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Pa digitale, il ritardo tecnologico costa all’Italia 2 punti di Pil

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25 miliardi di euro, a tanto ammontano i benefici che produrrebbe la trasformazione digitale della pubblica amministrazione italiana, mentre l’inefficienza pubblica costa circa 30 miliardi di euro l’anno. I ritardi della Pa digitale messi in evidenza dal Corriere della Sera, che indica 5 interventi.

L’Innovazione e il digitale determinano il futuro economico e sociale di un Paese, ma la classe politica italiana ancora non l’ha capito. Per la Pa digitale lo Stato spende meno dell’1%, pari a 96 euro procapite, rispetto ai 186 euro della Francia, 207 euro della Germania e 323 euro di Uk, relegandoci al 24esimo posto nella classifica Desi 2019 (anche se siamo al 2^ posto della classifica 5G), con cui la Commissione europea misura i progressi compiuti dai singoli Paesi membri in termini di competitività digitale.

Per cercare di far risalire l’Italia dal quint’ultimo posto nell’Europa digitale, Governo, Parlamento, dirigenti pubblici e tutti gli stakeholder dovrebbero imparare a memoria questi dati:

  • L’inefficienza pubblica costa circa 30 miliardi di euro l’anno, pari a 2 punti di Pil, è la stima di Confindustria digitale.
  • 25 miliardi di euro l’anno al bilancio dello Stato. A tanto ammontano i benefici che produrrebbe la trasformazione digitale della pubblica amministrazione italiana, secondo il Politecnico di Milano.

Il Corriere della Sera, nell’articolo pubblicato oggi a firma di Milena Gabanelli e Rita Querzè, ha messo in prima pagina questi dati per evidenziare quanto ci costa, sotto il profilo economico e sociale, il ritardo tecnologico in Italia. Quali le cause nella Pa? Tra queste:

  • SPID non decolla, dal 2015 ad oggi solo 5,4 milioni di identità digitali erogate su 60 milioni.
  • Anagrafe Unica ancora non completata, mancano 2.630 Comuni.
  • Fascicolo sanitario elettronico è disponibile solo in 12 Regioni.

Il Corsera, infine, indica anche 5 interventi per trasformare la Pa digitale italiana in una leva economica.

1) Spegnere gli 11mila data center nei Comuni, che gestiscono i dati sensibili dei cittadini. Molti “versano in condizione catastrofiche”, aveva detto Luca Attias, a capo del Team digitale fino al 31 dicembre 2019, indicando la strategia governativa che punta a dar vita a 3-7 data center all’avanguardia per mettere al sicuro tutti i servizi digitali fondamentali della Pubblica Amministrazione italiana. E risparmiare miliardi di euro al Paese.

2) Usare tutti i fondi Ue. Per il settennio 2014-2020 l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia 2,3 miliardi di euro per l’attuazione dell’Agenda Digitale e a ottobre 2019 poco meno di un miliardo era ancora da assegnare per mancanza di progetti da finanziare (Fonte: Open Coesione).

3) Assunzione di personale specializzato. Nel Regno Unito la struttura Digital Government Services ha 800 persone dedicate, da noi sono poco più di un centinaio. La ministra Paola Pisano ha promesso di assumere 100 professionisti specializzati nel 2020, e altri 200 entro il 2022.

4) Gare più veloci e trasparenti. Secondo la Corte dei Conti i bandi di gara in questo settore nelle amministrazioni pubbliche possono durare dagli 11 ai 24 mesi. Vuol dire che si installano tecnologie già vecchie, scrive il Corriere della Sera.

5) Condivisione e integrazione delle banche dati. Condividere ed integrare le banche dati della Pa per estrarre valore e per rendere più efficiente la pubblica amministrazione e per offrire ai cittadini servizi digitali utili e semplici da usare.

Per approfondire: l’articolo completo del Corriere della Sera