La crisi è roba da nulla: c’è di più, i robot ti ruberanno il lavoro! E dopo?

di di Federico Pistono |

Italia


Federico Pistono

Federico Pistono, classe 1985, è autore di successo internazionale su tematiche di scienza, tecnologia, comunità virtuali, intelligenza artificiale e cambiamento climatico. Laurea in Informatica presso l’Università degli Studi di Verona, e ha completato il corso online di Stanford su Machine Learning. Nel 2012 si è laureato presso Singularity University, NASA Ames Research Park, Silicon Valley, un programma speciale il cui scopo è risolvere i grandi problemi dell’umanità. Interviene regolarmente in occasione di eventi TEDx, scuole, e simposi in tutto il mondo. L’articolo che segue rilancia i temi del suo ultimo libro “I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così: come sopravvivere al collasso economico ed essere felici“, pubblicato in questi giorni e reperibile presso Feltrinelli e Amazon.

 

 

 

Spesso leggo nelle prime pagine dei giornali italiani che il PIL è in calo, che siamo ancora in recessione, che l’Italia è in crollo. Eppure escono dichiarazioni come quella del governatore di Bankitalia: “La produzione riprenderà entro fine anno. Ma tempi e modalità incerti” et similia. Il tono sembra suggerire che si tratti di una questione temporanea, frutto della crisi mondiale, della mala politica italiana, di uno stato che gambizza le aziende oneste e lascia impuniti gli evasori e i furbetti.

Certamente, se fossimo retti come i norvegesi molti dei problemi tipicamente nostrani non ci sarebbero. Ma se ci fosse un problema sottostante, molto più grave? Se alla base della crisi ci fosse un problema mondiale, strutturale, più profondo delle perversioni finanziarie, delle speculazioni e delle corruzioni, le quali hanno semplicemente esacerbato un problema che già esiste, ma che nessuno ha il coraggio di riconoscere?

La realtà è che state per diventare obsoleti. Credete di essere speciali, unici e insostituibili in tutto ciò che fate; ma vi sbagliate.

Gli informatici hanno elaborato milioni di algoritmi che anche adesso, mentre parliamo, “girano” su server sparsi in tutto il mondo, con un solo scopo: fare tutto ciò che gli umani sono in grado di fare, ma meglio. Questi algoritmi sono programmi “intelligenti”, che stanno permeando il substrato della nostra società. Sono in grado di prendere decisioni finanziarie, prevedere il meteo, ipotizzare quali Paesi dichiareranno guerra. Presto ci resterà poco da fare: le macchine prenderanno il sopravvento.

Suona come una fantasia futuristica? Forse lo è: la comunità di pensatori, scienziati e accademici che vedono nell’avanzamento della tecnologia una forza dirompente, in grado di trasformare di qui a poco, e per sempre, il nostro intero sistema socio-economico, sta crescendo ma è ancora ristretta. Secondo loro, nel corso dei prossimi decenni lo spostamento dei carichi di lavoro verso le macchine e le intelligenze artificiali crescerà drasticamente. Tali cambiamenti saranno così radicali e veloci che il mercato non riuscirà a rispondere con nuove opportunità per chi ha perso il lavoro, rendendo la disoccupazione non solo una fase del ciclo, ma strutturale e cronicamente irreversibile. Sarà la fine del lavoro come lo conosciamo.

La maggioranza degli economisti scarta queste argomentazioni. Molti di loro neppure affrontano la questione. E quelli che la affrontano dichiarano che il mercato trova sempre una via di uscita. Se le macchine sostituiscono i vecchi lavori, quindi, si creano nuovi lavori. Grazie all’inventiva della mente umana, e al bisogno di crescita, il mercato capisce sempre come rispondere alle sfide, specialmente nel mercato di massa, sempre interconnesso e globalizzato, in cui viviamo oggi.

Eppure non credo che si debba affrontare il problema basandoci sulle nostre convinzioni, intuizioni, o sul nostro istinto. Piuttosto, usiamo la logica e la ragione basandoci sull’evidenza che abbiamo acquisito finora.

Considerate questo: l’espansione esponenziale della tecnologia è cresciuta in modo straordinariamente regolare per lungo tempo. E non mi riferisco alla famosa legge di Moore, la quale afferma che il numero dei transistor all’interno di un circuito integrato raddoppia circa ogni due anni. I circuiti integrati sono solo una minuscola frazione dell’intero spettro di cambiamento che pervade il progresso tecnologico.

Kurzweil rileva che la legge di Moore non è il primo, ma piuttosto il quinto paradigma a fornire un miglioramento vertiginoso del rapporto prezzo-prestazioni. I dispositivi di calcolo si sono costantemente moltiplicati in potenza (per unità di tempo): dai dispositivi di calcolo meccanici usati nel censimento degli Stati Uniti nel 1890, al dispositivo “Robinson” di Turing, basato su relais, che riuscì a craccare il codice nazista Enigma, al computer a valvola della CBS che riuscì a predire l’elezione di Eisenhower, alle macchine ai transistor utilizzate nei primi lanci nello spazio, al PC a circuito integrato con il quale Kurzweil nel 2001 dettò lo stesso saggio che descriveva questo fenomeno.

Per avere un’idea di cosa significa crescita esponenziale, date uno sguardo a questo grafico, che rappresenta la differenza tra una tendenza lineare ed una esponenziale.

 

 

Una curva che schizza fuori da un grafico normale si presenta come una linea retta in un grafico logaritmico. Ora capite perché si utilizzano i logaritmi quando si parla di esponenziali: semplicemente non c’è abbastanza spazio per mostrare la curva.

Il secondo grafico, nella parte inferiore, rappresenta la crescita dell’elaborazione dati avvenuta negli ultimi 110 anni, in un diagramma logaritmico.

 

Non è una linea retta. È un’altra curva esponenziale. In altre parole, c’è una crescita esponenziale nel tasso della crescita esponenziale. È un’accelerazione veramente rapida.

La velocità dei computer (per unità di costo) è raddoppiata ogni tre anni tra il 1910 e il 1950, ogni due anni tra il 1950 e il 1966, e ora duplica ogni anno. La potenza del computer non sta semplicemente crescendo, sta crescendo sempre più rapidamente.

Oggi si possono già vedere le conseguenze di questo fatto, con la tecnologia che progredisce ad un ritmo senza precedenti. I computer costavano centinaia di milioni di dollari, richiedevano enormi stanze per lo stoccaggio, il raffreddamento, la manutenzione, e molta energia. Ora si possono facilmente mettere in tasca. Sono migliaia di volte più potenti e milioni di volte meno costosi. Si tratta di un aumento di un miliardo di volte in soli trent’anni. Con l’andare del progresso, i cambiamenti saranno così rapidi che difficilmente riusciremo a stare al passo. Le cose cambieranno radicalmente nel giro di pochi mesi. O settimane. I lunghi sogni attesi dalla fantascienza stanno diventando realtà.

Abbiamo già automobili autonome che guidano per centinaia di migliaia di chilometri senza problemi e senza intervento umano. Sono perfettamente sicure, superano persino le prestazioni dei guidatori più esperti e, al contrario di noi, possono solo migliorare.

Abbiamo poi gruppi coordinati di robot autonomi che possono fare il lavoro dei muratori, costruendo torri alte sei metri senza alcun intervento da parte dell’uomo.

Ci sono poi modi nuovi e più intelligenti di costruire case. In Italia e nella maggior parte dei paesi occidentali occorrono normalmente tra le sei settimane e i sei mesi per costruire una casa di due piani da 300 metri quadri, soprattutto perché il lavoro va svolto da decine di esseri umani. Ma una nuova opportunità potrebbe cambiare tutto. È possibile che entro questo decennio la Contour Crafting (una sorta di produzione additiva edile automatica a larga scala) diventi così avanzata da permetterci di caricare le specifiche di progettazione in un robot enorme, per poi premere “stampa” e starlo a guardare mentre tira fuori una casa in cemento in meno di un giorno. Senza bisogno di umani, a parte pochi supervisori e progettisti.

Pensate che tutto questo sia impossibile? Ripensateci.

La stampa in 3D è già un’industria da miliardi di euro. Sta crescendo esponenzialmente e rivoluzionerà per sempre il modo di pensare alla produzione industriale. Siamo in grado di stampare un oggetto fisico, sia come individui che come parte di piccoli centri di ricerca. Non si tratta solamente di giochi, strumenti e piccoli oggetti per la casa, ma anche protesi, denti e addirittura organi umani. Le cose diventano migliori, più affidabili, meno costose, più adattabili, più personalizzate. E, cosa più importante, facilmente condivisibili, in un mercato virtuale come iTunes, Amazon e Android, o pefino gratis. Legalmente. O no. In entrambi i casi, una volta che l’informazione è là fuori non la si può fermare. Una volta che la tecnologia diventa disponibile, non è possibile dis-inventarla. Scappa dal nostro controllo.

Questo dove ci porta? So che alcuni tecno-scettici tra voi penseranno che l’intera faccenda sia una moda e che ci sarà ben poco cambiamento. Dall’altra parte, so che molti tecno-entusuasti vedono in tutto ciò la liberazione da questa mentalità ottocentesca a cui restiamo aggrappati, e ci proietterà all’interno di un futuro di abbondanza, meraviglia ed esplorazione simile a quello di Star Trek. Ma prima c’è un preciso problema reale che dev’essere affrontato in questo momento. Non tra 10 anni, non tra 100 anni: adesso.

 

I dati che seguono sono stati presi dal Bureau Labor of Statistics statunitense nel 2011. Vi dico subito che in Italia non siamo messi meglio, anzi.

Date un’occhiata approfondita a questa tabella. E poi rispondete a questa domanda: quanti posti di lavoro sono stati creati, negli ultimi 50 anni? Ci sono sette principali occupazioni elencate sopra, che costituiscono il 43.88% della forza lavoro degli Stati Uniti. Quanti nuovi tipi di lavori sono stati introdotti per mezzo del progresso tecnologico? Nemmeno uno.

La realtà è che i nuovi lavori prodotti dalla tecnologia impiegano una minuscola frazione di persone, e tendono a scomparire poco dopo essere stati creati. Richiedono un elevato livello di educazione, flessibilità ed imprenditorialità. La maggior parte della popolazione non è stata formata così. In realtà, il nostro intero sistema educativo è stato ideato solo dopo la rivoluzione industriale con l’idea di creare operai. Adatti a lavori manuali, ripetitivi.

Perciò, mi faccio una semplice domanda:

Cosa faranno milioni di lavoratori non qualificati di mezzaetà, quando saranno soppiantati dalla tecnologia?

Ho trattato la questione con economisti, imprenditori, futuristi e non uno è stato capace di darmi una risposta convincente. Semplicemente, la tecnologia è progredita troppo velocemente per far apprendere le nuove professioni a chi ha perso recentemente il lavoro. In passato, abbiamo visto l’automazione tagliare la forza lavoro, ma tutti i lavoratori non qualificati gravitavano verso posti come i centri commerciali per trovare facilmente un’occupazione (anche se non molto soddisfacente). Adesso, se una grande catena automatizza, la concorrenza dovrà fare lo stesso per rimanere a galla nel mercato. Non ci sarebbe alcun ritorno per il settore commerciale. È un processo irreversibile, i lavori sostituiti non torneranno.

Lo stesso accadrà per milioni di autisti, operai edili e molti altri. Ma una volta tolti questi lavori dal mercato, cosa farà la gente? Finora, nessuno è stato in grado di rispondere a questa domanda. La ragione, credo, è che non c’è una risposta. Non in questo sistema, non nel modo in cui è progettato per funzionare. La scomparsa del lavoro manuale rotolerà come una valanga su ogni cosa. Con la disoccupazione al 30% o 40%, l’economia collasserà.

Senza un piano di sostegno per adattarsi ad un nuovo modello bisogna aspettarsi il peggio. Senza una preparazione adeguata a questa grandi stravolgimenti possiamo aspettarci disordini civili, rivolte, brutalità da parte della polizia, angosce generali della popolazione, che continueranno a crescere fino a raggiungere livelli critici; e a quel punto l’intero sistema socio-economico crollerà su se stesso. Questo avrà ripercussioni negative sull’intera popolazione, ed è contro l’interesse di ogni persona di questo pianeta, anche dell’uomo più facoltoso o del popolo più ricco.

Credo che se vogliamo risolvere questo difficile problema del nostro tempo dovremo mettere in discussione il nostro intero sistema economico sociale. Mettere in discussione le nostre vite, i nostri ruoli, le nostre decisioni, le nostre priorità e le nostre motivazioni. È tempo di un esempio dimostrativo di cambiamento che rivoluzionerà radicalmente il nostro sistema sociale.

Abbiamo mai considerato la possibilità che trovare impieghi sostitutivi, non importa quali, potrebbe essere la scelta sbagliata? Ci siamo fermati a domandarci se gli unici sistemi economici possibili siano quello capitalista e quello socialista, mentre tutto il resto si trova in mezzo? Abbiamo mai concepito, anche solo per un istante, che forse il bisogno di crescita costante non sia solo ecologicamente insostenibile, ma diminuisca anche la qualità delle nostre vite?

Troppo spesso trattiamo le cose come soggetti separati, non realizzando la natura interconnessa della nostra realtà, e questo errore ci ha resi deboli e vulnerabili. Negli ultimi 70 anni, abbiamo posto le basi della nostra stessa rovina, siamo diventati sempre più infelici, la qualità delle nostre relazioni è precipitata e abbiamo perso la prospettiva di ciò che realmente conta. Oggi tutto è incredibile, e nessuno è felice. È ora di fare un passo indietro e pensare a dove stiamo andando.

Cominciamo questo viaggio.