PA digitale

Nuovo CAD: c’è il domicilio digitale, ma serve l’Anagrafe Unica

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Il nuovo CAD istituisce il domicilio digitale per ricevere via PEC documenti e notifiche dalla PA, ma perché lo strumento decolli serve l’Anagrafe Unica.

Consentire ai cittadini di comunicare con l’amministrazione pubblica in digitale. Se ne parla da anni e ora, con la pubblicazione del Nuovo Codice dell’Amministrazione Elettronica, c’è anche la legge che istituisce lo strumento deputato a creare questo canale di comunicazione digitale fra cittadini e amministrazioni pubbliche. Si tratta del domicilio digitale, una casella di posta certificata (Pec) per “facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini” per accogliere via mail tutti i documenti e le notifiche da amministrazioni pubbliche e controllate.

Lo prevede il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 (pubblicato in G.U. n.214 del 13 settembre 2016), “Modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Domicilio digitale, non c’è l’obbligo

Il domicilio digitale (purtroppo) non è obbligatorio. Verrà fornito dal Comune di residenza su richiesta del cittadino, e sarà inserito nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr). I cittadini che non ne fanno richiesta continueranno a ricevere tutte le comunicazioni della PA in cartaceo.

Il successo del domicilio digitale è quindi legato a doppio filo all’Anagrafe Unica, che nei piani del Governo dovrà essere pronta alla fine del 2017, con la migrazione delle 8.100 anagrafi comunali in un unico database centralizzato.

Ad oggi, secondo i dati forniti dall’Agid, il processo di migrazione all’Anpr, partito (in ritardo) alla fine del 2015, è fermo ai 26 comuni pilota (6,5 milioni di cittadini) annunciati a febbraio. Perché non aumenta il numero di comuni?

Domicilio digitale di default

Tra l’altro, il Nuovo CAD prevede l’assegnazione di un domicilio digitale di default per tutti i cittadini, anche quelli che non lo richiedono, purché iscritti all’Anpr (quando sarà pronto).

A cosa servirà?

Presumibilmente servirà alla PA per registrare in digitale tutte le comunicazioni di documenti e notifiche ai cittadini, che però continueranno a ricevere l’originale in cartaceo.

Per conoscere le modalità di rilascio del domicilio digitale e il soggetto deputato a occuparsene, bisognerà attendere un decreto ad hoc del Ministero dell’Interno, che di concerto con il Ministero della Semplificazione e con il Garante Privacy deciderà come sarà gestita l’attribuzione.

 

Come funziona in concreto

In concreto, in futuro i cittadini potranno indicare al Comune una casella PEC (Posta elettronica certificata) come mezzo esclusivo per tutte le comunicazioni in arrivo dalla PA. Uno strumento che ha lo scopo di sostituire in tutto e per tutto la tradizionale e alquanto obsoleta cassetta della posta, eliminando le comunicazioni cartacee provenienti dalla PA che, una volta a regime, potrebbe risparmiare milioni di euro con l’abolizione delle raccomandate.

Insomma, il domicilio digitale è una grande novità (sulla carta), ma la mancanza dell’obbligo di adozione da parte dei cittadini (ma non potrebbe essere altrimenti, visto che un terzo degli italiani non usa Internet) non risolve il problema del doppio binario di comunicazione (cartaceo e digitale) fra PA e cittadini.