Data protection

Ma il mostro è solo Tik Tok? Niente big data fino a 16 anni

di |

Auspicabile una disposizione erga omnes e non solo diretta ad una specifica piattaforma, per imporre a tutti i service provider di attenersi alle norme che saranno definite in ambito europeo.

E’ inevitabile, in un giardino dei mostri, quale sono diventati i social, chiedersi per quale ragione le authority, nel nostro caso il Garante della Privacy, abbia trovato improvvisamente determinazione e ritmo nell’intervenire contro il social dei giovanissimi. Mentre in altre occasioni, non ultimo il maldestro tentativo di Facebook di combinare i dati dei propri utenti con quelli di Whatsapp non abbia meritato, almeno come ammonimento morale, uno sguardo dallo stesso ufficio.

Ragazzini coinvolti

Gli episodi drammatici che hanno coinvolto dei ragazzini, poco più che bambini, devono farci interrogare in profondità. Non basta una semplice e facile condanna del principale indiziato. Intanto perché ancora non si ha la vera ricostruzione del cosi detto blackout challenge, il gioco mortale che ha portato all’asfissia della piccola di Palermo. Sulla piattaforma considerata responsabile non si trova traccia di quell’esperienza, né precedenti. Ci sono vaghe testimonianze.

Under 13 facile aggirare il divieto

Rimane comunque il fatto, indiscutibile, che larghe schiere di minori, sotto i 13 anni, hanno pratica quotidiana su Tik Tok, nonostante che i responsabili del sistema avessero dato garanzie di un controllo efficace.  Devono comunque risponderne. Ma solo loro? L’intervista con cui Guido Scorza, componente dell’ufficio del garante della Privacy, sulla Repubblica di domenica 24 gennaio, argomenta  il provvedimento dell’authority che ha  ingiunto appunto a Tik Tok di accertare l’età dei suoi utenti per rendere esecutiva l’interdizione a coloro che hanno meno di 13 anni, al momento per altro  non adottata dalla piattaforma, non chiarisce i termini dell’intervento. Certo Tik Tok, al di là della eventuale specifica responsabilità nel caso in questione ancora da accertare, è comunque responsabile di mancata vigilanza per la presenza di minori sul social.

E gli altri social?

Ma questa non può essere una responsabilità da addebitare solo a Tik Tok: L’avvocato Scorza che conosce bene il mercato social per aver assistito in passato alcuni grandi gruppi del settore, precisa che un intervento simile sarebbe stato adottato anche nei confronti di marchi più potenti, come ad esempio Facebook, o Twitter. Ma così al momento non è stato. Nemmeno quando siamo stati in presenza di violazioni palesi, come nel caso che abbiamo citato del tentativo di rovesciare gli impegni presi da Zuckerberg al momento dell’acquisto di Whatsapp di non combinare i dati della piattaforma rilevata con quelli di Facebook.

Immuni

Oppure per quanto riguarda la gestione dei dati sulla pandemia, in cui è emersa una palese discrepanza fra il regime imposto proprio da Google e Apple all’app nazionale Immuni nella gestione dei dati, che non devono avvalersi della georeferenziazione, e quello che proprio i due titolari del monopolio nei sistemi operativi del mobile adottano quotidianamente.

Revenge porn

Per non parlare poi degli episodi di revenge porn che hanno causato vittime e sofferenze palesi. A questo punto, proprio in nome delle vittime e delle sofferenze che si stanno producendo sarebbe indispensabile intervenire organicamente nel settore. Intanto con una disposizione erga omnes e non solo diretta ad una specifica piattaforma, imporre a tutti i service provider di attenersi alle norme che saranno definite in ambito europeo con i due provvedimenti in gestazione e annunciati dalla commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, che proprio sui dati contesta la gestione esclusiva da parte dei proprietari.

Parental control

Poi definire norme aggiuntive, in termini di sicurezza e tutela di figure deboli, come sono i minori, costringendo la potenza di profilazione utilizzata dalle piattaforma a riconoscere e inibire le classi inferiori al limite fissato di 13 anni. Terzo sarebbe indispensabile costringere le stesse piattaforme, anche per figure che vanno dai 13 ai 16 anni almeno ad abilitare controlli a distanza, una specie di parental control, che invii ai genitori notifiche sulle navigazioni pericolose dei giovani utenti.  

Vietare profilazione minori

In ultimo ma non per ultimo, bisogna inibire alle stesse piattaforme di profilare i minori  come si fa invece spietatamente per  i maggiorenni. La vera causa della fragilità e vulnerabilità dei teen ager è proprio quella di essere bersaglio di azioni di marketing e reclutamento da parte di soggetti che riescono ad acquisire a vario titolo i dati sulla psicologia, il linguaggio e le emotività di questi ragazzini. Bisogna intervenire con un regime di tutela: niente big data fino a 16 anni. Una scelta di civiltà, che richiama quella norma di tutela dalla pubblicità  per le fasce adolescenziali, che anche allora fu contestata e disattesa dai gruppi televisivi privati. Ora le piattaforme hanno un potere mille volte più intrigante e pervasivo: vogliamo questa volta essere seri e determinati? E soprattutto non prendercela solo con chi lobbisticamente conta meno nel nostro paese?