l'analisi

L’evoluzione dell’audiovisivo: tra streaming, modelli di business ed emergenza sanitaria

di Ernesto Apa e Donata Cordone, Portolano Cavallo |

È innegabile che il mercato non sia più lo stesso da quando esistono i servizi di video on demand (VoD), perché si tratta di una modalità di fruizione completamente diversa da quella a cui eravamo abituati fino a pochi anni fa.

La pandemia e il settore dell’audiovisivo

Torna a casa in tutta fretta, c’è il biscione che ti aspetta!”: all’alba degli anni ’80 questo fortunato slogan ha segnato l’inizio dell’ascesa della TV commerciale in Italia. Come quasi sempre accade, dietro il successo dei nuovi media c’è più di un claim pubblicitario centrato: piuttosto, occorre guardare ai fenomeni sociali che sono all’origine dei bisogni intercettati dalla pubblicità. Ad esempio, quello slogan era perfetto per un momento storico in cui, tra crisi energetica e paura per gli attentati terroristici, si usciva di meno e si trascorreva gran parte del tempo libero in casa.

Quarant’anni dopo siamo tornati a rintanarci in casa, questa volta per sfuggire al rischio di contagio. Non è difficile scorgere delle somiglianze, in termini di impatto sul mercato dei media, con l’epoca della nascita di Canale5. La pandemia ha inciso profondamente sulle abitudini di consumo di tutti noi, a volte stravolgendole, altre volte accelerando dei processi di cambiamento già in atto. Questo è accaduto non soltanto nel settore dell’e-commerce, ma anche nel mondo dell’audiovisivo.

Fino a qualche tempo fa il concetto di contenuto audiovisivo era automaticamente associato a quello di cinema o di televisione, al punto che si parlava solo di opere cinematografiche e di programmi televisivi. Oggi non è più così. Secondo uno studio diffuso da Samsung ADS Europe – la divisione media e pubblicità di Samsung Electronics, che da anni è al vertice delle classifiche dei produttori di smart TV – nel primo semestre del 2020 il tempo di visione di contenuti in streaming nei principali cinque paesi europei ha superato il tempo di visione di contenuti televisivi, per la prima volta in assoluto.

Complice la situazione sanitaria emergenziale tuttora in corso, oggi trascorriamo una grandissima quantità di tempo all’interno delle mura di casa e consumiamo una maggiore quantità di contenuti audiovisivi. C’è stato un incremento degli ascolti dei canali televisivi tradizionali cui purtroppo, a causa della depressione degli investimenti pubblicitari, non è corrisposto un aumento degli introiti. Inoltre, questo ha comportato, da un lato, un progressivo avvicinamento degli utenti alle piattaforme online di intrattenimento on demand; dall’altro lato, ha inciso sulle strategie delle piattaforme e sulle caratteristiche della loro offerta.

Quale futuro per la televisione?

È innegabile che il mercato non sia più lo stesso da quando esistono i servizi di video on demand (VoD), perché si tratta di una modalità di fruizione completamente diversa da quella a cui eravamo abituati fino a pochi anni fa: non più attraverso uno specifico dispositivo (il televisore) e all’orario imposto dal palinsesto televisivo, bensì quando si vuole e dove si vuole (PC, tablet, smartphone, smart TV e così via).

A partire dal lancio di Netflix, approdata in Italia nel 2015, i servizi on demand hanno registrato una crescita esplosiva. Sarebbe sbagliato attribuire il successo di questi servizi al lockdown: quest’ultimo non ha determinato una trasformazione del mercato, ha solo impresso un’accelerazione. C’è stato un momento di euforia, favorito dai periodi di prova gratuiti (free trial) offerti da quasi tutte le piattaforme, poi la curva degli abbonati si è assestata e ha ripreso il suo corso fisiologico, anche perché la capacità di spesa delle famiglie non è illimitata e anzi risente del contesto economico non felice.

Non possono prevedersi gli esiti delle trasformazioni di mercato indotte dal progresso tecnologico, ma non crediamo agli scenari evocati da chi preconizza la morte della televisione. A nostro avviso, non va sottovalutata la probabilità che la televisione tradizionale conservi la propria attrattiva verso alcuni settori del pubblico grazie alla facilità di fruizione: un palinsesto televisivo offre una proposta preconfezionata, così semplificando il processo di scelta da parte dell’utente. Depone in tal senso il recente esperimento di Netflix che, stante la popolarità della televisione tradizionale in Francia, ha lanciato in quel mercato il canale lineare “Direct”, con gli stessi contenuti disponibili sulla piattaforma. Quindi, ci sembra più attendibile la previsione secondo cui servizi on demand e televisione sono destinati a convivere in un ecosistema in cui ciascun utente combinerà i due mezzi componendo il media mix più rispondente alle sue esigenze.

Streaming: i modelli di business del VoD

Lo streaming sta entrando nella sua fase adulta: Netflix ha aperto la strada, ma ormai quasi tutte le media company di maggiori dimensioni si sono dotate di un proprio servizio on demand e anche i modelli di business si sono differenziati (esattamente come è successo per la televisione quando alla TV in chiaro finanziata dalla pubblicità si è affiancata la pay-TV).

Il paradigma più diffuso è il Subscription Video on Demand (SVoD), basato sull’offerta di un catalogo con pagamento di un canone mensile o annuale. Questa formula è stata prescelta, tra gli altri, da Netflix, Amazon (Prime Video), NBCUniversal (Hayu), Sky (Now TV), Starz (Starz Play), WarnerMedia (HBO Max), Mediaset (Infinity) e Tim (Tim Vision). Un colosso come Disney, al di là delle indiscrezioni sulla possibile espansione del servizio Hulu al di fuori degli Stati Uniti, ha deciso di chiudere parte dei propri canali televisivi e di non concedere più in licenza a terzi i popolarissimi franchise Marvel e Star Wars per offrirli in esclusiva sulla piattaforma SVoD Disney+. A gennaio 2021 anche Discovery ha lanciato un servizio SVoD, Discovery+, che sostituisce Dplay e Dplay+ e in cui confluisce anche l’offerta sportiva di Eurosport Player.

Il Transactional Video on Demand (TVoD), caratterizzato dall’acquisto di singoli contenuti disponibili nel catalogo, è il modello adottato da Apple (iTunes), Rakuten e Google (Google Play), ma anche da Chili, piattaforma italiana presente anche in alcuni Paesi europei, che recentemente ha esteso la propria offerta aggiungendo anche l’Advertising Video on Demand (AVoD).

Quest’ultimo è un modello basato sull’offerta gratuita di contenuti con pubblicità. I servizi AVoD in alcuni casi sono nati sotto forma di catch-up TV –per consentire agli utenti di rivedere programmi già andati in onda sul lineare –, poi però si sono evoluti e arricchiti di contenuti originali, sviluppati o acquistati appositamente per il servizio VoD: pensiamo ad esempio a RaiPlay, Mediaset Play, La7 Replay e Dplay di Discovery, ma anche a Pluto TV di Viacom, che nel prossimo futuro potrebbe approdare anche in Italia.

Di questi modelli esistono molte declinazioni, in costante evoluzione.

Come sta cambiando la distribuzione dei contenuti

Complici le forti restrizioni che hanno colpito le sale cinematografiche, infatti, i produttori stanno cercando alternative che consentano di ovviare alle difficoltà generate dalla pandemia. Quest’ultima ha inciso anche sul sistema delle cosiddette “finestre” come sviluppatosi nella prassi commerciale (in alcuni paesi, compresa l’Italia, alcune di queste finestre hanno ricevuto anche un riconoscimento normativo): la sala cinematografica come prima forma di distribuzione, cui fa seguito, dopo un certo lasso di tempo e progressivamente, la distribuzione in home video/Electronic Sell Through, TVoD/pay-per-view, SVoD/pay-TV e, infine, la televisione in chiaro.

Ad esempio, solo pochi mesi fa Disney ha deciso di offrire il film “Mulan” – inizialmente destinato alla distribuzione nelle sale cinematografiche, che però in quel momento erano chiuse quasi ovunque – a pagamento sulla piattaforma Disney+ per un certo periodo di tempo. Così creando di fatto una nuova “finestra” (PVoD, Premium VoD), contemporanea o a distanza ravvicinatissima (7-15 giorni) dall’uscita al cinema, e una forma di distribuzione “ibrida”: possono accedere solo gli utenti abbonati al servizio SVoD (poiché tale è la piattaforma Disney+), ma pagando un extra per lo specifico contenuto, come accade nel TVoD.

Similmente, si colloca nel solco delle strategie di diversificazione anche la recente estensione dell’offerta di Amazon ai Prime Video Channel: una serie di cataloghi aggiuntivi, disponibili ciascuno sulla base di un proprio abbonamento mensile, con cui l’utente può eventualmente scegliere di integrare il catalogo principale. Del canale TV “Direct” lanciato da Netflix in Francia si è già detto.

Si cerca, inoltre, di sfruttare le potenzialità della tecnologia per avvicinare il pubblico al mondo della cultura, esigenza ancor più avvertita in un momento storico in cui anche musei e teatri sono in sofferenza. Si muove in questa direzione il progetto promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo insieme a Cassa Depositi e Prestiti per la creazione, con il coinvolgimento di Chili, di una piattaforma di streaming su cui rendere accessibili in Italia e all’estero, a pagamento, prodotti culturali italiani (film, opere teatrali, concerti, mostre, tour virtuali di musei, etc.).

In questo contesto altamente dinamico, Warner Bros ha annunciato che i titoli Warner in uscita nei cinema americani nel 2021 saranno distribuiti in contemporanea anche in streaming sulla piattaforma HBO Max. Una scelta che, pur nascendo dalla comprensibile esigenza di compensare la probabile riduzione degli incassi al botteghino nel corso del 2021, ha suscitato dure reazioni da parte dei circuiti cinematografici, che versano già in gravi difficoltà a causa della pandemia e temono che una distribuzione “day-and-date” possa penalizzare il box office.

Sarà interessante vedere quale sarà l’esito degli esperimenti in corso: c’è chi teme che al successo dei servizi di streaming farà da contraltare il declino del cinema e chi, invece, sostiene che la diffusione dei titoli in streaming possa generare un effetto promozionale degli stessi titoli presenti in sala. Il successo del film “Wonder Woman 1984” di Warner Bros al botteghino statunitense nei primi giorni di uscita, nonostante la contestuale distribuzione del titolo sulla piattaforma HBO Max, fa ben sperare, ma solo gli sviluppi dei prossimi mesi consentiranno di avere più solidi elementi di valutazione.

L’auspicio è che la sala cinematografica, con la sua magia e la sua funzione di aggregazione sociale, non sia destinata a scomparire, bensì continui ad offrire un’esperienza di fruizione unica, che non può essere replicata nelle mura domestiche.

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