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Perché la trasformazione digitale è una questione di competenze

Il tema della trasformazione digitale può essere esaminato dal punto di vista delle competenze di chi la deve attuare mettendo in evidenza come spesso non sia approcciato in modo corretto, differentemente da quanto avviene in modo naturale in altri settori. Ad esempio, per farsi curare una malattia, si va dal medico; per farsi aggiustare il rubinetto si chiama l’idraulico, e anche se il rubinetto è dell’ultimo modello non si cerca l’idraulico 2.0; per l’arredamento si va dal mobiliere o dall’architetto, e così via. Per il digitale, invece, questa naturalezza non c’è: sembra che ogni novità tecnologica porti con sé l’esigenza di “nuove professionalità” che non esistevano prima, con il risultato che gli esperti non esistono, il settore sembra perennemente immaturo ed il navigare a vista sia la regola.

Il risultato è che la trasformazione digitale all’ordine del giorno da anni con nomi diversi (informatizzazione, e-Government, web 2.0, ecc.) vede molti progetti che non raggiungono i risultati sperati. Questo avviene per molti fattori: tecnici, organizzativi, di contesto. In questa molteplicità, un aspetto importante su cui vale la pena soffermarsi è il processo che deve essere attivato per mettere in pratica la trasformazione digitale, con le annesse competenze.

Spesso si confonde il fine con il mezzo: per realizzare uno strumento “smart”, facile da utilizzare e rispettoso delle esigenze dell’utilizzatore finale non necessariamente occorre un approccio “smart”, anzi tipicamente è il contrario: per arrivare ad un prodotto semplice occorre un lavoro complesso, con un approccio metodico basato sull’esperienza utile per valutare con attenzione tutti gli aspetti e tutte le implicazioni.

Tale processo deve essere governato da professionalità che hanno una solida base di competenze opportune ed adeguate, che possono essere via via specializzate o estese per approcciare le novità in maniera solida, senza improvvisazione e non necessariamente con la ricerca di “nuove professioni” non meglio definite. Questo processo nel mondo del digitale è ben identificato e consolidato, anche con accezioni differenti che vanno da approcci agili ad approcci più rigidi. Inoltre, grazie ad un importante lavoro di sintesi che dura da anni, il processo con le relative competenze e professionalità necessarie è codificato e descritto in uno standard su cui è anche possibile certificarsi, misurando in modo uniforme e condiviso la professionalità delle persone che operano nel settore.

Il processo di trasformazione digitale

Un generico processo di trasformazione digitale parte da un’esigenza specifica di un contesto, con tutte le sue implicazioni tecniche, normative, sociali, economiche, ecc. Praticamente, il digitale è pervasivo in ogni settore. Compresa e messa a fuoco l’esigenza, occorre definire l’architettura Informatica da adottare (web o non web, app o non app, ecc.), occorre stimare la capacità del sistema di durare e crescere nel tempo (scalabilità), occorre definirne le prestazioni attese, le esigenze di monitoraggio, le esigenze di scurezza, le esigenze di protezione dei dati (implicazioni GDPR per i dati personali, conformità normativa per altri dati critici).

Il passo successivo consiste nell’adottare un metodo di lavoro: come conduco l’analisi, come approccio lo sviluppo del software, quali tecnologie utilizzo, ecc. Occorre quindi capire come gestire il cambiamento nella realtà di partenza, tenendo in considerazione il ciclo di vita del software e la gestione della sua configurazione: un software potrà avere continui aggiornamenti nel tempo, per adattarsi alla situazione ed ai continui cambiamenti di contesto, nonché per migliorarne le prestazioni e la qualità.

Messa a fuoco l’esigenza di trasformazione digitale, percorso che passa necessariamente dall’interazione con un esperto di uno specifico contesto, un primo errore che spesso si compie consiste nel pensare che per la realizzazione basti trovare il bravo informatico o il programma giusto!

Se questo può essere vero in certe situazioni semplici e circoscritte, nei contesti di cambiamento forte lo sviluppo software e l’installazione di un prodotto sono solo due delle competenze necessarie. Il mestiere dell’informatico si declina infatti in molte professionalità che sono già codificate dagli enti di normazioni europei ed italiani. In particolare, un punto di riferimento per i profili professionali del digitale è il CWA 16458, recepito in Italia dalla norma UNI 11621-2. Questi documenti definiscono un insieme di 30 profili professionali basati sulla combinazione di 41 competenze racchiuse nella norma UNI EN 16234, già nota come e-Competences Framework (e-CF), consolidamento di una serie di attività di razionalizzazione a livello europeo iniziata nel 2008.

L’approccio alla trasformazione digitale: porsi le corrette domande

Per approcciare un progetto di trasformazione digitale, piuttosto che chiedersi se abbiamo il “bravo informatico” o il “nuovo professionista” è bene partire ponendosi più domande per capire se si è in grado di rispondere a tutte, ovvero se si stanno valutando tutte le professionalità di cui si ha bisogno:

La lista potrebbe essere estesa o dettagliata ulteriormente. Questo è solo un primo livello. Ciascuno di questi aspetti può rappresentare un costo che prima o poi si paga nel tempo. Sia perché non si sono fatte le valutazioni iniziali, sia perché un sistema digitale va mantenuto e deve evolvere nel tempo (cosa peraltro non diversa da altri sistemi complessi come un palazzo, un’automobile, la nostra salute …).

Una sequenza di cambiamenti

Solo nei casi semplici per un progetto di trasformazione digitale è “buona la prima”. Questo aspetto, spesso sottovalutato, è forse la prima regola che dovrebbe essere presa in considerazione: quando si affronta un processo di trasformazione digitale occorre mettere in conto che ci sarà qualcosa da migliorare dopo la prima versione. Bene quindi già all’inizio riservarsi del budget per poter supportare quanto meno un primo cambiamento o un primo adeguamento.

Questo approccio è sicuramente complicato anche perché, per la medesima esigenza, dialogando con interlocutori differenti possono giungere valorizzazioni economiche e di impegno anche molto diverse. Addirittura ci sono situazioni in cui il medesimo soggetto può presentare nel tempo proposte che si differenziano in modo notevole. Questo può derivare da errori di comprensione delle esigenze, da scelte tecnologiche differenti, da diversi approcci al rischio, da una non completa e corretta copertura di tutte le fasi del processo. Anche in questa situazione, solo un occhio competente ed esperto può aiutare a valutare.

Concludendo, quindi, sia per le fasi di impostazione che per le fasi di attuazione e soprattutto di mantenimento nel tempo, il successo di un progetto di trasformazione digitale passa dal porsi e dal porre le corrette domande, valutare le risposte ottenute e agire di conseguenza.

Se non si hanno le risposte, così come se non si è in grado di valutarle o non si riesce a porle nel modo corretto, allora c’è un gap di competenze che va colmato.

La buona notizia è che gli strumenti per misurare chi ha le corrette competenze per la trasformazione digitale ci sono (le norme tecniche citate in precedenza), così come ci sono i contesti che possono essere di aiuto: tutti i soggetti in Italia che a vario titolo hanno contribuito alla stesura delle norme ed alla loro promozione a livello europeo, ovvero le Associazioni Professionali di categoria, regolamentate e non.

Articolo di Stefano Tazzi, Presidente Pro4ICT, Delegato Consiglio Nazionale Ingegneri presso UNINFO per la stesura delle norme tecniche relative alle Attività Professionali Non Regolamentate per il settore ICT, Partecipante al D&Lnet

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