Il punto

Non solo smartphone in classe, ma media education. Così Azzolina boccia il decalogo di Fedeli

di |

La ministra per l’Istruzione Lucia Azzolina annuncia l'introduzione della media education a scuola perché “essere nativi digitali non significa sapere usare con consapevolezza i social e la Rete”. Perché le nuove politiche del ministero sono più efficaci del decalogo “i propri smartphone per studiare in classe” proposto dall’ex ministra Valeria Fedeli.

Oggi lo stallo delle politiche governative sulla scuola digitale segna un’interruzione. Il tema è finalmente ritornato nell’agenda del ministero dell’Istruzione, non era più all’ordine del giorno dal 2018 (con Lorenzo Fioramonti solo annunci) quando l’allora ministra Valeria Fedeli propose, e fortunatamente mai adottato, il decalogo per l’uso dei dispositivi mobili a scuola, ossia far utilizzare “in modo facoltativo i propri smartphone in classe agli studenti per migliorare l’apprendimento ed incrementare l’efficienza”.

Al piano BYOD – bring your own device- di Fedeli la neoministra dell’Istruzione Lucia Azzolina propone la media education. Personalmente ritengo che quello della ‘media education’ sia un tema centrale nella formazione dei ragazzi. Anzi, che rappresenti una vera e propria urgenza educativa occuparci di questi argomenti”, ha annunciato Azzolina oggi intervenendo a Montecitorio al convegno ‘Media Education: più consapevolezza, più opportunità, più futuro’.

“Nativi digitali non significa saper usare con consapevolezza i media e i social media”, ha spiegato la ministra, indicando le nuove politiche che intende portare avanti per il digitale a scuola, “gli studenti hanno bisogno di una bussola, devono essere guidati. La scuola ha questo compito, insieme alle Istituzioni, come la Polizia postale, di orientare e formare gli studenti al mondo digitale”.

“Nelle Linee Guida il riferimento alla media education”

Allora come far diventare realtà la media education a scuola? Come formare insegnanti digitali in grado non di insegnare agli studenti come si utilizzano le nuove tecnologie, ma spiegare gli effetti negativi del cyberbullismo, revenge porn, hate speech e di prestare maggiore attenzione alla privacy sui social?

“Stiamo scrivendo le Linee Guida per l’Educazione civica con un chiaro riferimento alla Media Education, che riteniamo importante come l’Educazione ambientale”, ha aggiunto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina nel corso del convegno, spiegando che “La competenza digitale è una nuova forma di alfabetizzazione”, per cui “dobbiamo formare cittadini consapevoli e coscienti. L’educazione digitale è educazione alla cittadinanza consapevole, oggi più che mai”.

Perché preferire la media education all’introduzione a scuola senza obiettivi di smartphone, tablet e lavagne multimediali

Un forte fautore della media education a scuola è Marco Gui, professore associato presso l’Università di Milano-Bicocca, autore, tra l’altro, dell’interessante libro “Il digitale a scuola – rivoluzione o abbaglio?”.

“Dal 2007 al 2017 sono state spese molte risorse, circa 1,5 miliardi, in tecnologie digitali a scuola come tablet, connessioni WiFi e LIM (lavagna interattiva multimediale) ed anche in formazione degli insegnanti, ma manca lo sviluppo di un uso consapevole dei media”, ha messo in guardia Gui intervenendo dopo la ministra Azzolina al convegno.  

“Agli studenti va spiegato come guadagna Instagram. Quali sono le conseguenze sulla vita privata e professionale nel pubblicare alcuni post sui social”, ha aggiunto Gui, secondo il quale la scuola, all’epoca della quarta rivoluzione industriale, deve formare agli studenti “all’uso critico dei media e dei social”, come ha sempre fatto “nell’insegnare a leggere criticamente i testi”. Infine, il professore ha lanciato un messaggio anche alla politica: “La media education è vana nelle scuole se dalla politica arrivano pessimi esempi sui social, come mettere alla gogna politici di altri partiti o incentivare l’hate speech?”.

Gui, che è primo firmatario della petizione per l’uso responsabile dei social da parte dei politici, nel libro “Il digitale a scuola – rivoluzione o abbaglio?” passando in rassegna ricerche a livello globale sull’uso delle tecnologie a scuola, ha messo in evidenza che “l’uso frequente di tablet e computer a scuola è associato a risultati peggiori”, eccezion fatta negli studenti con disabilità in cui i risultati positivi sono lampanti. Per cui si legge nel volume che “il semplice investimento in dotazioni tecnologiche per la didattica ha prodotto in media effetti nulli”.

Anche per questo motivo la media education, insegnare agli studenti l’utilizzo consapevole delle nuove tecnologie e dei social è la strada migliore da percorrere. Il ministero dell’Istruzione oggi ne è consapevole e sa anche bene che per farla diventare realtà occorrono risorse economiche sia per formare gli insegnanti sia per sviluppare la connessione in banda larga nelle scuole. La fibra arriva oggi a poco più di un istituto su 10. Il piano nazionale per la scuola digitale ha messo sul piatto 1 miliardo e 200mila euro, ne sono stati spesi la metà.

Ci sono risorse da spendere ed altre da individuare. Creerò un comitato ad hoc con l’obiettivo di garantire ai docenti la formazione digitale, compreso il coding, e realizzare scuole digitali con l’infrastruttura idonea”, ha concluso la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.