L'analisi

Net Neutrality. Strand Consult: ‘Stesse regole per tutti o si rischia l’apartheid digitale’

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Creare un regime in cui solo le telco debbano aderire a determinate regole ma nel quale i vari Google, Facebook o Apple siano lasciati liberi di implementare pratiche di gestione del traffico non neutrali prefigura la creazione di un apartheid digitale.

Il tema della net neutrality è molto dibattuto, ma troppo spesso affrontato con un approccio quasi ‘religioso’ dalle parti in causa. Molte persone, però, pur avendo un interesse diretto nella questione, non hanno ben chiara la posta in gioco e avanzano a sostegno delle loro tesi argomentazioni emotive e apparentemente inviolabili, spingendo una parte contro o sopra l’altra invece di promuovere un dialogo che coinvolga tutti.

Partendo da questo assunto, Strand Consult ha cercato di dipanare la matassa esaminando la questione e il dibattito in diversi paesi. Un lavoro confluito nel rapporto ‘Understanding Net Neutrality and Stakeholders’ Arguments’, in cui, tra le altre cose, si invita a guardare con attenzione al modus operandi della Norvegia, che ha optato per un approccio ‘soft’ alla questione.

In Norvegia, spiegano gli analisti, “tutte le parti in causa – internet service provider, fornitori di contenuti, sviluppatori di applicazioni, consumatori e governo sono parte attiva di un dialogo volto a cercare soluzioni win-win. E, cosa ancor più importante, la Norvegia ha scelto un modello che cerca di costruire consenso tra gli attori nazionali che contribuiscono finanziariamente alla società norvegese”. Società telefoniche e radioTv pubbliche in primis.

Nel rapporto ‘Understanding Net Neutrality and Stakeholders’ Arguments’, il tema della Net Neutrality viene analizzato non solo dal punto di vista economico e politico, ma anche da quello dei diritti umani.

Strand Consult evidenzia il suo sostegno a regole che impediscano la discriminazione, purché si applichino a tutti gli attori del mercato: “Creare un regime in cui solo le telco debbano aderire a determinate regole ma nel quale i fornitori di contenuti come Google, Facebook o Apple siano lasciati liberi di implementare pratiche di gestione del traffico non neutrali fa sì che ci sia una disparità di trattamento tale da prefigurare la creazione di un apartheid digitale”.

 

L’‘errore’ che spesso si insinua nel dibattito sulla net neutrality, risiede infatti nella convinzione che motori di ricerca, social network, sistemi operativi, dispositivi mobili siano ‘neutrali’: “per dirla in parole povere, la discriminazione ha molte facce. Per avere una vera neutralità, le regole dovrebbero essere applicate a tutta la catena di valore e non solo agli ISP”, come viene spiegato meglio in questa nota.

E’ inutile sottolineare che gli utenti devono essere liberi di accedere a qualsiasi sito vogliano, ma è anche giusto riconoscere che per come stanno ora le cose, i servizi che contribuiscono meno in termini finanziari sono quelli che riescono a trarne i maggiori vantaggi. “In pratica – concludono gli analisti – gli sforzi per realizzare le reti di nuova generazione, specialmente quelle finanziate dai governi con fondi pubblici (soldi dei cittadini quindi), altro non sono che un ulteriore contributo alle aziende internet Usa”.

La migliore opzione per l’industria, i consumatori e l’innovazione prosegue il rapporto, sarebbe quella di applicare lo stesso regime antitrust a tutti i servizi, le applicazioni, i contenuti, i processi, i dispositivi e i modelli di business legati a internet. In questo modo, le preoccupazioni sollevate dai sostenitori della net neutrality potrebbero essere risolte facendo ricorso al diritto antitrust utilizzato con successo nei confronti delle web company. “Non c’è ragione perché lo stesso quadro non possa funzionare per gli operatori tlc”, concludono gli analisti.