L'analisi

Piano Ultrabroadband: manca la definizione delle aree da mettere a gara

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Nelle linee guida della Strategia italiana per la banda ultralarga appena licenziata dal Governo manca la definizione precisa delle 94.000 aree elementari in cui è suddiviso il territorio e di come verranno accorpate in previsione delle gare.

Solleva qualche dubbio la suddivisione in cluster del territorio italiano, contenuta nella Strategia italiana per la Banda Ultralarga, appena licenziata dal Governo. Il documento definisce gli obiettivi di copertura per rispettare i paletti fissati dall’Agenda Digitale europea, che impone i 30 Mbps per il 100% della popolazione e i 100 Mbps per il 50%.

A prima vista, la classificazione per comuni delle diverse aree, che parte da quelle redditizie (Cluster A, vale a dire 502 comuni definiti come “aree redditizie”) e finisce con quelle a fallimento di mercato (Cluster C, aree bianche, vale a dire zone rurali o interne, pari a 4.300 comuni circa, soprattutto al Sud), non sembra adeguata a fotografare con esattezza la situazione del paese.

Manca infatti una mappatura precisa del modo in cui le 94.000 sotto-aree in cui è suddiviso il territorio nazionale verranno classificate e accorpate. Questa classificazione è infatti indispensabile non solo per fotografare le zone in digital divide ma anche – e soprattutto – per conoscere con certezza quali sono le zone dove la copertura a 30 Mbps è già garantita con l’FttCab (fibra fino all’armadio) potenziato da vectoring e Gfast. In queste aree – non sono poche – non sarà necessario prevedere alcuna gara, perché già in linea con gli obiettivi dell’Agenda Digitale.

 

Digital divide urbano, l’esempio di Roma

 

Le aree nere sono raggruppate nel Cluster A e contano 502 comuni, che il documento definisce come “aree redditizie” dove l’obiettivo di copertura fissato dal piano di governo, in linea con l’Agenda Digitale europea, è portare “la velocità di collegamento da 30 a 100 Mbps entro il 2020”. Tra l’altro, “Non è esclusa, in questo cluster (Cluster A), la realizzazione diretta di infrastrutture pubbliche in aree circoscritte, nei casi in cui si verificassero situazioni di digital divide urbano. fino al Cluster C (aree bianche, vale a dire zone rurali o interne, pari a 4.300 comuni circa, soprattutto al Sud)”.

C’è da dire però che interi quartieri in digital divide (Cluster C) si possono trovare in grandi città come Roma, che il piano classifica come aree redditizie (Cluster A). Che ne sarà di queste aree in digital divide urbano che fanno parte del Cluster C ma che si trovano nel Cluster A?

In altre parole, all’interno dello stesso comune (ad esempio Roma) esistono delle aree che sono già coperte a 30 Mbps con tecnologia Fttc e che, grazie al vectoring e al Gfast, potrebbero incrementare la loro performance. Altre aree nello stesso comune (ad esempio Tor Sapienza, zona ad alta densità di immigrati e di case occupate dove gli operatori potrebbero non avere alcun interesse ad intervenire per portare la fibra fino all’armadio) si trovano invece in condizioni di digital divide urbano e fanno parte del Cluster C. Per queste aree sarà necessario prevedere una gara per realizzare le reti. Ma, visto che si trovano in aree metropolitane, quale performance dovranno raggiungere? Quelli previsti per il Cluster A (aree redditizie) o quelli previsti per il Cluster C (aree a fallimento di mercato)? La questione non è secondaria, perché nel primo caso la copertura richiesta è a 100 Mbps (Ftth o Fttb) nel secondo caso a 30 Mbps (Fttc).

Manca la mappatura delle 94.000 sotto-aree

Il tema più delicato del documento riguarda la definizione esatta delle 94.000 sotto aree omogenee (accorpamenti delle più di 400.000 aree censuarie Istat) di cui si parla nel documento, ma delle quali manca una definizione precisa. Si tratta delle sezioni censuarie abitate? Ma anche le zone industriali senza popolazione residente sono molto rilevanti per la diffusione della banda larga. La definizione delle 94.000 aree elementari è indispensabile per capire dove e con quali tecnologie (Ftth, Fttb, FttCab) si dovrà intervenire con o senza l’intervento diretto della mano pubblica, prevista in misura maggioritaria nelle aree bianche a fallimento di mercato, dove gli operatori, chiamati ad uno sforzo quantificato in 6 miliardi di euro, non avranno interesse ad investire.

La definizione delle aree potrebbe arrivare in seguito con il piano, quando partirà il lavoro vero e proprio. Ma già ora sarebbe utile avere una descrizione almeno approssimativa del modo in cui si intende procedere.