La classifica

Networked city index 2016: Roma nella Top 20, ma la città reale soffre di una paralisi digitale

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Roma al 19° posto del Networked Society City Index 2016 di Ericsson, ma qualcosa non torna. C’è la nuova sindaca Virginia Raggi, tante le cose da fare, ma serve più attenzione allo sviluppo sostenibile, alle infrastrutture innovative, all’ICT leva per la crescita e al miglioramento delle competenze digitali

È stata appena pubblicata l’edizione 2016 del Networked Society City Index di Ericsson. Dando un’occhiata alla classifica colpisce la presenza di Roma nella Top 20, alla posizione 19 per l’esattezza. Da una parte fa piacere vedere la Capitale d’Italia tra le grandi metropoli del mondo, ma dall’altra ci si chiede come sia possibile, vista la situazione complessa e complicata in cui versa la città.

Stoccolma, Londra e Singapore occupano il podio del ranking mondiale, seguite dalle solite Parigi, Copenhagen, Helsinki, New York, Oslo, Tokyo e Seoul. Città non certo perfette, con i loro mille problemi, ma che possono vantare punte di eccellenza in diversi settori economici, tra cui l’ICT.

Lo studio crea una lista di 41 città di tutto il mondo, selezionate in base della densità di popolazione e alla distribuzione geografica, elaborando dati relativi allo sviluppo urbano sostenibile e all’innovazione apportata dall’impiego crescente delle soluzioni Information and Communication Technologies. Nello specifico, il documento premia quelle città che hanno rilevato una positiva correlazione tra crescita economica e sociale dovuta alla promozione, la diffusione e l’efficacia delle tecnologie ICT anche in termini di riduzione dell’impatto ambientale delle attività economiche e produttive.

In più, la lista Ericsson prende in considerazione quelle città che hanno dimostrato di essere in linea con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sdg) definiti dalle Nazioni Unite, da raggiungere entro il 2030. Tra questi: lo sviluppo sostenibile, la riduzione del consumo di risorse naturali e l’ottimizzazione di quelle energetiche, ricorso alle rinnovabili, riduzione della povertà e di ogni forma di discriminazione e incremento dell’inclusione sociale, ma soprattutto, per quel che qui ci interessa, investimenti crescenti in infrastrutture in grado di favorire l’innovazione.

Ora, se è vero che il settore dell’ICT, in un momento di crisi economica come questo, può garantire spazi di investimento e di occupazione che le politiche pubbliche del lavoro e della formazione professionale non possono sottovalutare per l’importanza che esso riveste nell’economia urbana, è anche vero che la Capitale d’Italia manca ancora di infrastrutture adeguate, di una governance dell’innovazione, di linee guida chiare sull’utilizzo dei fondi, di un’Agenda urbana digitale, di progetti smart city al livello delle altre Capitali (almeno) europee.

A Roma nel 2012 erano 80 mila gli occupati nelle imprese ICT, secondo i dati dell’Osservatorio cittadino sul lavoro, su un totale nazionale di 458 mila lavoratori del settore. L’app economy in Europa, dal 2008 a oggi, ha creato 1,6 milioni posti di lavoro, quasi quanto negli Usa, ha detto in un’intervista a La Repubblica, qualche giorno fa, l’economista americano Michael Mandel. In Italia sono 97 mila gli impiegati in tale settore, ma l’incidenza sul totale degli occupati è tra le più basse del continente.

Da lunedì 20 giugno, Roma è guidata da una sindaca del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi. Proprio qualche giorno prima, Fulvio Sarzana, avvocato e candidato a consigliere per l’M5S a Roma, esperto di nuove tecnologie e nuovi diritti, aveva elencato una serie di vulnerabilità romane che stridono con questo 19° posto nella Networked Society City Index 2016 di Ericsson.

Secondo Sarzana, infatti, Mafia Capitale e altre degenerazioni culturali, sociali ed economiche della città, sono frutto, in parte, proprio dell’inadeguatezza e delle mancanze dell’ICT territoriale: “Roma e le sue partecipate, sarebbe contraddistinta da migliaia di data center e decine di migliaia di centrali di spesa, tutte accompagnate da procedimenti sconnessi, frammentati e individualistici. È facile capire la vulnerabilità di un sistema preda di interessi ambigui”.

Più una città è digitalizzata e più probabilità ci sono che sia trasparente, equa e democratica”, tutte virtù di cui Roma, al momento, soffre tanto la mancanza. Mancano le competenze, il livello medio di retribuzione è più basso che nel resto d’Europa, i canali di accesso agli impieghi sono poco trasparenti (network personale-professionale), il rapporto tra aziende ICT e scuola è scarso, eccezion fatta per quello con le università, mentre la sostenibilità ambientale è messa in seria discussione a partire dalla cattiva gestione dei rifiuti e dai crescenti livelli di inquinamento urbano (senza contare l’assenza totale di politiche di resilienza urbana per far fronte ai fenomeni atmosferici estremi).

Certo, c’è la famosa “Tiburtina Valley” e un incremento di startup innovative del 50% nei primi mesi del 2016 rispetto all’anno passato, ma a mancare è un tessuto di crescita omogeneo, una reale occasione di occupazione e sviluppo più inclusiva, la nascita di un mercato locale, un livello di competitività a livello internazionale più elevato e la possibilità per i cittadini di percepire il cambiamento.