Aree nere

Open Fiber crolla anche nelle aree nere con il peggior risultato di sempre. Dimissioni del vertice?

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È evidente che dell’operatività di Open Fiber nessuno si è preoccupato sino ad ora. Chissà, magari si sperava di mischiare le carte con la “rete unica”, mascherando così i risultati mancati. È il caso che qualcuno ponga urgentemente rimedio, prima che sia troppo tardi.

Tra pochi giorni voteremo, rinnoveremo il Parlamento e daremo una nuova guida al Paese. Vi è molta attesa per il Governo che verrà e, date le aspettative, ci permettiamo anche noi di dare un piccolo suggerimento alla nuova premiership.

Gli italiani sono stufi di vedere che nulla cambia, anche quando ci sono chiare ed inequivocabili responsabilità di persone ben individuabili. Gli esempi non mancano. Basti pensare ai manager di Stato che, nonostante i loro fallimenti manifesti, restano al loro posto solo grazie a complici amicizie e colpevoli coperture, spesso impropriamente giustificate con l’appartenenza a cordate politiche.

Il caso Open Fiber

Il caso di Open Fiber è eclatante.

La società ha la mission di cablare in fibra ottica il nostro Paese. La connessione in fibra è elemento fondamentale per il progresso tecnologico dell’Italia e per la competitività del nostro sistema produttivo, quindi è direttamente collegato alla crescita economica e al mantenimento ed allargamento dei posti di lavoro. Non a caso il PNRR ha stanziato ingenti capitali in questa direzione.

Da ormai più di un anno la gestione operativa di Open Fiber è in mano a Cassa Depositi e Prestiti (CDP), azionista di maggioranza, che ha nominato Mario Rossetti Amministratore Delegato. Ebbene, nel corso delle ultime settimane abbiamo più volte analiticamente dimostrato, con dati ufficiali del MiSE alla mano, come l’azienda ‘capitanata’ dall’AD Rossetti non stia rispettando nessuno degli impegni assunti e nessun obiettivo, tra quelli che lo stesso Mario Rossetti aveva indicato, è stato mai raggiunto.

Ma procediamo con ordine.

Il pasticcio delle Aree Bianche…

Come abbiamo più volte ribadito, la situazione delle Aree bianche è drammatica. L’AD Rossetti ha dichiarato che le avrebbe finite entro giugno 2023, ma non è neanche ad un terzo dei lavori (appena 2 milioni di unità immobiliari attivabili contro i 6,3 milioni di unità immobiliari previsti a fine progetto).

…e quello delle Aree nere…

Se poi volgiamo lo sguardo sulle Aree nere, allora scopriamo che se Sparta piange Atene non ride. Il cablaggio nelle Aree nere, ricordiamo quelle più ricche del Paese (grandi città ed aree commerciali), quelle dove molta capacità produttiva è concentrata, e dove ci sarebbe un enorme bisogno della fibra, va ad una velocità dimezzata rispetto a quella della gestione precedente.

Rossetti e la sua nuova squadra internazionale chiuderanno l’anno con circa 800 mila nuove unità immobiliari attivabili contro circa 1,6 milioni fatte nel 2019 o addirittura 1,25 milioni fatte nel 2020, anno della pandemia quando lavorare sui cantieri era pressoché impossibile per il COVID che imperversava e bloccava l’operatività dei cantieri alla scoperta di un solo contagiato. Il peggior risultato di sempre.

Risultati traditi: pasticcio “à l’italienne”. Intervenga il nuovo governo

Appare evidente che Open Fiber non riuscirà neanche a raggiungere l’obiettivo di 1 milione di unità immobiliari che lo stesso Rossetti si era dato da solo per il 2022. Obiettivo, ci sentiamo di dire, già ridicolmente più basso di quanto fatto in tutti gli anni precedenti e ci chiediamo perché gli sia stato accordato. Ci chiediamo allora quale giustificazione il vertice aziendale tirerà fuori dal suo “scusario”.

Ora, in un paese normale, un amministratore delegato consapevole dei risultati mancati si sarebbe già dimesso. Visto che non lo fa, in un Paese serio gli azionisti lo avrebbero sfiduciato in Consiglio di Amministrazione, per il bene della società, dei suoi azionisti e per il bene del Paese.

E invece? Nulla, ancora non è successo nulla.

Facciamo quindi appello al nuovo Governo, visto che l’azionista di maggioranza è posseduto dal MEF, perché intervenga immediatamente. Ancora una volta, lo ribadiamo, per il bene del Paese.

Se quanto abbiamo scritto e analiticamente riportato nelle scorse settimane non corrisponde al vero, le nostre pagine sono a disposizione per la replica, innanzitutto ai rappresentanti di Open Fiber. Ma fino ad oggi nessuno ci ha chiesto di rettificare alcunché.

È evidente che dell’operatività di Open Fiber nessuno si è preoccupato sino ad ora. Chissà, magari si sperava di mischiare le carte con la “rete unica”, mascherando così i risultati mancati. Purtroppo per qualcuno, l’allungarsi dei tempi per la “rete unica” ha invece messo in evidenza l’incapacità gestionale del vertice aziendale e rischia di mettere in difficoltà il Paese, che ha un urgente bisogno della fibra anche per assicurare la competitività delle sue aziende e l’efficienza della sua Pubblica Amministrazione.

Evitare gli sprechi di denaro

Adesso Open Fiber sarà costretta a rifare in fretta e furia un nuovo Piano industriale, in alternativa a quello già preparato e proposto dall’attuale management ed approvato dal Consiglio di Amministrazione appena lo scorso dicembre. Una circostanza, questa, che non fa altro che bloccare ancor di più l’azienda costringendo i dipendenti a un vortice di inutili e inconcludenti riunioni. Tutto ciò senza tener conto dello sperpero di denaro pubblico per pagare i consulenti con i quali Rossetti aveva redatto il precedente Piano ormai rivelatosi fallimentare, come molti manager prima di lasciare l’azienda avevano previsto.

Open Fiber perde valore, ma CDP guarda dall’altra parte

Gli azionisti Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Macquarie dovrebbero saltare sulla sedia. Ci permettiamo di ricordare loro che anche nel caso di rete unica, al momento del merger, qualcuno valuterà quanto vale Open Fiber.

Open Fiber è stata valutata tra 7,3 e 8 miliardi appena nel 2021. E questi sono i soldi che hanno speso Macquarie e CDP stessa per acquistare rispettivamente il 40% e un ulteriore 10% (per far salire la quota CDP dal 50% al 60%). Questo valore, tra le altre cose, era legato anche al notevole vantaggio che Open Fiber aveva appunto nelle aree nere rispetto a Fibercop (TIM). Oggi quel vantaggio si è enormemente ridotto per l’immobilità di Open Fiber e della gestione di Rossetti. Quindi il valore di Open Fiber è calato e continuerà a scendere a meno che qualcuno non intervenga.

Di cosa faccia Macquarie poco ci interessa. Con i loro soldi possono fare quello che vogliono. Anche se in questo caso, visto che l’investimento è fatto da Macquarie Asset Management, si tratta di soldi di altri, forse ignari pensionati australiani. Ma, al contrario, cosa fa CDP ci interessa e ci interessa molto, visto che gestisce i soldi del risparmio postale degli italiani. I nostri soldi. E dopo aver perso centinaia di milioni con TIM non è sopportabile che continui a perdere soldi anche con Open Fiber.

Ci chiediamo anche dove sia e cosa stia facendo la Presidente Barbara Marinali e ci chiediamo anche come stia esercitando le funzioni di controllo che il suo mandato prevede. Ma soprattutto ci piacerebbe sapere cosa dice e quali posizioni prende durante i Consigli di Amministrazione di fronte ad una situazione cosi disastrosa. Dopo tutto quello che abbiamo scritto sulla situazione di Open Fiber non può certo dire che non sapeva.

È il caso che qualcuno ponga urgentemente rimedio, prima che sia troppo tardi.