ha dichiarato in una nota Massimo Nordio, Presidente di Motus-E, “questa filiera è strategica e fondamentale per l’Italia, non possiamo più permetterci di trascurarla mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro, dopo quelli che abbiamo già perso tra il 1998 e il 2018”.

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