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Agcom, A. Martusciello: ‘Confronto impari tra Broadcaster e OTT’

di Redazione |

Nel nuovo agone competitivo il confronto tra i diversi attori della filiera - broadcasters, OTT e piattaforme di aggregazione – non avviene ad ‘armi pari’.

Pubblichiamo di seguito l’intervento di Antonio Martusciello, Commissario Agcom, al convegno ‘Pay tv, servizi on-demand ed evoluzione del sistema audiovisivo‘ oggi a Roma.

Pochi giorni orsono, abbiamo festeggiato i 30 anni dall’introduzione di internet in Italia; Il 30 aprile 1986, vi è stata la prima connessione ad internet nel nostro Paese.  Sono passati anni e “la rete delle reti” ha definitivamente compiuto la transizione da sistema di comunicazione militare a grande rete civile di informazione e comunicazione a diffusione planetaria.

Inizialmente si è sviluppata la cosiddetta Internet 1.0 dominata dai portali, forme guidate di accesso a internet per un pubblico ancora inesperto, successivamente si è affermato il web 2.0, un formato più coinvolgente e partecipativo che consente al gestore di elevare la quotazione pubblicitaria di una pagina Internet, in base alla quantità delle contatti: è il caso dei motori di ricerca.

A questo punto la partecipazione degli utenti assume la forma protagonistica e audiovisiva dei social network. Una partecipazione che si concretizza sempre più nella produzione e diffusione di contenuti. Mass media e Internet, che erano apparsi schierati su opposti fronti, si trovano adesso coinvolti in processi circolari in cui i contenuti “viaggiano” dai media ai social e viceversa, incontrando a ogni passaggio variazioni di formato e di contenuto.

Quella attuale è considerata una fase intermedia dell’evoluzione di Internet, da un web 2.0 ad un web 3.0. Una fase che sancisce una nuova collaborazione competitiva tra i media di due secoli, che concentra servizi e applicazioni nel cloud (risorse di archiviazione e elaborazione centralizzate in rete), che punta sulla personalizzazione dei servizi e ad interfacce che offrono esperienze immersive e coinvolgenti.

La TV intelligente ed i servizi VOD

In generale, l’imporsi sistemico di processi di convergenza è destinato a produrre un impatto decisivo sulle strutture e sul funzionamento dell’ecosistema dei media e delle comunicazioni digitali. Un impatto che può essere sostanzialmente misurato nella crescita esponenziale del traffico dati e dal sostanziale cambiamento nella sua morfologia. A questo fa riscontro la moltiplicazione, anch’essa sia qualitativa che quantitativa, dei servizi di comunicazione digitale disponibili: la televisione connessa rappresenta l’anello di congiunzione fra l’evoluzione di Internet ed il vecchio mondo analogico della televisione in modalità broadcasting.

C’è però un problema, nel mondo VOD, un ruolo centrale viene svolto dei gestori delle piattaforme – i c.d. gatekeeper – i quali sono in grado di orientare le scelte dell’utente attraverso le interfacce di navigazione di tipo proprietario.  Ciò costituisce un problema per i broadcaster tradizionali che fondano il loro vantaggio competitivo sulla disponibilità di contenuti di qualità.  Tuttavia in questo scenario il valore dei contenuti deve essere ponderato con la facilità di acceso ai contenuti medesimi.

Il CEO di Netflix ha dichiarato nel settembre 2015 che “All TV will be Internet in 10-20 years”. La migrazione dei servizi televisivi verso internet è peraltro coerente con la policy della Commissione europea che da un lato attraverso agenda 2020 spinge verso la realizzazione di reti broadband e dall’atro persegue una politica di gestione del radiospettro orientata al trasferimenti di bande di frequenza dal settore del broadcasting alle settore delle TLC (c.d. refarming)

L’attuale scenario è caratterizzato da un mercato degli OTT in espansione e dalla difficoltà per gli operatori nazionali ed europei di confrontarsi con i competitor americani, avvantaggiati da un mercato linguistico uniforme e meno regolamentato, cui fa da contraltare la frammentazione del mercato europeo a causa della mancanza di servizi nativi di internet con dimensioni globali.

Secondo un recente studio, dell’Osservatorio europeo sull’audiovisivo, nel 2018 Facebook e Google raggiungeranno una quota del 50% del mercato della pubblicità riferita ai video on-line.  Nel nuovo scenario tecnologico soggetti come Facebook e Google aggregano informazioni di vario tipo: condivisione di dati personali, scambio di messaggi, pubblicazione di news o video.

Nell’ambito del consumo dei servizi VOD va comunque evidenziato che i servizi a pagamento crescono più rapidamente dei servizi free.  Sempre secondo l’osservatorio europeo, l’ingresso di Netflix in Europa ha dato una sferzata al mercato dei servizi VOD che è passato dal valore di 40 milioni di euro nel 2010 ad un valore di 830 milioni di euro nel 2014 con una crescita pari quasi al 2.000%.  Questo incremento è ovviamente dovuto solo ai ricavi di Netflix ma soprattutto alla reazione competitiva dei broadcaster europei che hanno lanciato sul mercato nuovi prodotti VOD; limitandosi all’Italia possiamo ricordare i prodotti: SKY GO, SKY On Demand ed Infinity.

Dunque, il processo di innovazione non solo sta mettendo in discussione le definizioni storiche dei mercati, ma, sta dando vita al modello di “screen content”, dove confluiscono le funzioni tipiche di quattro ambiti prima separati: le comunicazioni interpersonali, la comunicazioni di massa, la produzione amatoriale e il trattamento dei dati.  Il CEO di AppleTim Cook – ha dichiarato al Wall Street Journal nel settembre 2015 che il futuro della TV sono le app, avvero la TV si vedrà in modalità fissa o mobile attraverso le app dei diversi device.

Quindi, se da un certo punto di vista, possiamo affermare di trovarci ormai all’interno di un “mercato unico” dei servizi digitali, dall’altro siamo ancora lontani da un set di “regole comuni” e ciò comporta che nel nuovo agone competitivo il confronto tra i diversi attori della filiera – broadcasters, OTT e piattaforme di aggregazione – non avvenga “ad armi pari”.

L’approccio comunitario

La Commissione ritiene che “il criterio principale alla base della regolamentazione dei servizi di media audiovisivi a livello dell’UE è il mercato interno, in particolare incentrato sul principio del paese di origine come concetto fondamentale. Questo “mercato unico europeo della televisione” comporta una serie minima di norme comuni che disciplinano aspetti come la pubblicità, la protezione dei minori e la promozione di opere audiovisive europee.

La neutralità tecnologica promossa dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi significa che gli stessi servizi sono regolamentati nello stesso modo indipendentemente dal dispositivo che ne permette la fruizione. Tuttavia, tale direttiva distingue tra servizi lineari (trasmissioni televisive) e non lineari (a richiesta), perché nel caso dei servizi a richiesta il grado di controllo da parte del consumatore è molto più elevato, il che giustifica una regolamentazione meno stringente per certi aspetti.

Le disposizioni della direttiva sui servizi di media audiovisivi si applicano soltanto ai fornitori di servizi di media. La definizione di questo concetto si basa sulla nozione di responsabilità editoriale. Finché il fornitore è responsabile della scelta dei contenuti e ne determina le modalità di organizzazione, i suoi servizi sono soggetti alle disposizioni della direttiva anche se il contenuto è fornito attraverso Internet.

È però destinata ad aumentare sempre di più la concorrenza tra servizi lineari e non lineari, che offrono sullo stesso schermo, o talvolta addirittura attraverso due canali di trasmissione, lo stesso contenuto allo stesso pubblico. Dato che le nuove forme di contenuto a richiesta assomigliano sempre di più a un contenuto lineare che non richiede alcun intervento, la differenza tra servizi lineari e non lineari potrebbe sfumare agli occhi del consumatore.

Se in un mondo convergente si dovesse assumere che i modi di fornitura lineare e non lineare di contenuti simili sono legati da un rapporto di concorrenza, le attuali differenze tra i regimi che li disciplinano potrebbero certamente creare distorsioni in tale rapporto.

La Commissione ha anche affrontato il tema della prominence, ovvero “dell’accessibilità ai contenuti in un tempo in cui cambiano i modi in cui le persone si relazionano all’informazione: grazie ai meccanismi di filtraggio, in particolare la personalizzazione dei risultati di ricerca, è più probabile che gli utenti ricevano notizie nei settori di loro interesse e da una prospettiva che condividono.”

 

Se da un lato, tali meccanismi di personalizzazione e filtraggio hanno un evidente potenziale di affermazione e coinvolgimento dei cittadini, perché permettono loro di destreggiarsi nel mare magnum di informazioni che caratterizza il mondo digitale e di ricevere servizi su misura che corrispondono alle loro esigenze personali; dall’altro, potrebbe risultarne indebolito il ruolo dei media in quanto editori nella sfera pubblica e rafforzato invece il ruolo dei fornitori di piattaforme, ad es. delle imprese del web.

 

L’accessibilità del “contenuto di interesse generale”, anche nell’ambiente online, potrebbe essere limitata, nella pratica, dalle decisioni delle imprese.  La possibilità di predefinire una scelta attraverso meccanismi di filtraggio, come le funzioni di ricerca, dovrebbe essere assoggettata ad un intervento pubblico a livello dell’UE.

In conclusione la Commissione europea pur nell’ambito di un processo di consapevolezza circa i rilevanti cambiamenti che hanno interessato il mondo dei media non sembra, all’alba del varo della nuova Direttiva sui servizi media, essere intenzionata a cambiare la filosofia regolamentare su cui si fondava la – oramai risalente – Direttiva TV senza frontiere.

 

La legislazione sembra dunque soffrire di un problema di inerzia regolamentare per cui, pur in presenza di mutamenti epocali, vi è un certa difficoltà nell’intercettare questi mutamenti in quadro di regole coerenti ed al passo con i tempi. In altri termini i servizi VOD viaggiano verso il mondo dell’Internet 3.0, mentre l’impalcatura comunitaria è ancora in gran parte risalente all’epoca dell’Internet 1.0.

 

Conclusioni

L’insieme dei cambiamenti descritti rappresenta un sfida per i regolatori e per i broadcaster che dovranno essere capaci, ciascuno nei propri ambiti di competenza di intercettare il cambiamento, valorizzando le straordinaria opportunità che l’evoluzione tecnologica determina nel settore dei media. Per far questo mi sembra tuttavia che vi siano alcuni nodi da sciogliere ed auspico che il seminario odierno possa offrire un fattivo contributo scientifico verso la soluzione di problemi che vorrei sintetizzare, nel finale di questo mio intervento introduttivo, a beneficio delle discussione che seguirà.  In primis abbiamo dei temi regolamentari:

Il primo tema regolamentare riguarda l’omogeneità delle regole. La convergenza ha portato all’integrazione di uno dei settori più regolati dell’economia, quello dell’attività televisiva, con uno di quelli meno regolati in assoluto, ossia Internet. Appare quindi giustificato procedere ad una riconsiderazione di fondo del regime giuridico dei servizi audiovisivi nel nuovo contesto di mercato, sia in ambito comunitario che in quello nazionale. Ciò al fine di ristabilire un level playing field fra piattaforme trasmissive e le diverse modalità di fruizione, tutte comunque incentrate sulla diffusione di contenuti.  Le azioni normative da compiere in questo campo sono un mix di liberalizzazioni e di introduzione di nuove regole. Voglio citare solo alcune misure che potrebbero contribuire all’aggiornamento del frame-work normativo:

  • introduzione di interventi proporzionati, finalizzati ad applicare ai differenti mezzi trasmissivi le tutele minime del settore audiovisivo, condivisi a livello comunitario, stabiliti a tutela del cittadino, con particolare riferimento alle fasce deboli della popolazione, come i minori;
  • rimodulazione dei regimi esistenti, ove questi creino asimmetrie competitive fra le diverse piattaforme trasmissive, anche con riferimento alle trasmissioni lineari e non lineari, poiché tale distinzione sta perdendo di significato nel nuovo scenario;
  • rimodulazione del principio di responsabilità editoriale per adattarlo al nuovo ecosistema digitale. Questa impostazione è disegnata dalla Direttiva eCommerce, che risale al lontano 2011, secondo la quale i providers non sono responsabili dei contenuti che trasportano a condizione che il loro ruolo sia meramente tecnico, automatico e passivo.   Tuttavia, molte delle piattaforme oggi disponibili hanno impostato i propri business model non certo sull’estraneità ai contenuti che trasportano, ma su un’accorta organizzazione e presentazione degli stessi, affinché possano essere facilmente rintracciabili dagli utenti ed affiancati da altre informazioni di loro interesse, tanto che la giurisprudenza ha coniato la nuova definizione dell’hosting attivo.

Il secondo tema regolamentare, si inquadra, nell’ambito del progetto di Digital Single Market, lanciato dalla Commissione europea, mi riferisco al tema del “paese d’origine”.  Siamo consapevoli che l’attuale regola del “paese d’origine”, non è tout-court applicabile a Internet, anche alla luce della tendenza degli operatori extra-UE a stabilirsi in Paesi diversi da quelli in cui operano per sfruttare una regolamentazione più leggera.  Per questi servizi dunque la soluzione regolatoria più adeguata sarebbe quella del “paese di destinazione” per assicurare condizioni di equa concorrenza ai diversi competitor di uno stesso mercato geografico.  Pur tuttavia, sappiamo che gli orientamenti della Commissione sono indirizzati verso il mantenimento della status quo.   In questo scenario il principio del paese d’origine dovrebbe essere accompagnato da un più elevato livello di armonizzazione per evitare asimmetrie regolamentari tra paesi membri con fenomeni di forum shopping.

 

Il terzo tema regolamentare afferisce al ruolo delle piattaforme digitali. Tema sul quale l’Autorità ha acceso un faro, approvando nell’ultima riunione di Consiglio la prima trance di un’Indagine conoscitiva ad hoc.  Il tema è molto ampio, ma limitandosi all’ambito del nostro incontro odierno i VOD, va evidenziato che le piattaforme svolgono un ruolo cruciale nello stabilire quali contenuti siano accessibili, potendo per esempio, dare maggiore o minore rilievo ai contenuti che presentano.  Ciò influenza di fatto la scelta degli utenti e può avere ricadute importanti sul pluralismo informativo.  Esiste dunque un tema regolatorio legato al ruolo dei gatekeeper, tema rispetto al quale la soluzione comunitaria della prominance non sembra costituire una misura proporzionata allo scopo.

 

Passando ai profili più squisitamente di mercato, c’è un quesito afferente al posizionamento competitivo dei servizi VOD nel panorama dei contenuti audiovisivi. In particolare se è vero che gli OTT come Google e Facebook raggiungeranno uno quota di mercato del 50% su base mondiale nell’offerta di servizi VOD in modalità free, quale spazio rimane per i broadcaster tradizionali?  Sappiamo infatti che gli OTT, grazie alla raccolta ed elaborazione di personali degli utenti, dispongono di un rilevante vantaggio competitivo nella vendita di pubblicità profilata rispetto ai broadcaster tradizionali che incontrano maggiori difficolta nel monetizzare i contenuti free sul web.

L’offerta pay di contenuti premium è dunque l’unica nicchia di mercato a cui i broadcaster si possono rivolgere?  Senza interventi adeguati si rischia di incorrere in uno scenario in cui le offerte free saranno sostenibili solo per i servizi pubblici finanziati dal canone, mentre i broadcaster privati sarebbero costretti a virare verso offerte esclusivamente pay.  Ciò renderebbe più arido il panorama dei media europei, con grave nocumento del pluralismo informativo.