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Perché i Gafa si sottraggono alle norme della Cnil sui cookie?

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La nuova normativa sui cookie entrata in vigore in Francia dal primo di aprile non sempre è rispettata dai giganti del web. Proteste degli editori.

La nuova normativa sui cookie entrata in vigore in Francia dal primo di aprile non sempre è rispettata dai giganti del web. La preoccupazione monta, soprattutto da parte dei media tradizionali, che denunciano ad ogni piè sospinto la disparità di trattamento e di applicazione delle regole rispetto alle piattaforme americane.

Lo scrive oggi Le Figaro, evidenziando che le nuove norme del Cnil, il Garante Privacy francese, sul consenso ai cookie hanno provocato un grosso capovolgimento nel mercato della pubblicità digitale.

Nuove regole sui cookie in vigore in Francia

Gli editori online di siti e di applicazioni mobili hanno dovuto rivedere entro il 31 marzo le loro policy in materia di cookie pubblicitari.

Affinché il consenso sia davvero esplicito da parte dei visitatori di un sito, il garante francese dei dati ha voluto che l’opzione “rifiutare tutto” avesse la stessa veste e visibilità grafica del bottone “accettare tutto”.

Ora, dopo un mese dall’entrata in vigore delle nuove regole, mentre gli editori di siti nazionali si sono messi in regola, nessuno dei Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) ha integrato il bottone “rifiutare i cookie pubblicitari” sulla loro interfaccia di raccolta dei consensi.

Su Google, ad esempio, l’internauta deve ancora passare attraverso il tasto “personalizzare” per poter disattivare le opzioni una ad una.

Gafa, sede legale in Irlanda

Per sfuggire alla regolamentazione francese, i Gafa si appoggiano al meccanismo dello “sportello unico”, previsto dal GDPR, secondo cui una multinazionale con diverse sedi nella Ue si può appoggiare al Garante del paese dove si trova la sede principale. E questa, per molte società digitali americani, è Dublino in Irlanda.

Ma sulla questione dei cookie in Francia il Cnil sostiene di essere competente sui Gafa. Anche perché nel 2020 Facebook, Google e Amazon si sono divisi l’80% dei ricavi pubblicitari nel digitale, che ormai rappresenta più della metà degli investimenti e che gli editori nazionali si sono adeguati alla normativa in vigore nel paese.