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Pay Tv, on demand e audiovisivo. Agcom: servono nuove regole con Netflix & Co

La crescente diffusione dei servizi on demand e il ruolo sempre più importante dei GAFA (Google, Amazon, Facebook e Apple) e di Netflix stanno trasformando il vecchio modo di concepire la Tv. Una trasformazione molto rapida, che tocca in maniera sostanziale i confini del settore audiovisivo, con un quadro regolatorio che non sembra al passo con l’evoluzione tecnologica che vede gli OTT guadagnare sempre più terreno nel mercato pubblicitario dei servizi free on demand.

Questo in sintesi il tema del workshop Pay tv, servizi on-demand ed evoluzione del sistema audiovisivo‘ organizzato dall’Agcom ieri a Roma dai commissari Antonio Martusciello e Antonio Nicita, al quale hanno partecipato Francesco Siliato, Partner Studio Fasi; Emilio Pucci, Direttore e-Media Institute; Marco Chimenz, Presidente European Producers Club e Partner Cattleya; ; Davide Tesoro Tess, Executive Vice President Strategy & Business Development Sky Italia; Federico Di Chio, Senior Vice President Corporate Strategy and Marketing Mediaset; Antonio Perrucci, Vice Segretario Generale Agcom.

 

Video on line: il 50% della pubblicità in mano a Google e Facebook

 

Il quadro d’insieme nell’intervento introduttivo del commissario Agcom Antonio Martusciello (qui l’intervento integrale) che sottolinea la necessità di muoversi in Europa verso un’uniformità normativa che oggi non c’è: “Secondo un recente studio, dell’Osservatorio europeo sull’audiovisivo, nel 2018 Facebook Google raggiungeranno una quota del 50% del mercato della pubblicità riferita ai video on-line.  Nel nuovo scenario tecnologico soggetti come Facebook e Google aggregano informazioni di vario tipo: condivisione di dati personali, scambio di messaggi, pubblicazione di news o video – dice Martusciello –Sempre secondo l’osservatorio europeo, l’ingresso di Netflix in Europa ha dato una sferzata al mercato dei servizi VOD che è passato dal valore di 40 milioni di euro nel 2010 ad un valore di 830 milioni di euro nel 2014 con una crescita pari quasi al 2.000%.  Questo incremento è ovviamente dovuto non solo ai ricavi di Netflix ma soprattutto alla reazione competitiva dei broadcaster europei che hanno lanciato sul mercato nuovi prodotti VOD; limitandosi all’Italia possiamo ricordare i prodotti: Sky Go, Sky On Demand ed Infinity”.

Broadcaster relegati nella pay?

 

L’offerta pay di contenuti premium è dunque l’unica nicchia di mercato a cui i broadcaster si possono rivolgere?  “Senza interventi adeguati si rischia di incorrere in uno scenario in cui le offerte free saranno sostenibili solo per i servizi pubblici finanziati dal canone, mentre i broadcaster privati sarebbero costretti a virare verso offerte esclusivamente pay – chiude Martusciello –  Ciò renderebbe più arido il panorama dei media europei, con grave nocumento del pluralismo informativo”.

In questo contesto, che fine faranno i broadcaster europei tradizionali? Saranno sopraffatti dal nuovo mondo del web e costretti a rifugiarsi sul terreno dei servizi pay fatti di calcio e offerte integrate con il cinema? O riusciranno a cambiare pelle, abbracciando le potenzialità della rete? E ancora, come rivedere la definizione di “responsabilità editoriale” dei content provider, alla luce del ruolo centrale assunto dai gatekeeper, i gestori di piattaforme, capaci di veicolare i gusti degli utenti con veri e propri palinsesti personalizzati, in base a profilazioni sempre più sofisticate?

Mercati rilevanti: ancora per tre anni la distinzione fra ‘pay’ e ‘free’

“Noi come Autorità stiamo per completare a brevissimo la nostra istruttoria sull’analisi dei mercati rilevanti, e ovviamente questa nostra analisi segnerà un momento di transizione – dice il commissario Agcom Antonio Nicita –  Il cambiamento è molto complesso, in particolare pensando alla ubiquità e alla continuità temporale della connessione, e quindi all’assenza di picchi di audience online. Per un periodo molto breve che riguarda il 2016, 2017 e 2018 che accompagnerà nel 2019 momento di chiusura della consiliatura, l’Autorità farà una fotografia molto più vicina alla rilevanza della fruizione televisiva generalista; alla distinzione che ancora permane fra ‘free’ e ‘pay’ evidenziando però che questa sarà l’ultima analisi di mercato nella quale sarà mantenuta questa distinzione di mercati rilevanti tra”premium’ e ‘free’”.

L’obiettivo principale dell’Autorità è individuare gli aspetti che hanno bisogno di nuovi regolamentati, come ad esempio il concetto di “responsabilità editoriale”, e quali aspetti invece abbiano bisogno di una deregulation. Superare meccanismi di lock in del cliente. Definire il concetto di editore online, per ricomprendere nel computo del mercato pubblicitario del SIC (Sistema integrato di comunicazione) anche soggetti come Google. Capire come regolare le offerte a pacchetto delle telco. Raggiungere un metrica univoca della audience (Auditel, Audiweb ecc). Restituire al consumatore un potere contrattuale sui suoi dati.

 

La Tv generalista resta forte

 

“Proprio perché la velocità con cui vi è una concorrenza rispetto ai contesti tradizionali è talmente forte che in tre anni cambia veramente il mondo, in particolare rispetto all’inerzia non solo della regolazione, ma anche del pubblico generalista, che ha una sua stratificazione per età – continua Nicita – E questo lo vediamo nel tipo di programmazione che si fa, nel tipo di amarcord che si fanno soprattutto nella televisione pubblica, ma non solo. Alcuni canali dialogano soprattutto con una certa generazione. Il che non è sbagliato però spiega anche tanta parte della forza relativa della tv generalista”.       

Tutt’altro discorso vale per le nuove generazioni, per le quali il modello da seguire da parte dei broadcaster tradizionali è quello già sviluppato nel settore del gaming, vero antesignano dei nuovi criteri di interazione dei nativi digitali con piattaforme come Steam che nel gaming sta facendo quello che Netflix vorrebbe fare nell’audiovisivo; Twitch, che offre interazioni social di ogni genere mentre si gioca online; o Quantum Break, che sposa il gioco con l’offerta di serial Tv in otto puntate da 25 minuti incorporate nel gioco,  che si comprendono soltanto superando i livelli del gioco.

La Tv è ancora la più seguita e l’Auditel indirizza la pubblicità

 

L’evento più normale oggi “resta la televisione, che occupa ancora la maggior parte del tempo di visione – dice Francesco Siliato, Partner Studio Fasi – Tempo di visione che sta diminuendo però di un quarto d’ora al giorno, per una media di 148 minuti”. Detto questo, il 90% della popolazione vede almeno un minuto di tv al giorno e il tempo in meno di fronte al televisore, forse, si trascorre magari su Netflix, anche se il servizio non ha ancora raggiunto una massa significativa di milioni di spettatori. “L’Auditel resta ancora lo strumento di indirizzo degli investimenti pubblicitari – dice Siliato – la audience cresce soltanto in chiaro su Sky e Discovery (canali 8 e 9) mentre le serie Tv stanno sostituendo il cinema”. Gli editori inseguono la audience su smartphone e tablet, e così “Un posto al sole” non è più relegato soltanto sul televisore. “Le serie tv moltiplicano i pubblici”, aggiunge Siliato, secondo cui il rischio dell’algoritmo di Netflix è la perpetuazione dell’offerta sempre uguale a se stessa: se ti piacciono i western, il pericolo è che ti vengano offerti soltanto western, in base ai tuoi gusti personali, con la creazione di uno “status quo” permanente.

 

Fenomeno Netflix, perimetri saltati

 

Il fenomeno Netflix è soltanto all’inizio, ma il suo avvento sta cambiando alla radice i perimetri dei vecchi mercati dell’audiovisivo. Le regole non sono più omogenee “perché quando guardo la stessa smart tv le regole di chi fornisce il content non sono più le stesse – dice Emilio Pucci, Direttore e-Media Institute – la gran parte delle risorse pubblicitarie, poi non è più destinata agli editori storici”. Insomma, l’asimmetria di regole c’è, a vantaggio degli OTT come Google e Facebook, e il consumo di content è sempre più veicolato da soggetti come Whatsapp, in maniera integrata in ottica di “screen content”.

“I perimetri del lavoro editoriale sono saltati – aggiunge Pucci – basti pensare al prodotto editoriale, sempre più di tipo amatoriale sui social network, in particolare Twitter e Facebook. Ciò che è accaduto all’editoria scritta sta per investire la televisione”.

Sempre maggior peso assume il controllo del dato, l’indicizzazione degli utenti, che rendono un po’ arretrate la tradizionale definizione di Tv lineare e non lineare. Il palinsesto Tv deve fare i conti con i cataloghi on demand, dove l’evento editoriale si crea in primo luogo con le serie esclusive, la vera killer apllication di servizi come Netflix, che vivono di original cntent. “Cosa fanno i ragazzi per vedere un content inedito? Vanno su Twitter”, dice Pucci, secondo cui Netflix è il primo global player televisivo, in attesa di Apple, Youtube (che per ora si concentra sul content amatoriale, ma che potrebbe presto entrare nello sport) e Amazon, che già compete con Netflix grazie allo streaming content programme.

Serie Tv sempre più importanti

“Il tempo dedicato all’on demand non lineare per ora non ha eroso la fruizione della Tv lineare – dice Marco Chimenz, Presidente European Producers Club e Partner Cattleya – Netflix conta 81 milioni di abbonati, di cui 45 milioni in America e gli altri sparsi, 5 milioni in Uk e altrettanti in Scandinavia. Netflix per il momento preoccupa molto le Tv a pagamento, basti pensare a come è migliorato il servizio di set box di Sky, mentre non preoccupa la free. Ma questo è un gravissimo errore delle generaliste, anche se Netflix è molto più piccola in confronto a quello che potrà fare un domani Amazon. Quel che è certo è che Amazon e Netflix competono fra loro per il nostro tempo.

In questo contesto, le serie Tv originali sono sempre più importanti perché sono uno degli elementi che attraggono più pubblico. In questo senso, secondo Chimenz, è importante che la Ue eviti di danneggiare il settore televisivo, abolendo lo sfruttamento territoriale libero dei contenuti.

Piattaforma di fruizione irrilevante

“Già oggi il mondo del consumo televisivo è su smartphone, tablet e altri device – dice Davide Tesoro Tess, Executive Vice President Strategy & Business Development Sky Italia – La piattaforma di fruizione de contenuti (satellite, internet o digitale terrestre) è già oggi irrilevate e  Netflix non è il mostro cattivo, quindi Sky non ha reagito a Netflix con lo sviluppo dei nuovi box. Sky investe un po’ in tutti i pilastri del business, che sono i contenuti, il brand, le tecnologie e le piattaforme”.

Detto questo, è un dato di fatto che stia diminuendo il consumo di televisione e stia invece aumentando il consumo di contenuti video. Lo stesso evento viene quindi proposto in diverse modalità: i giurati di X Factor possono essere visti in diretta sul satellite, in differita il giorno dopo su Sky on demand oppure qualche giorno dopo in replica su Tv8 in chiaro sul digitale terrestre.

Regole d’ingaggio uguali per tutti

“Con regole di ingaggio uguali per tutti la Tv free non avrà problemi, ma servono regole uguali per tutti”, dice Federico Di Chio, Senior Vice President Corporate Strategy and Marketing Mediaset, secondo cui la free uò dire ancora la sua alla grande, anche se l’Auditel non registra tutto e servirebbe un’unica metrica che il mercato pubblicitario riconosca. “I broadcaster devono evolversi e interloquire in rete – aggiunge Di Chio – e sarà fondamentale trattare il tema ella privacy”. Di Chio porta poi come esempio quello dei subscriber di La7 su Youtube, che quindi li conosce mentre La7 non ne sa nulla.

Digital Single Market

Il Digital Single Market rischia di arrivare in ritardo sui tempi, il rimescolamento dei confini di mercato è ormai in atto, e riguarda broadcaster, telco e OTT. “Cosa sono i servizi di comunicazione elettronica? Cosa sono i servizi media? Come vanno definiti i mercati – domanda  Antonio Perrucci, Vice Segretario Generale Agcom – per ora osserviamo che le telco e i broadcaster soffrono la concorrenza dei GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) sia negli Usa sia in Europa dove il Digital Single Market dovrebbe essere sfrondato”.

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