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Libertà nel mondo digitale, verso un modello as-a-service?

All’interno del mondo sempre più interconnesso e digitalizzato, c’è una deriva verso un modello di libertà as-a-service. I diritti assumono nuove vesti e diventano sempre più oggetto di concessione, potenziati da automatismi a presidiarne i margini di riconoscimento e finanche di applicazione. Ma la tecnologia deve essere al servizio dell’uomo, pertanto come restituire all’individuo il controllo sul proprio Io?

Libertà digitali o digitalizzazione delle libertà?

È il 3 agosto 2032, durante un’udienza preliminare per il suo rilascio, un criminale riesce a fuggire dal crio penitenziario dove è stato conservato per trent’anni. La sua rocambolesca fuga, tuttavia, lo lascia spiazzato: si trova, pur nella stessa città, all’interno di una società del tutto diversa. Non esiste la violenza; l’alcol, la caffeina, il cioccolato o la carne sono illegali. E’ una società all’interno della quale ogni funzione umana ritenuta violenta o in disaccordo con il “bene pubblico” viene scoraggiata e vietata; dove la popolazione viene infantilizzata e deresponsabilizzata perché è lo Stato a indirizzare “l’azione umana.” Fino a ieri questa era solo la trama di un film ma non siamo poi così sicuri che, negli anni a venire, rimanga tale.

La libertà connaturate all’uomo – in quanto essere umano – sono pacificamente riconosciute all’interno dei moderni ordinamenti e le norme di rango costituzionale ne declinano le modalità di attuazione, quali ad esempio: l’esistenza, il pensiero, l’espressione o le relazioni. Tali diritti sono inalienabili e incoartabili, se non in forza di legge. Tuttavia la trasformazione digitale, mutando radicalmente sentimenti, rapporti, società e financo la rappresentazione del soggetto, ha prodotto nuove forme di esercizio del diritto e dei diritti, attraverso sistemi informatici e tecnologie, che hanno modellato l’idea dell’altruità di talune libertà: esse cioè non risultano più proprie dell’individuo ma concesse da una sorta di Giano Bifronte digitale che, da una parte, mostra il volto di uno Stato Tecnocratico, basato sulla computazione e il ragionamento binario tipico delle macchine e dove tutti i cittadini sono considerati ingranaggi docili della macchina stessa; dall’altra mostra il volto di una Big tech, affamata di dati, che fagocita diritti e benevolmente li concede, previa la sottoscrizione di immodificabili Termini d’uso. E l’homo digitalis, ubriaco e mai sazio di servizi gratuiti, come in un moderno baccanale, sottostà lietamente, non accorgendosi del giogo che va stringendosi sempre più.

Stati sovrani e Big Tech assecondano così il contesto che si va a delineare adottando un approccio che allontana l’idea dei diritti naturali coccolandoli invece all’interno di scenari e contesti in cui c’è un processo di deformazione nella sostanza e nelle tutele. Si realizza ad esempio come principale conseguenza una compressione dei diritti graduale, sistematica e spesso in assenza di soccorso di alcuna giustificazione o pretesa di motivazione. Se le narrazioni dominanti giustificano difatti il mondo che è facendolo assumere come l’unico – o il migliore – possibile, un approccio di tipo take-it or leave-it costringe la minoranza dissenziente rispetto al tecnoentusiasmo ad un bivio: abbracciare le sorti dell’auto esclusione o altrimenti rassegnarsi alle pretese necessità d’impiego.

Tuttavia, se le libertà godono di tutele e riconoscimenti di rango costituzionale, come è possibile che le loro metamorfosi attraverso il diaframma del digitale ne possano degradare il valore fino al punto di sottometterle o regolarle attraverso logiche di Termini e condizioni? Eppure, molti fra i diritti individuali e collettivi ritenuti inviolabili subiscono una lenta ma progressiva opera di svilimento sin dal momento in cui trovano espressione mediante l’Io digitale e gli ecosistemi in cui opera.

La volontà del cittadino digitale

Fino a che punto si può infatti parlare di adesione volontaria all’interno di un sistema che è naturalmente caratterizzato da asimmetrie informative e squilibri di potere se non si applicano dei correttivi? Volendo guardare all’iconica tutela del consenso nell’ambito della protezione dei dati personali si incontra l’esigenza di una sua determinazione libera, informata, specifica come condizioni di validità.

Eppure, non sempre queste garanzie vengono rispettate. Condizionamenti ingegnerizzati quali il nudging o l’effetto framing, ad esempio, possono trovare una facile attuazione per mezzo di automatismi su larga scala o provenienti da soggetti con una tale predominanza da compromettere così ogni possibilità per una libera formazione di volontà da parte dell’individuo e orientarlo nelle scelte. Tracciare il margine di ciò che è lecito nelle operazioni di convincimento diventa pertanto determinate per valutare la validità o meno del consenso acquisito e prevenire così l’impatto negativo derivante da ogni attività che può essere realizzata su tale base. Non solo: è opportuno ricordare anche che il consenso di per sé non giustifica attività sproporzionate o eccessive sia da parte di soggetti pubblici che privati. E dunque, la “partecipazione volontaria” non può essere invocata per rendere accettabile qualsivoglia utilizzo dei dati in nome del perseguimento efficace degli obiettivi dichiarati.

Il limite dell’assenza di pregiudizio, in caso di mancata prestazione o revoca del consenso, può essere infatti valutato solo a fronte di un un’attenta analisi giuridica che tenga conto del contesto e dei diritti che possono potenzialmente diventare oggetto di compromissione. La diminuita capacità di scelta, in seguito all’adesione di un servizio, può ben fondare la contestazione dell’elemento di libertà nella revoca. Tale elemento è già noto all’Antitrust europeo con lo strumento dello Ssnip (Small but significant and non-transitory increase in price) ed è impiegato per analizzare la sussistenza di una posizione dominante anche in relazione a servizi digitali offerti gratuitamente, dal momento che evidenzia il vincolo per il consumatore verso un determinato ecosistema e la compromissione dell’effettiva libertà di scelta.

Nel momento in cui si è portati a dover accettare determinati termini di servizio o dover partecipare a determinate iniziative pubbliche, il condizionamento deriva naturalmente dalla posizione di maggiore forza di chi propone e la vulnerabilità del soggetto ricevente che è tipicamente debole. Ma se al ruolo di utente si preferisce invece quello di cittadino digitale, caratterizzato da un diritto ad una concreta partecipazione e non alla mera adesione, certamente lo scenario muta. Ovviamente tale ruolo può svolgersi solo previa educazione e capacità d’uso degli strumenti, nonché consapevolezza del sistema all’interno del quale il soggetto può agire o scegliere di non agire.

Garantire una trasparenza informativa è un’ulteriore condizione necessaria ma non sufficiente per formare e mantenere un consenso valido, ma la riparazione delle asimmetrie informative deve avere il carattere di effettività ed essere valutata in concreto. Così, la scelta in ordine alla prestazione di un consenso non può dirsi informata se il soggetto non è in grado di rappresentarsi i rischi derivanti non tanto dal rifiuto – evenienza spesso ben rappresentata e dettagliata in quanto valevole ad orientare verso una presunta adesione volontaria – bensì dall’accettazione e dalle conseguenze del conferimento dei propri dati personali, la loro elaborazione o trasferimento.

Una realtà modellabile

La modellazione del mondo digitale che è o che altrimenti dovrà essere in assenza dell’integrazione di tutele riguardanti diritti e delle libertà fondamentali non può portare ad altro esito all’infuori della costruzione di una prigione dorata. Ampia ed apparentemente sconfinata come internet. Opulenta come il web. Eppure, sempre una prigione.

La realtà digitale diventa sempre più integrata e accessibile e, accanto a incredibili vantaggi, presenta estremi pericoli. Allo stato dell’arte, l’utente che voglia completamente proteggere i propri diritti, le proprie libertà e, financo, la propria sanità mentale, troverebbe la soluzione finale nella disconnessione.  Nell’ambito dei diritti di libertà della rete, a parere di chi scrive, dovrebbe essere sancito sia il diritto a non essere connessi sia quello a non possedere uno smartphone e, conseguentemente, questi diritti dovrebbero garantire una non esclusione dalla società. Una società fondata sui bisogni dei cittadini, infatti, non può e non deve essere guidata esclusivamente da servizi accessibili tramite dispositivi elettronici poiché ciò appiattirebbe le diversità ed escluderebbe fasce di popolazione già fragili. Sarebbe necessario, inoltre, lavorare sulla cultura della digitalizzazione, a tutti i livelli, per creare cittadini informati e tecnologicamente consapevoli.

Tuttavia, forse, la consapevolezza non gioverebbe a coloro che preferiscono utenti dormienti che accettano le proprie condizioni d’uso senza interrogarsi sul loro contenuto.

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