#Tecnolaw. Musica: modificate le norme negli USA, pericoloso equivoco per gli editori italiani

di di Maria Letizia Bixio (DIMT – Diritto, Mercato, Tecnologia) |

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Ancora sommessi i pareri degli esperti e silente la voce della stampa in merito alla forte preoccupazione dimostrata dagli editori musicali italiani in merito ai minacciosi Avvisi relativi alla scadenza anticipata dei propri diritti di edizione negli Stati Uniti. La categoria sembrerebbe, infatti, esser colpita ai sensi e per gli effetti del titolo 17 dell’United State Code, paragrafo n. 203 secondo cui, per le opere i cui diritti furono trasferiti dopo il 1 gennaio 1978, gli effetti della cessione terminerebbero dopo soli trentacinque anni dal giorno dell’avvenuto trasferimento. L’esercizio di tale diritto di “recupero”, alla lettera della disposizione è esercitabile per i 5 anni successivi alla scadenza del trentacinquesimo dopo l’avvenuta cessione.

 

In tutta evidenza la ratio della norma mira a favorire la facoltà per gli autori di ri-negoziare nel corso della propria vita, i diritti editoriali in precedenza ceduti, andando così, non solo a ridurre di quindici anni la normale durata dei diritti di edizione, ma soprattutto a travolgere la validità di quei contratti stipulati nel tempo dagli editori, la cui efficacia sarebbe dovuta protrarsi per i canonici cinquant’anni.

 

A ben vedere la complessità dell’efficacia di suddetta norma rispetto ai rapporti contrattuali stipulati, nonché regolamentati dalle leggi interne dei Paesi europei, necessita una breve disamina.

 

Preliminarmente occorre chiarire a quali soggetti spettino i diritti sulle opere dell’ingegno ai sensi della legge americana sul Copyright. L’ U.S.C. §201, stabilisce che i diritti sull’opera protetta spettano in primo luogo all’autore o agli autori del lavoro, se l’opera è collettiva. Tuttavia, negli Stati Uniti esiste una categoria di opere che non trova esatta corrispondenza nel nostro ordinamento, i cosiddetti: Works Made for Hire, lavori che possono definirsi “realizzati su commissione” e non, come viene erroneamente suggerito, “realizzati per il noleggio”. Il verbo inglese to hire, trova il duplice significato di “noleggiare” e di “assumere”, “dare lavoro” e “prendere a servizio”.

 

I criteri di identificazione di lavori considerati “work made for hire” sono individuati dallo United States Copyright Act of 1976  che li definisce come a work prepared by an employee within the scope of his or her employment; or a work specially ordered or commissioned for use as a contribution to a collective work, as a part of a motion picture or other audiovisual work, as a translation, as a supplementary work, as a compilation, as an instructional text, as a test, as answer material for a test, or as an atlas, if the parties expressly agree in a written instrument signed by them that the work shall be considered a work made for hire.

 

La legge americana, al §101, (cfr. il testo inglese sopra riportato), definisce come Work made for Hire, non solo le opere realizzate in vigenza di un contratto di lavoro subordinato o di commissione, ma richiama espressamente i contributi realizzati per le opere collettive e i contributi che compongono le opere filmiche (soggetto, sceneggiatura, colonna sonora originale).

 

Analogamente anche nell’ordinamento italiano il legislatore ha, in determinate circostanze, affievolito la piena potestà dell’autore sulla propria opera, ad esempio attribuendo al produttore dell’opera cinematografica la titolarità dei diritti di utilizzazione economica sull’opera filmica e analogamente all’editore, dei diritti sull’opera letteraria o musicale da lui prodotta.

 

La disposizione di cui al §201 dell’U.S.C., rubricata Ownership of copyright, alla lettera b), regolamenta i Works Made for Hire, stabilendo che per tali categorie di opere l’autore è il Committente, unico soggetto cui spetta la gestione di tutti i diritti sull’opera; tali disposizioni appaiono affini al combinato disposto dell’art 2590 c.c. e dell’art. 12 bis della l. 633/1941 sulla protezione del diritto d’autore, che attribuisce al datore di lavoro i diritti di utilizzazione economica su alcune categorie di opere (programmi per elaboratori e banche dati), se create dal lavoratore dipendente nell’esercizio delle proprie mansioni. (Si vedano anche la disciplina di cui all’art. 12 ter per le opere del disegno industriale, l’art. 88 l.d.a. sul committente di opera fotografica e l’art. 11 l.d.a. circa le opere create dalle amministrazioni dello Stato).

 

Stando dunque alla lettera del §203 dell’U.S.C., relativo alla cessazione dei trasferimenti e delle licenze concesse dagli autori sulle proprie opere -disposizione richiamata a fondamento degli Avvisi di scadenza dei diritti di edizione degli editori italiani negli Stati Uniti per talune opere del proprio repertorio- è da subito premesso che sono esclusi dall’applicazione delle condizioni di cessazione dei diritti, di cui al titolo in rubrica, i Works Made for Hire.

 

Il § 203, stabilisce, infatti, che l’autore di un’opera (dunque purché non si tratti di opera “su commissione”/made for Hire) che abbia ceduto i propri diritti dopo il 1 gennaio 1978, possa riprendersi i diritti ceduti o licenziati a terzi, solo negli Stati Uniti, decorso il trentacinquesimo anno dal momento del trasferimento degli stessi. Tuttavia i diritti di edizione di gran parte degli editori italiani cui è stata notificata la prossima scadenza degli stessi, sono relativi ad opere musicali da loro realizzate, che furono quindi “commissionate” appositamente per determinate opere filmiche. In tal senso sembra sussistere un pericoloso equivoco nell’interpretazione della disposizione americana, che sembrerebbe inapplicabile verso gli editori italiani, laddove la revocatoria trentacinquennale è inoperante per quei diritti su opere realizzate e commisisonate come parti per un film sui quali vige la deroga relativa ai Works Made for Hire.

 

Gli autori delle colonne sonore che oggi ritengono di potersi avvalere delle disposizioni di cui al § 203 U.S.C., al fine di riappropriarsi negli Stati Uniti dei diritti di edizione allora ceduti, nella maggior parte dei casi sono autori che si erano impegnati contrattualmente per la composizione apposita di musiche originali di commento a film (il virgolettato cita la lettera generale della tipologia di contratti firmati negli anni ’78-’80 per la realizzazione di colonne sonore da film).

 

Le colonne sonore realizzate dagli editori italiani, di norma, sono state anche finanziate e registrate dagli stessi e possono definirsi a tutti gli effetti opere “su commissione”, realizzate come “as a part in a motion picture”, pertanto rientranti ex paragrafo 101 U.S.C. e dunque nelle cd. Made for Hire americane, sui quali, in tutta evidenza, essendo riconosciuto come autore il solo soggetto committente, è da escludere che il compositore possa vantare alcun diritto per ipotesi di futura ri-negoziazione, non potendo pretendere nulla su lavori per i quali la legge americana non lo riconosce nemmeno autore.

 

E’ noto, inoltre che in costanza di contratti tra editori e autori di colonne sonore per opere filmiche, vi è la chiara sottoscrizione, da parte degli autori, ad impegnarsi alla creazione di un’opera originale; seppur libera l’attività creativa che ne deriva, ben marcato resta l’obbligo di consegna al “committente”, quale condizione per il perfezionamento del contratto in essere. I contratti di edizione, secondo consolidata dottrina e giurisprudenza, sono finalizzati alla cessione in proprietà all’editore di tutti i diritti di utilizzazione dell’opera senza limiti temporali o spaziali, poiché l’editore assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione.

 

Il ruolo dell’editore non è dunque, limitato alla mera pubblicazione e utilizzazione dell’opera, ma è quello di gestire i diritti d’autore per lo sfruttamento e la divulgazione dell’opera nell’interesse congiunto proprio e dell’autore. Non è un caso che nel sistema internazionale, quando si tratta di opere realizzate su commissione, la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali è quella indicata dall’art. 6 della Convenzione di Roma, secondo cui la determinazione di quali diritti spettino al committente deve essere fatta solo secondo la legge del Paese ove si è costituito il rapporto (trattandosi di editori italiani, quindi, la legge italiana).

 

Alla luce delle considerazioni sovraesposte è importante far presto chiarezza nell’interpretazione della norma americana, che rischia di comprimere, non di poco, la sfera dei diritti degli editori musicali nazionali, ad oggi e nei prossimi mesi  sempre più esposti alla ricezione degli Avvisi di scadenza del termine di cui al §203 dell’U.S.C (il termine trentacinquennale è iniziato il 1 gennaio 2013, ma si computerà via via per tutte le cessioni stipulate dopo il 1 gennaio 1978).

 

 

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