Il metodo

PAdigitale. La rottamazione delle macchine burocratiche

di Donato A. Limone Ordinario di informatica giuridica e Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche, Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza |

Il Governo ha la responsabilità politica, istituzionale, sociale ed economica di avere avviato una riforma e di realizzarla con decreti legislativi sensati

La riforma della Pubblica Amministrazione (legge 124/2015) ha come finalità principale la “riorganizzazione”. Riorganizzare significa intervenire sulla situazione attuale per fare cosa: un tagliando o la rottamazione delle “macchine burocratiche”?

 La rubrica PAdigitale, a cura di Donato A. Limone, Ordinario di informatica giuridica e Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche, Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza. Analisi e approfondimenti sul processo di attuazione della Riforma della PA. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui

1. Tagliando o rottamazione?

Il tagliando sarebbe inutile perché le “macchine” sono datate (vetuste; più di 30 anni). Allora, resta la “rottamazione”. I modelli organizzativi attuali non hanno supportato le riforme degli anni ’90: non sono mai stati “progettati” e realizzati modelli nuovi ed innovativi e sostanzialmente (sotto terminologie apparentemente moderne) le “macchine” vivono di modelli degli anni ‘70/80.

La delega deve essere esercitata verso la rottamazione: il cambio di passo deve essere forte e significativo. L’ostacolo principale? Il consolidato esistere delle amministrazioni nei loro tempi, modi, riti, regole.

2. Riformare: come?

 

Il Governo ha la responsabilità politica, istituzionale, sociale ed economica di avere avviato una riforma e quindi di realizzarla attraverso lo strumento di decreti legislativi “sensati”: ha una delega forte e non può (e non deve) sbagliare. Grande responsabilità, alto rischio. Come procedere? Ci permettiamo di dare qualche suggerimento.

Ripartendo da dove ci eravamo lasciati: dal Rapporto Giannini (1979). Con due accorgimenti precisi e chiari: a)  adottando il criterio “elementare” (semplice, per questo difficile) della sequenzialità degli interventi  (non puoi passare allo step successivo se non hai sistemato le cose dello step precedente!); b) usare lo strumento legislativo/normativo  abbandonando la tecnica del legiferare per “toppe”.

 

3. La progressione logica degli interventi

Le nostre macchine burocratiche sono complesse, complicate, costose, piene di adempimenti inutili, regolate per funzionare apparentemente. Il punto di forza di una moderna riforma (lo prevede infatti la legge di riforma, ma era stabilito da 25 anni) è l’applicazione del principio della semplificazione amministrativa e delle regole. Non si può pensare che con la semplice introduzione di un codice dell’amministrazione digitale (2005) in organizzazioni non rivisitate (dal 1980) si razionalizzino strutture, servizi e comportamenti amministrativi in modalità spontanea. Se non si procede ad una radicale semplificazione delle procedure, dei processi, dei procedimenti, della documentazione, della modulistica, della modalità di presentare istanze e richiedere servizi e della erogazione degli stessi, tutto il resto si ferma ai principi e alle norme. In questi 25 anni (dalla legge 241/90, legge di semplificazione dei rapporti tra burocrazia e cittadino) chi ha semplificato veramente e quanto? La risposta (con onestà istituzionale, intellettuale e scientifica) è: quasi nessuna delle amministrazioni e poco!

Prima si semplifica e poi si digitalizza (art. 15 del CAD): se questa sequenza salta, salta la riforma e l’ammodernamento dell’amministrazione. Non ci sono altre strade; non ci sono soluzioni di mezzo, provvisorie, miste.

4. La tecnica di normazione: abbandono della legislazione per “strati” normativi

 

E’ necessario abbandonare un metodo di normazione caro ad una certa scuola politico-amministrativa: la normazione per strati (detto brutalmente: per…..toppe). Le toppe normative che vengono montate e rimontate nel tempo facendo saltare il valore funzionale di una norma, per es. della legge 241/90 (diventata un colabrodo) o come il Codice dei contratti pubblici (ma l’elenco delle leggi modificate, integrate, rattoppate è lunghissimo). La normazione per toppe non porta a riforme vere ma a complicazioni che costano al contribuente senza effetti positivi.

Il Governo ha l’occasione di delegificare in modo intelligente (smontare e ripulire norme principali di riferimento riportandole alla situazione originaria: legiferare per “principi” e definire con strumenti normativi agili le regole organizzative e tecniche).

5. Il centro di gravità permanente: il cittadino

Una riforma vera e concreta non può partire dallo Stato inteso come una entità a se stante contrapposta al cittadino; né può funzionare nella logica di una amministrazione che si parla e riparla addosso. Il centro della riforma (di ogni riforma) è il cittadino: il soggetto che legittima l’esistenza stessa della burocrazia oltre che dello stato. E allora la riforma ha lo scopo primario di semplificare i rapporti tra cittadino e burocrazia, di creare un’amministrazione digitalizzata ed accessibile che opera nella società dell’informazione, di contribuire ad attuare l’art. 3 della nostra Costituzione. La riforma delle macchine burocratiche acquista allora un senso, una direzione, una nuova dimensione. Chi scriverà i decreti legislativi dovrà tenere conto di questo paradigma istituzionale, politico e sociale. In questo contesto perché non stabilire il metodo della consultazione telematica non tanto e non solo sui testi dei decreti legislativi scritti (le bozze) ma prima ancora sullo schema dei decreti: cosa si vuole normare e come? Comprenderemo tutti le logiche normative sottostanti: la riforma e la delega non è questione che interessa soltanto il Parlamento ed il Governo.