Il nemico non è la carta, ma chi non smette di usarla

di a cura di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

Sanità digitale, serve a poco se non cambia il modello organizzativo e se non si combatte la

Italia


Paolo Colli Franzone

#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.  Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

 

Quando mio figlio frequentava le scuole elementari, una sera tornò a casa dicendomi: “La maestra mi ha chiesto che lavoro fai, io le ho detto che fai riunioni e ti occupi di informatica”.

Ci ho messo alcuni anni, a fargli capire esattamente che lavoro faccio: ho dovuto attendere che crescesse e prendesse confidenza col mondo.

Fino a quando non sono riuscito a fargli capire che sì, è vero, faccio riunioni. Ma non mi occupo di informatica. Pur lavorando, indiscutibilmente, all’interno dell’ecosistema ICT.

In realtà, e adesso lui lo ha capito, mi occupo di capire come le tecnologie dell’informazione possano servire (parola chiave, “servire”) l’innovazione di processo all’interno della sfera pubblica costituita dalle pubbliche amministrazioni, la sanità, la scuola, la giustizia, le public utilities.

 

Ho fatto un esperimento: ho tracciato, con precisione quasi cronometrica, l’insieme dei documenti consultati in una mia giornata lavorativa qualunque. Risultato: non meno di 3 ore passate analizzando bilanci di regioni, comuni, ospedali, eccetera. Molto meno di un’ora trascorsa leggendo di scenari tecnologici.

Il resto sono riunioni, telefonate, stesura di documenti.

 

I miei collaboratori ed io abbiamo trascorso quasi sei mesi a ricostruire “pezzo per pezzo” i costi del servizio sanitario nazionale: sappiamo quanto costa un accesso al pronto soccorso, una prenotazione per una TAC, un trasporto in ambulanza, una giornata di ricovero ospedaliero, eccetera. Quasi un centinaio di ambiti e di processi censiti e analizzati con precisione.

Partendo da questi costi, abbiamo iniziato a divertirci applicando scenari di rivisitazione di processi. Con l’obiettivo di capire “seriamente” (parola chiave, “seriamente”) quale impatto potesse avere questa rivisitazione dal punto di vista dei costi.

 

A me non piacciono, lo dico subito, le affermazioni apodittiche (e sin troppo propagandistiche) tipo “il fascicolo sanitario elettronico fa risparmiare X miliardi“, non mi piacciono perché – semplicemente – non sono vere.

Insieme a Federsanità ANCI abbiamo sviluppato una tesi sicuramente meno “mediatica” ma, a mio parere, onesta e sostenibile: il “nemico” della razionalizzazione non è “la carta”, ma “la perpetuazione della consuetudine“. Il driver dell’efficientamento non è l’information technology, ma la riorganizzazione dei processi.

“Calare” un fascicolo sanitario elettronico in un modello organizzativo invariato può addirittura generare sovracosti. Provare per credere.

Il discorso non cambia di una virgola se dalla sanità passiamo al mondo della pubblica amministrazione “in generale” (ministeri, regioni, province, comuni, eccetera). Anzi, risulta ancora più evidente il sovracosto e il flop dei progetti di mera digitalizzazione dell’esistente.

 

Occorre quindi affrontare il discorso del “nuovo procurement“, rilanciato anche dal Presidente dell’ANCI Piero Fassino nei giorni scorsi a Firenze e già da tempo “spinto” da Federsanità, partendo da un assioma: nella stragrande maggioranza dei casi, immaginare iniziative di project financing e/o “shared saving” asservite a progetti di pura digitalizzazione dell’esistente non funziona. E ci si fa del male.

Peraltro, è del tutto evidente che nessun operatore economico privato con un minimo di raziocinio sarà mai disponibile a finanziare iniziative destinate a fallire. 

 

Ma questa, è una brutta notizia o no?

 

Ritengo che sia una bellissima notizia, anche (e soprattutto) per le aziende fornitrici di tecnologie.

Perché, ormai lo abbiamo capito, di “bolle” si può morire. Magari si prova un certo iniziale sollievo in termini di business generato, ma trattasi di sollievo generato da sostanze pericolose, sistemi “drogati” in origine e destinati a brutta fine.

 

Quindi, ben venga il “nuovo procurement” a patto che sia una partita seria.

Giocata da giocatori consapevoli, e seri.

Una magnifica occasione, tra l’altro, per prendere i classici due piccioni con una fava: la revisione dei processi organizzativi della PA e della Sanità pubblica italiana genererà – insieme alla razionalizzazione dei costi – una quantità significativa di semplificazione amministrativa e aiuterà l’intero comparto pubblico a sviluppare nuove competenze e professionalità.

Tra l’altro, la voglia di cambiamento anche all’interno di PA e Sanità è elevatissima: di public servant stufi di lavorare secondo logiche che definire desuete è un eufemismo, ce ne sono a frotte.

 

Servono leggi, servono decreti?

Anche no, grazie. A saperlo leggere, il codice degli appalti contiene già tutto quello che può servire a mettere in pratica un modello di new public procurement che non ha bisogno di null’altro che di essere copiato da quanto già succede da tempo in mezzo mondo.

Serve, questo sì, commitment e spargimento di anticorpi  del tipo “si può fare”. Quelli capaci di stroncare i virus del ceppo “non lo abbiamo mai fatto, quindi perché dovremmo mai farlo”.

 

Ce la faremo?

E chi lo sa.

Il bello è che qualora la risposta sarà negativa, non avremo modo di accorgercene. Occupati come saremo a traslocare nel terzo mondo.