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L’industria punta sui robot per la fase post Covid-19, ma per difendere i posti di lavoro servono le competenze

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La robotica è entrata a pieno titolo nel novero delle tecnologie emergenti della trasformazione digitale. Ovviamente non è un argomento nuovo, ma forse è la prima volta che i robot trovano una collocazione definitiva nella storia dell’industrializzazione globale.

Il robot non è quello di “Metropolis” di Fritz Lang, non è quello dei manga giapponesi, ma un complesso articolato di tecnologie avanzate, da un semplice braccio meccanico ai software bot, applicabili a numerosi contesti.

Oggi, i robot industriali attivati nel mondo hanno raggiunto le 2,4 milioni di unità, con un aumento pari al +65% (periodo di riferimento 2013-2018), secondo quando riportato in una nuova indagine dell’IFR.

Entro la fine del 2020 le installazioni di robot industriasli dovrebbero superare le 3 milioni di unità.

Tra il 2020 ed il 2022 sono invece attese ulteriori 2 milioni di nuove installazioni di robot industriali, ad un ritmo di mezzo milione circa ogni anno (a partire dal 2019.

Nello stesso periodo di tempo, l’industria automobilistica globale ad alto tasso di utilizzo di robot ha visto aumentare il numero di nuovi posti di lavoro creati in seguito all’introduzione dell’automazione, che secondo la federazione sono cresciuti del +22%, passando da 824.400 a oltre un milione.

Robot per tornare a crescere

L’impiego della robotica intensiva negli impianti produttivi non ha mai convinto del tutto il mondo dei lavoratori. Da molti l’introduzione massiccia di robot sul lavoro è stata vista come un campanello di allarme per i livelli occupazionali.

Un recente studio del MIT ha calcolato che per ogni robot introdotto in un impianto produttivo si perdono 3,3 posti di lavoro.

L’equazione “più robot=più disoccupati” non è però da tutti condivisa. Lo studio proposto dalla International Federation of Robotics (IFR) ha ribadito al contrario, che solo un impiego maggiore di macchine e automazione negli impianti produttivi di tutto il mondo potrà aiutare le economie locali e i mercati globali a ripartire nella fase post Covid-19.

Aumentando la produttività e la competitività di un’impresa, ha spiegato in una nota Milton Guerry, il Presidente dell’IFR, per forza di cose cresceranno anche i nuovi posti di lavoro. Per far lavorare al meglio le macchine, servono personale specializzato, nuove figure lavorative con competenze più elevate.

Formazione per difendere il lavoro

Oggi, le aziende che hanno innovato a livello tecnologico e che impiegano le tecnologie della trasformazione digitale sono in grado di misurare un aumento della produttività anche 10 volte maggiore rispetto alle altre.

Alla base di questo cambiamento dei livelli di produttività industriale ci sono non solo le macchine, ma anche i lavoratori. Servono nuove competenze digitali e ICT per muoversi assieme ai robot. La versa sfida del futuro è far lavorare fianco a fianco e in piena sicurezza uomini e macchine.

Per far questo, hanno suggerito i ricercatori dell’IFR, serve una collaborazione più stretta tra Governo, industrie, centri di ricerca e sistemi educativi nazionali. Servono nuove partnership pubblico-private per investire di più nell’istruzione e nella formazione professionale, che mettano al centro le persone, le competenze e le abilità nuove, adeguate alla digital transformation.

La rinascita economica post Covid-19 passa quindi per l’innovazione tecnologica da un lato e dalla formazione professionale dall’altro, ma anche dalla capacità delle imprese di trovare nuovi canali per arrivare ai mercati e modelli di business, a partire dalla diversificazione della supply chain.

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