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Legge cinema e audiovisivo, bando per la valutazione d’impatto. Finalmente si farà luce?

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Scade oggi il bando per la seconda (in verità, la prima) “valutazione di impatto” della legge cinema Franceschini (400 milioni di euro l’anno): si farà finalmente luce sulla efficacia (o meno) dell’intervento pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo in Italia?! Una vicenda che ancora suscita molte perplessità.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Scade oggi lunedì 15 aprile 2109, alle ore 12, il termine per la consegna delle offerte rispondenti al bando per la “valutazione di impatto” della legge cinema ed audiovisivo, la normativa che reca la firma dell’allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Dario Franceschini, e dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, e che inietta ormai ogni anno ben 400 milioni di euro di danari pubblici nel sistema.

È una vicenda interessante quella del bando per la “valutazione di impatto” della legge cinema, che merita un opportuno approfondimento, perché emblematica e sintomatica di quell’enorme deficit cognitivo che caratterizza molti settori di intervento della “res publica” italiana, anche nell’economia del sistema culturale.

Prevale ancora oggi infatti (anzi più che nel passato) il governo nasometrico del sistema, in assenza diffusa di analisi costi / benefici, efficienza e efficacia, e di valutazioni di impatto, e lasciamo perdere la pia illusione nei confronti delle chance di “bilanci sociali”…

Si ricordi che, a fine 2016, anche grazie all’attivismo dell’allora Ministro Dario Franceschini, è divenuta legge dello Stato la nuova disciplina relativa al cinema e all’audiovisivo (che ha definitivamente archiviato la storica legge n. 1213 del 1965, più volte modificata nel corso dei decenni), al fine di rilanciare il settore: la legge 14 novembre 2016 n. 220, intitolata “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 26 novembre 2016), è entrata in vigore l’11 dicembre 2016.

La legge, piuttosto complicata e ridondante nel suo assetto, prevedeva una assurda quantità di decreti attuativi (oltre 20, cui si aggiungono 3 decreti legislativi), che sono stati emanati con una tempistica esasperante, determinando una situazione di stallo che ha paralizzato per quasi due anni (2017-2018) l’intero settore.

Ancora oggi la legge non è “a regime”, e prevale stagnazione, oltre che attesa e preoccupazione. E nel mentre, le leggi… cambiano, anche su punti essenziali. Si segnala, su altro fronte, nella Legge di Bilancio 2019 (la n. 145 del 30 dicembre 2018) è stato spostato dal 1° gennaio 2019 al 1° luglio 2019 (vedi il comma… 1142 dell’articolo 1), il termine previsto dalla legge Franceschini (ex art. 44) per l’avvio degli importanti obblighi di programmazione e di investimento da parte dei “broadcaster” e degli “over-the-top”: ciò basti, per comprendere… l’andamento lento. Ed il Regolamento Agcomin materia di obblighi di programmazione ed investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti”, ha visto la luce soltanto il 22 gennaio 2019. Si prenda simpaticamente tempo, si rimandi sempre… Magari in attesa di un nuovo emendamento ancora (così ha annunciato pochi giorni fa la stessa Sottosegretaria delegata, la leghista Lucia Borgonzoni), sempre in assenza di stime attendibili sugli effetti dell’intervento della “mano pubblica”: tanto… chi misura e chi controlla?!

Da segnalare che la nuova legge cinema (all’articolo 10, comma 1, lettera m.) attribuisce al Ministero il compito di “svolgere attività di studio e analisi del settore cinematografico e audiovisivo, nonché valutazioni di impatto delle politiche pubbliche gestite dal Mibac stesso”.

Per la prima volta, il concetto di “valutazione di impatto” viene introdotto nella normativa italiana sul cinema e l’audiovisivo, anche se va ricordato che la “legge madre” del 1985 (35 anni fa! si tratta della Legge 30 aprile 1985, n. 163), istitutiva del Fondo Unico per lo Spettacolo alias “Fus”, aveva creato una struttura ministeriale di monitoraggio (all’avanguardia per quei tempi), l’Osservatorio dello Spettacolo (ancora oggi esistente, ma sulla carta) che questo tipo di studi, analisi, valutazioni avrebbe potuto svolgere, se non fosse presto stato ridimensionato, depotenziato e definanziato, e ridotto a struttura evanescente: la responsabilità (politica) nell’aver inibito le potenzialità di questa struttura è da attribuire a tutti – o quasi – i titolari del Ministero, avvicendatisi nel corso di oltre trent’anni.

Se ha finito per prevalere un “governo nasometrico” del sistema culturale… una ragione ci sarà (vedi, alla stessa “voce”, il continuo ridimensionamento anche dell’Ufficio Studi del Ministero, anch’esso ormai vacua struttura).

Una delle innovazioni più significative che sono state introdotte dalla nuova normativa sul cinema e sull’audiovisivo è rappresentata dall’articolo 12 della legge n. 220, che prevede, al comma 6, che: “A decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3, il Ministero predispone e trasmette alle Camere, entro il 30 settembre di ciascun anno, una relazione annuale sullo stato di attuazione degli interventi di cui alla presente legge, con particolare riferimento all’impatto economico, industriale e occupazionale e all’efficacia delle agevolazioni tributarie ivi previste, comprensiva di una valutazione delle politiche di sostegno del settore cinematografico e audiovisivo mediante incentivi tributari”.

A distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore della nuova legge cinema e audiovisivo, lo stato di conoscenza da parte del Ministero e – più generale – lo stato di autocoscienza del settore stesso permangono inesistenti.

Nessuno sa quali siano stati e quali siano gli effetti della nuova legge cinema. E ciò vale anche per il tanto decantato “tax credit”, presunta panacea universale.

Intanto la legge ed i suoi decreti “governano” in qualche modo il settore, assegnano contributi, sovvenzioni, agevolazioni: governano alla cieca, in verità, in assenza di una minima strumentazione tecnica. 400 milioni di euro di danari pubblici ripartiti lungo le varie fasi della filiera sulla base di intuizioni e suggestioni del “dominus” di turno: soggettività allo stato puro.

Ci ha provocato un conato di tristezza osservare come il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, giovedì della settimana scorsa – in occasione della coreografica kermesse promossa dall’Anica (vedi “Key4biz” dell’12 aprile 2019, “Siae-Soundreef, lo storico accordo cambierà l’economia del diritto d’autore in Italia?”) – abbia rivendicato, quasi con orgoglio, che il Ministero ha allocato 1 (uno!) milione di euro a favore della campagna “Moviement” (clicca qui, per il testo dell’intervento, dal sito web della Presidenza): un milione di euro, egregio professor Conte, su 400 milioni di dotazione della legge Franceschini, le sembra un budget congruo per una campagna che dovrebbe stimolare la fruizione di cinema in sala, a fronte del disastro in atto?!

Su tutto – strategie di lungo periodo ed interventi tattici – ancora una volta prevale purtroppo un deficit di conoscenza, assoluto e totale: se è apprezzabile che la nuova legge sul cinema abbia finalmente previsto una “valutazione di impatto”, non può che essere ritenuta deludente la prima (non) valutazione, che è il risultato dell’affidamento, nel luglio 2018, dell’incarico da parte della Dg Cinema Mibac alla pur qualificata società specializzata britannica Olsberg Spi Limited.

L’avviso per quella che doveva essere la prima “valutazione di impatto” è stato pubblicato il 15 giugno 2018 sul sito web della Direzione Cinema del Ministero, allora retta da Nicola Borrelli: a distanza di un anno e mezzo – si noti – dall’entrata in vigore della legge. Il termine previsto per la presentazione delle offerte è stato il 16 luglio 2018.

Il Mibac ha deciso di allocare risorse (non indifferenti), per questa valutazione, nell’ordine di 140.000 euro, attingendole ai fondi destinati ai cosiddetti “progetti speciali” (erratici e talvolta finanche misteriosi): più esattamente, si è trattato del “progetto speciale” denominato “supporto tecnico alla Direzione Generale Cinema per la realizzazione di una valutazione di impatto economico, industriale, e occupazionale delle misure previste dalla legge n. 220/2016”.

È curioso osservare che, per la prima volta nella storia del Mibac (ovvero della Dg Cinema), l’avviso è stato pubblicato sul sito web anche tradotto in lingua inglese, evidentemente per stimolare la partecipazione di operatori stranieri.

In risposta all’avviso, hanno partecipato 8 operatori, 7 italiani ed 1 straniero: i 7 italiani Olsberg Spi Limited, Università Cattolica, Deloitte srl, Open Economics srl, Ey Advisory Spa, IsICult-Coris (Università Sapienza), Eurokleis srl, Giandomenico Celata di, e la britannica Olsberg Spi Limited (in associazione con l’italica Lattanzio Monitoring and Evaluation).

L’assegnazione dell’incarico è stata effettuata a favore della britannica Olsberg Limited Spi, sede a Londra.

La selezione è stata effettuata con tempi incredibilmente brevi (10 giorni!), dato che il 27 luglio è stato pubblicato il “decreto direttoriale” (a firma del Dg Nicola Borrelli, datato 25 luglio 2018), che ha comunicato l’assegnazione alla società britannica, senza peraltro che la graduatoria sia mai stata resa di pubblico dominio, in barba alle norme vigenti sulla trasparenza di queste procedure (il 27 luglio è stato reso noto soltanto, sul sito della Direzione Cinema, che aveva vinto la Olsberg giustappunto).

La ministeriale commissione di valutazione è stata formata, su nomina del Dg Cinema, da Paola Mencuccini (Dirigente del Servizio I), Iole Giannattasio (funzionario), Bruno Zambardino (consulente del Direttore Generale Nicola Borrelli e direttore dell’Osservatorio Media di I-Com), Flavia Barca e Francesca Medolago Albani. Barca e Medolago verosimilmente cooptate anche nella loro veste di componenti del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (Csca), massimo organo consultivo del Ministero (anch’esso introdotto dalla “legge Franceschini”, ex art. 11). Flavia Barca è una nota studiosa del settore e titolare del centro di ricerca Acume, mentre Francesca Medolago Albani è Responsabile Pianificazione Strategica dell’Anica, nonché Vice Presidente del Csca stesso.

Nel silenzio dei più, incredibilmente, il 14 novembre 2018 il Ministro Alberto Bonisoli ha trasmesso al Presidente della Camera Roberto Fico (come previsto dall’articolo 12 comma 6 della legge n. 220) questa (non) “relazione annuale sullo stato di attuazione degli interventi previsti dalla legge cinema.

Il documento (che risulta datato 30 settembre 2018) consta di una sessantina di pagine, e già dal titolo evidenzia la propria debolezza strutturale: non si tratta infatti di una concreta “valutazione di impatto”, bensì di un mero esercizio teorico di analisi sulla “Metodologia per la valutazione d’impatto della legge sul cinema e l’audiovisivo”.

Il documento delinea soltanto la metodologia con la quale… verrà effettuata la “valutazione d’impatto” a partire dal 1° gennaio 2018, data che costituisce in sostanza –secondo il Ministero almeno – l’effettivo avvio dell’operatività della legge; elenca in appendice (con qualche falla, a parer nostro) i principali studi disponibili di scenario, che propongono dati e analisi del settore per i periodi antecedenti il 1° gennaio 2018.

Se grande era l’aspettativa da parte del settore – in particolare, l’aveva pubblicamente evidenziata Confindustria Radio Televisioni Crtv (che ancora il 27 settembre 2018 scriveva nella propria newslettersi attendono anche i risultati delle valutazioni di “valutazione di impatto” affidata a fine luglio alla britannica Olsberg Spi Limited”) –, inevitabile lo sconforto grande rispetto a questa prima “relazione annuale”: insomma, la “valutazione d’impatto” è ancora tutta… “in mente Dei!

Il testo della “relazione annuale” proposto dalla Direzione Cinema, a partire da un dossier predisposto dal raggruppamento temporaneo di imprese (rti) Olsberg Spi e Lattanzio Monitoring and Evaluation, propone infatti una “metodologia”, ma non offre purtroppo alcuna “valutazione”. Paradossale, ma reale.

In effetti, vengono proposte molte tabelle e schemi “metodologici”, ma non 1 dato uno, nel documento. Nessuna osservazione critica scenaristica significativa, se non un cenno ai problemi della piattaforma web DgCinema Online (che l’allora Direttore Generale Nicola Borrelli aveva annunciato avrebbe implementato ad inizio 2019).

Il 6 marzo 2019, appena insediatosi a Santa Croce in Gerusalemme (sede della Dg Cinema del Mibac), il nuovo Direttore Generale Mario Turetta ha apposto la propria firma sull’avviso che bandisce la seconda gara per l’assegnazione della “valutazione di impatto”.

Si tratta di un decreto il cui testo purtroppo ricalca quello del luglio 2018, fatta salva l’indicazione di una serie di “indicatori” tratti giustappunto dal rapporto della Olsberg (8 “macro-indicatori” e 34 “micro-indicatori”). Il budget previsto è lo stesso dell’anno scorso, 140mila euro (al netto Iva).

La scadenza per la presentazione delle offerte è stata fissata a lunedì 15 aprile 2019 ore 12. L’avviso prevede la consegna della relazione entro il 10 settembre 2019 (termine sostanzialmente omologo al bando dell’anno scorso – era il 15 settembre – soltanto che quell’avviso era stato pubblicato il 15 giugno, e quest’anno invece il 6 marzo).

Chi redige queste noterelle è coautore di un’offerta presentata dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult in partnership con il Coris – Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università Sapienza di Roma, proposta che evidentemente non è risultata vincitrice per l’edizione 2018.

IsICult ha deciso di non partecipare alla gara 2019, perché l’avviso nuovo ricalca lo spirito del precedente, e si ritiene che fornisca una interpretazione limitata e limitativa del concetto di “valutazione di impatto”.

Scrivevano IsICult e Coris Sapienza nella proposta del 16 luglio 2018, prospettando l’esigenza di una estensione del “perimetro”: “Si ritiene infatti che la “valutazione di impatto”, per quanto centrata su un’impostazione di tipo prevalentemente economico (industria, filiera, settore…), debba opportunamente tenere in considerazione anche altri fattori di scenario socio-culturale, quali: estensione dello spettro espressivo… esplorazione di linguaggi artistici innovativi… ricerca e sperimentazione, libertà creativa… audience engagement, barriere all’ingresso, democrazia culturale… evoluzione dello scenario mediale alla luce dei processi di digitalizzazione…”.

Si tratta di dimensioni completamente ignorate dall’avviso per la novella “valutazione di impatto” promossa dalla Dg Cinema, che appare invece ancora tutta centrata sulla (subordinata alla) dimensione economica dell’intervento della “mano pubblica”.

Come dire?! Ci può essere una “valutazione d’impatto” focalizzata ed una “valutazione di impatto” estesa.

Nel caso dell’avviso della Dg Cinema, è inequivocabile l’approccio monodimensionale, inevitabilmente a rischio di deriva economicista, con una interpretazione restrittiva della previsione di legge.

Riteniamo che una “valutazione di impatto” delle politiche pubbliche nei settori culturali non possa – e non debba – prescindere invece da una lettura multimensionale, e quindi anche culturologica.

D’altronde, ben 3 dei componenti della commissione ministeriali di valutazione che ha effettuato la selezione dei progetti del 2018 sono esperti soprattutto di economia del cinema e dell’audiovisivo (tali sono certamente Flavia Barca, Bruno Zambardino, Francesca Medolago Albani), di cui uno è peraltro inevitabilmente anche “portatore di interessi” della più potente anima economica del settore (Medolago Albani è una dirigente dell’Anica). Nessun sociologo, nessun autore, nessun creativo, nella commissione. È prevedibile quindi che, anche nel 2019 come nel 2018, verrà scelto un operatore che è specializzato giustappunto soltanto nelle analisi economiche.

Ennesima riprova di come la “mano pubblica” si inchini di fronte alle ferree regole del “mercato”: deriva mercatista della dimensione politica.

Comunque, a fronte del deserto di conoscenza, attendiamo “con ansia” il risultato della valutazione d’impatto che arriverà tra 5 mesi: sebbene soltanto in un approccio economico, si farà finalmente luce sulla efficacia (o meno) dell’intervento pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo in Italia?! Auguriamocelo tutti: operatori del settore, “policy maker”, studiosi, e finanche spettatori e cittadini.

Oppure… si dovrà restare attoniti di fronte agli incondizionati entusiasmi delle lobby Anica e Apa, rispetto ai magnifici risultati (?!) del “tax credit” ed in generale della “legge cinema”, magari corredati da fantasiose numerologie (vedi “Key4biz” del 12 marzo 2019, “L’industria audiovisiva italiana tra Tax Credit, Netflix e la mancanza di dati innovativi”).

Oppure… si finirà per dover dar ragione agli iper-liberisti che teorizzano il disastro (ovvero l’inutilità) dell’intervento pubblico nel settore, che sarebbe distorcente e drogato (vedi, per queste tesi, la sortita di Filippo Cavazzoni, Direttore Editoriale del “think-tank” Istituto Bruno Leoni, sul blog di Ibl).

Tante volte – anche su queste colonne – abbiamo segnalato e lamentato come la stessa legge cinema ed audiovisivo “byDario Franceschini ed Antonello Giacomelli, nella sua lunga gestazione, abbia sofferto di una sorta di “subordinazione” del Ministero nei confronti della più potente lobby del settore, qual è giustappunto l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali (Anica). Tutte le soggettività altre, che pure rappresentano non meno importanti anime del settore (soprattutto nella componente artistico-creativa), hanno avuto un coinvolgimento minore e marginale.

La critica che qui manifestiamo non è nei confronti di una sorta di super-potere attribuito all’Anica – ed alla sua consorella Apa (i produttori televisivi) – che evidentemente sa esercitare al meglio le proprie capacità lobbistiche (anche a fronte della debolezza di tante altre associazioni), ma è una osservazione di natura politicanei confronti dei Ministri che sono chiamati a gestire, pur “pro tempore”, il governo della cultura.

Il quesito essenziale, strategico e politico, resta: perché nell’ambito culturale sia Dario Franceschini sia Alberto Bonisoli si rivelano così sensibili alle ragioni del mercato ovvero dell’industria, trascurando le dimensioni altre, sociali ed artistiche?!